True
2022-09-29
L'intrigo del gas nel Baltico avvicina la guerra totale
Vladimir Putin (Mikhail Svetlov/Getty Images)
Atto di sabotaggio. Sulla definizione di quanto accaduto ai due tronconi del gasdotto Nord Stream nessuna delle parti interessate, né il blocco Occidentale, né Mosca, ha dubbi. Le indagini sulle perdite di gas si basano ormai su un’ipotesi di reato ben precisa, ma quanto al probabile sabotatore, lo scontro acceso mette in evidenza contraddizioni e dubbi. La famosa domanda alla base di ogni processo, quel «Cui prodest? A chi giova?» che di solito è un faro per arrivare alla verità, in questo caso getta ancora più confusione sull’intera vicenda.
Per l’Europa, la Nato e i Paesi nelle cui acque si è verificato l’incidente, il colpevole è Mosca, anche se solo la Danimarca ha citato apertamente il presunto autore del danneggiamento, mentre gli altri si sono limitati a «suggerirlo». Il ministro della Difesa di Copenaghen, Morten Bodskov, parlando alla televisione danese ha infatti detto testualmente: «La Russia ha una presenza militare significativa nella regione del Mar Baltico e ci aspettiamo che continui a lanciare sciabolate». La polizia dell’altro Paese direttamente coinvolto, la Svezia, ha aperto un’indagine per sabotaggio grave. Danimarca e Svezia, insieme, hanno inoltre convocato un summit d’urgenza per prendere le contromisure di fronte alla tripla fuga di gas: «Dobbiamo capire bene come tutto ciò influirà sulla nostra sicurezza nazionale», ha fatto sapere la ministra degli esteri svedese Ann Linde, anche a nome dell’omologo danese. Le allusioni, neanche troppo velate, alla responsabilità di Putin sono state fatte in più occasioni, anche se non è chiaro perché Mosca avrebbe dovuto mettere a rischio quei gasdotti che insieme ai partner europei ha impiegato anni a costruire, al costo di oltre 20 miliardi di dollari.
L’interesse russo, teoricamente, sarebbe quello di mantenere intatta e funzionante la sua arma di ricatto contro l’Europa, chiudendo e riaprendo i rubinetti quando e con chi conviene di più. L’aspetto particolarmente allarmante, qualora fosse stata davvero la Russia a compiere il sabotaggio, sarebbe uno in particolare. L’incidente «tecnico», in entrambi i tronconi del Nord Stream, ha investito direttamente la Zona economica esclusiva delle due nuove matricole della Nato: due perdite di gas sono state rilevate in acque danesi, la terza ricade nella Zee svedese. Ci sarebbe da preoccuparsi dunque se si scoprisse che Mosca ha la capacità di penetrare in acque controllate dalla Nato per compiere ciò che più le aggrada, indisturbatamente. Non solo. Questa eventualità potrebbe costituire il casus belli tra Usa e Russia, dunque bisogna capire se c’è un interesse della Federazione in tal senso: diversamente, il Cremlino avrebbe dato il via a un’azione scriteriata e pericolosa.
Ma in questo giallo si è inserita una dichiarazione che ha fatto davvero scalpore. L’ex ministro degli Esteri polacco e attuale europarlamentare Radoslav Sikorski ha suggerito, in un modo abbastanza pittoresco, che gli Stati Uniti sarebbero coinvolti in qualche modo nei misteriosi incidenti al gasdotto. Sikorski ha postato infatti su Twitter una foto del luogo dell’incidente con la didascalia «Grazie, Usa». Sikorski ha proseguito affermando che «l’unica logica di Nord Stream era quella di permettere a Putin di impunemente ricattare o dichiarare guerra all’Europa orientale». Il ringraziamento da parte del polacco ha provocato la reazione della portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, che ha chiesto se la posizione del politico polacco fosse «una dichiarazione ufficiale sul fatto che si tratta di un attacco terroristico». Sikorski ha risposto che «tutti gli stati ucraini e baltici si sono opposti alla costruzione di Nord Stream per 20 anni. Ora 20 miliardi di dollari di rottami metallici giacciono sul fondo del mare, un altro costo per la Russia per la sua decisione criminale di invadere l’Ucraina». Insomma, il politico polacco ha lodato quella che ha poi definito «un’operazione di manutenzione speciale». Anche il principale accusato ritiene che dietro quanto accaduto ci sia lo zampino Usa, tanto che il viceministro degli Esteri russo Alexander Grushko, ha dichiarato che Mosca è aperta a «indagare congiuntamente» per capire le cause delle fughe di gas. Il Cremlino ha definito «stupido e assurdo» accusare la Russia. Il portavoce Peskov ha infatti definito le perdite come «problematiche» e ricordato che il gas russo «costa un sacco di soldi e ora si sta dissolvendo nell’aria». Peskov ha insinuato che chi beneficia di più del fatto che i gasdotti non funzionino sono gli Stati Uniti: «Vediamo un aumento significativo dei profitti delle compagnie energetiche americane che stanno fornendo gas all’Europa». Il dito del portavoce del Cremlino e quello della Zakharova sono stati puntati direttamente contro il presidente Usa Biden.
