2024-12-18
«Con la sindrome di Down l’aborto è regola»
Il professore Giuseppe Noia: «C’è un uso forzato della diagnosi prenatale, il 70% degli embrioni con questa patologia non viene al mondo. La diversità e il futuro da affrontare spaventano i genitori, ma l’aspettativa e le condizioni di vita sono molto migliorate».Bambini «incompatibili con la vita», o presunti «terminali», così vengono definiti. Con la diffusione dei test di screening prenatale (la Regione Puglia, ad esempio, è molto fiera della sua attività di analisi a tappeto alla ricerca di alterazioni), sembrano scomparsi i bambini con la sindrome di Down. Forse è stato possibile eliminare la presenza, parziale o totale, di un cromosoma 21 in sovrannumero (trisomia 21), condizione genetica alla base della più comune causa genetica di disabilità intellettiva? Niente affatto, purtroppo se ne vediamo sempre meno «è perché il 70% di embrioni con questa patologia non vengono fatti nascere», spiega alla Verità Giuseppe Noia, docente di Ginecologia all’Università Cattolica di Roma e direttore dell’Hospice perinatale del Policlinico Gemelli. Pioniere nel campo della medicina fetale e delle cure prenatali, il professore chiarisce che, se sono scomparse anche altre forme cliniche o malformazioni dello sviluppo come la microsomia ovvero il nanismo, è perché una mamma viene convinta che sia meglio abortire. E il «rispetto», vocabolo dell’anno secondo la Treccani, dove va a finire?Professore, partiamo dalla sindrome di Down. Perché assistiamo a un’eliminazione sistematica di bambini con trisomia 21?«Si ha paura di metterli al mondo. Ritardo neuro cognitivo e cardiopatie sono le problematiche che maggiormente accompagnano queste anomalie cromosomiche». In Islanda, nel 2017 un genetista annunciò: «Abbiamo quasi sradicato la sindrome di Down dalla nostra società». Il merito, sosteneva, era dei test genetici.«Le rispondo con un aneddoto. Un genitore si alzò durante un convegno in Sardegna, dove un luminare spiegava che nell’isola era quasi eradicata la presenza della talassemia, o anemia di Cooley. Il signore chiese in quale modo era stato possibile, gli fu risposto che veniva fatta la diagnosi prenatale e “indirizziamo tutti all’interruzione di gravidanza”. L’uomo commentò: “Si dovrebbe eliminare la causa, non il malato”. La risposta oggi è la stessa. Ci sono sempre meno bimbi con la trisomia 21 perché viene data una falsa interpretazione dell’uso della diagnosi prenatale. Ma non solo loro vengono indirizzati all’aborto».Ci sono altre tristi percentuali a riguardo?«Secondo i dati del ministero della Salute, le interruzioni volontarie della gravidanza dopo le dodici settimane per qualsiasi anomalia fetale riscontrata, strutturale o genetica, nel 1981 erano le 0,5% ma nel 2022 già rappresentavano il 6,4%. In trent’anni i cosiddetti aborti terapeutici sono aumentati più di dodici volte. Tra questi anche bimbi con microsomia, perché spaventano il dileggio, le problematiche di natura riabilitativa: i genitori non si sentono di accogliere un figlio con nanismo».Spaventano di più le malformazioni fisiche che segnalano un essere umano «diverso», o il peggioramento di deficit sensitivi e neurologici?«Entrambe. La diversità e il futuro da affrontare».Eppure le condizioni di vita di una persona con sindrome di Down sono migliorate di molto.«Assolutamente sì. Così pure le sue aspettative di vita, fino ai 60 anni».Continuano a negare all’embrione lo status, la dignità di persona.«La vita nasce al momento del concepimento, non dell’impianto dell’ovulo fecondato. Negare l’evidenza scientifica e la valenza etica serve a sdoganare la pillola del giorno dopo, dei cinque giorni dopo, il prelievo delle cellule staminali, la diagnosi genetica preimpianto».Come dovrebbe essere utilizzato lo screening?«Per vedere come sta il bambino e poterlo curare. Non per eliminarlo. È l’uso della diagnosi, anche di quella invasiva come l’amniocentesi, ad essere molto spesso sbagliato. Mentre serve per sviluppare la terapia fetale, per curare od operare in fase prenatale, come facciamo anche in caso di spina bifida. Si tratta di un difetto congenito della colonna vertebrale del feto, in presenza del quale il tasso di interruzione della gravidanza è molto alto, arriva al 42%. Noi salviamo questi bimbi».C’è chi sostiene che un medico ha paure delle cause risarcitorie, se fa venire al mondo un «non sano».«Se fai le cose correttamente, con i dovuti consensi, puoi dimostrare che il tuo operato era trasparente e che i genitori erano informati. A una signora che aveva in grembo una bimba con displasia renale, una rara malformazione per la quale le avevano già consigliato di interrompere la gravidanza, abbiamo suggerito di farla nascere, di sottoporre la piccola a dialisi peritoneale fino a quando non avesse avuto il peso giusto per sopportare un trapianto. I genitori furono d’accordo, Antonella all’età di 3 anni e con 12 chilogrammi ricevette un rene dal babbo. Vive e sta bene».C’è troppa paura di affrontare un percorso faticoso, facendo nascere un bambino con patologie o disabilità?«Molto spesso, i tre livelli dove si decide la vita degli esseri umani sono il livello della consulenza, il livello della proposta di terapia, il livello dell’accompagnamento. Nella consulenza scientifica e onesta, la precisazione diagnostica è di enorme importanza: offre una scelta. Abbiamo aiutato a partorire donne finite in coma, rassicurando i mariti sul fatto che farmaci mirati non avrebbero danneggiato il bimbo nel grembo della madre. Così pure donne con stati avanzati di sclerosi, di tumore, che hanno messo al mondo figli sanissimi. Bisogna valutare i pro e i contro, se ci sono rischi aggiuntivi, ed esser molto chiari. La scienza deve essere al servizio della verità scientifica, nel rispetto della vita».Invece che cosa accade spesso?«La consulenza viene ideologizzata, si suggerisce subito l’aborto. Non è con l’ipnosi o con il plagio che una donna non rinuncia a portare a termine la gravidanza, ma se trova una risposta scientifica onesta che spiega come evolverà il quadro del suo bambino. E se viene fornito supporto, assistenza prenatale e post natale perché a quel figlio vengano date tutte le opportunità possibili. Si parla tanto di pari opportunità, ma chi vuole abortire ha la legge 194; la mamma che aspetta un figlio che avrà fragilità, che cosa ha? Noi offriamo un’alternativa, purtroppo hospice come il nostro sono pochissimi in Italia».
Il presidente di Assoprevidenza Sergio Corbello (Imagoeconomica)
Il presidente di Assoprevidenza Sergio Corbello: «Dopo il 2022 il settore si è rilanciato con più iscritti e rendimenti elevati, ma pesano precariato, scarsa educazione finanziaria e milioni di posizioni ferme o con montanti troppo bassi».