2023-04-02
Figli dei gay, i sindaci dem violano la legge
Da sinistra Sergio Giordani , Beppe Sala e Gaetano Manfredi (Ansa-Imagoeconomica)
Il primo cittadino di Savona ha registrato il nato da due donne, partorito in Italia. Così si aggira la circolare di Matteo Piantedosi e la palla deve passare alla Procura. Altri amministratori trascrivono solo bimbi nati all’estero. Fattispecie per cui non è previsto divieto.Nella giornata di ieri, il sindaco di Savona, Marco Russo, ha iscritto all’anagrafe un neonato registrato come «figlio» di due donne (le virgolette, ovviamente, sono d’obbligo). È solo l’ultimo caso, in ordine di tempo, di un primo cittadino che se ne infischia della legge e decide di portare avanti una precisa agenda ideologica. Russo, tuttavia, non è solo. Ad appoggiare questa battaglia illegale c’è un intero «fronte dei sindaci», composto da Roberto Gualtieri e tanti altri. Quasi tutti primi cittadini, guarda un po’, orbitanti attorno al Partito democratico. Battaglia illegale, abbiamo detto. Ma è proprio così? In effetti, no. «Questi sindaci di sinistra stanno facendo i furbi», dice alla Verità l’avvocato ed ex senatore Simone Pillon. Che poi spiega: «In realtà stanno solo registrando bambini di due donne nati all’estero. Se registrassero neonati di coppie formate da due uomini, ci sarebbe un abuso d’ufficio», con pene anche molto severe. Come illustra, sempre alla Verità, la scrittrice Marina Terragni, «la circolare Piantedosi esclude un’unica fattispecie, cioè quella di due donne con atto di nascita registrato all’estero. Per colmare questa lacuna, è stato richiesto un parere all’avvocatura dello Stato, che però non è ancora pervenuto. Tuttavia, se il bimbo è nato in Italia, vale la circolare». Come , appunto, nel caso di Savona, dove il sindaco, il 28 marzo, ha registrato un bambino, concepito a Barcellona con la fecondazione assistita di una delle due donne, ma nato all’ospedale San Paolo di Savona. La registrazione è quindi illegittima. Gli uffici del prefetto hanno preso atto della non conformità rispetto alla normativa vigente, e trasmesso agli uffici del ministero dell’Interno e, come atto dovuto, anche alla procura della Repubblica, l’unica autorizzata ad intervenire in materia. Insomma, la disobbedienza civile c’è fino a un certo punto. Il coraggio dei sindaci arcobaleno finisce là dove la legge alza un muro (attualmente) invalicabile. A ben vedere, la questione è squisitamente politica. Anzi: ideologica. «Io non capisco che cosa pretendano questi sindaci dal governo», insiste la Terragni. «Si rivolgano semmai al Parlamento o al Csm». Anche perché, come ha ricordato il ministro della Famiglia, Eugenia Roccella, «non c’è alcun confronto da fare. Ci sono leggi e una sentenza precisa», quella della Cassazione. Pertanto, «i sindaci sanno quello che possono e che non possono fare. Non c’è qualcosa da contrattare».Il problema, appunto, riguarda la campagna della sinistra a favore dell’utero in affitto. Che, per la legge italiana, è reato. Senza se e senza ma. E le femministe? Ebbene, le cosiddette transfemministe (alla Schlein, tanto per intendersi) rivendicano di lottare per una «battaglia di civiltà», ma la realtà ci racconta soprattutto di mercificazione del corpo femminile, di trattamenti ormonali invasivi e situazioni di sfruttamento agghiaccianti (basti pensare a quel che avviene in Nigeria e Ucraina). Ecco, di fronte a tutto questo, come si pongono le donne di sinistra? «Queste non sono femministe», insorge Marina Terragni. «Se appoggiano una pratica come l’utero in affitto, o sono ignoranti come capre, oppure sono delle complete cretine. Del tuo corpo puoi fare quel che vuoi, come per la prostituzione, però qui c’è il corpo di un terzo soggetto», quello appunto del bambino. Peraltro, ci tiene a puntualizzare, «la categoria stessa di omogenitorialità è una categoria ideologica, perché non si può fare pari e patta tra uomini e donne: solo una donna può sostenere una gravidanza, un uomo no». E infatti, specifica, «tutte le sentenze di Cassazione e Corte costituzionale sono contro la maternità surrogata». Eppure, stante che per la legge italiana la genitorialità è solo quella del padre o della madre biologici, rimane il problema del cosiddetto metodo Ropa, sorto e praticato in Spagna. La cosiddetta «maternità condivisa» prevede cioè una donna che offre l’ovocita e l’altra che si occupa della gestazione. Spiega però Pillon: «In tal caso le donne mischiano il materiale genetico, ma anche questo è reato: la legge 40 (sulla procreazione assistita, ndr) vieta espressamente la vendita di gameti umani. Non c’è alcun vuoto normativo. Tutt’al più, una legge completa dovrebbe prevedere il divieto di questa pratica anche per le donne». Che fare allora dei bambini registrati? Del resto, è proprio questo l’argomento sventolato dalla sinistra arcobaleno: «Mi ha colpito molto un recente sondaggio di Termometro politico», confessa Marina Terragni: «Non solo l’opinione pubblica è largamente contraria all’utero in affitto, ma addirittura il 40% del campione si è detto favorevole a portar via il bambino a chi pratica la surrogata. L’unica soluzione possibile è procedere con le adozioni in casi particolari, cioè la cosiddetta stepchild adoption».Di opinione contraria è invece Pillon: «La Cassazione ha acconsentito all’adozione solo se il bambino si ritrovasse in situazioni molto particolari, come in caso di abbandono. Ma questo tipo di pronuncia giurisprudenziale, appunto, vale solo per il caso singolo». Tuttavia, anche nel centrodestra, pur ribadendo la contrarietà all’utero in affitto, c’è chi effettivamente ha aperto alle adozioni gay: «Questa è una trappola tesa dalla sinistra, in cui molti stanno cascando», commenta l’ex senatore leghista. «Abbiamo lottato duramente per far depennare la stepchild adoption dal dl Cirinnà. Se ora si crea il precedente, questa battaglia sacrosanta verrebbe completamente vanificata».
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)