E tra i fan di Mosca c’è chi ha riesumato il video di una conferenza stampa tenuta da Biden prima dell’inizio della guerra in Ucraina. «Se la Russia invaderà l’Ucraina non ci sarà più un Nord Stream 2. Vi metteremo fine», dice il presidente Usa nel filmato. Alla domanda di una giornalista su come gli Stati Uniti potrebbero farlo, Biden risponde: «Le assicuro che saremo in grado di farlo». Zakharova ha dunque invitato Joe Biden a rispondere alla domanda «se gli Stati Uniti d’America hanno realizzato la loro minaccia il 25 e 26 settembre 2022». La Russia intende inoltre chiedere una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu sui danni subiti dal Nord Stream e Nord Stream 2.
Nuove sanzioni sulle petroliere
Alle compagnie di navigazione e alle compagnie assicurative sarà vietato trasportare o assicurare il petrolio russo se il prezzo a cui viene venduto è superiore a un certo limite. Funzionerà così il nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia proposto ieri dall’esecutivo dell’Unione Europea. Il limite fissato sarà il prezzo al quale il petrolio russo viene attualmente venduto in Asia, circa il 30% in meno rispetto ai prezzi attuali imposti in Europa. Come già accordato anche gli altri alleati del G7, in particolare il Regno Unito, dove la maggior parte delle petroliere sono assicurate, imporranno le stesse sanzioni.
La proposta però prima di essere applicata dovrà essere approvata all’unanimità dai 27 Paesi membri del blocco, che dovranno superare le loro divergenze sulle nuove sanzioni. Le contestazioni dovrebbero arrivare soprattutto dall’Ungheria, dove il primo ministro Viktor Orbán si è mostrato spesso ostile a questo tipo di sanzioni ed è infatti stato il critico più forte all’interno dell’Unione. Anche Cipro e Grecia sono state scettiche a lungo perché le loro industrie navali fanno un sacco di soldi trasportando il petrolio russo.
Sembrerebbe però che per convincere questi Paesi sia stata concordata una soluzione provvisoria in base alla quale Grecia, Cipro e Malta sarebbero risarcite per i loro sacrifici. In base all’accordo, l’Unione Europea ammorbidirà le sue sanzioni su altri prodotti, rimuovendo di fatto il divieto di spedizione di fertilizzanti, cemento e altri prodotti russi. Sostanzialmente si tratta di un do ut des.
Intanto l’Ucraina sta esercitando pressioni sull’Unione Europea per includere non solo un tetto massimo per il prezzo del petrolio, ma anche un embargo sul gas russo e la sua industria nucleare nel suo prossimo pacchetto di sanzioni. «Mentre voi contate i penny, noi contiamo le vite», ha detto in un’intervista Oleg Ustenko, consigliere economico del presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
L’Unione Europea e gli Stati Uniti sperano di avere il meccanismo di limitazione dei prezzi per le esportazioni petrolifere russe entro il 5 dicembre, quando entreranno in vigore le sanzioni dell’Unione Europea che vietano le importazioni marittime di greggio russo. In ogni caso e nonostante gli accordi stretti, l’approvazione potrebbe richiedere del tempo. Ursula von der Leyen però sembra determinata, secondo la presidente della Commissione Europea un nuovo divieto di importazione costerebbe alla Russia 7 miliardi di euro di mancati guadagni. Il blocco amplierebbe anche l’elenco delle esportazioni vietate «per privare la macchina da guerra del Cremlino di tecnologie chiave» dice e aggiunge: «Non accettiamo referendum fasulli né alcun tipo di annessione in Ucraina. E siamo determinati a far pagare al Cremlino il prezzo di questa ulteriore escalation», ha detto ai giornalisti. Le proposte di ieri, infatti, comprendono, oltre alle restrizioni commerciali e al tetto massimo al prezzo del petrolio per i Paesi terzi, anche una nuova lista nera di persone ostili all’occidente.
Si tratta di individui del settore della difesa russo, quelli coinvolti nelle votazioni ad hoc organizzate da Mosca nei territori ucraini occupati, quelli che l’Occidente incolpa per aver diffuso la propaganda russa e quelli che aiutano ad aggirare le sanzioni occidentali. Inoltre, nella proposta, alle società europee sarebbe vietato fornire più servizi alla Russia e ai cittadini europei non sarebbe consentito sedere nei consigli di amministrazione delle società statali russe.
Continua a leggereRiduci
La Danimarca cita espressamente la Russia come autrice del danneggiamento, ma non è chiaro perché Mosca avrebbe dovuto distruggere una sua arma di ricatto. Il Cremlino nega e rilancia un video «sospetto» di Joe Biden.Le compagnie di navigazione non potranno trasportare greggio russo quotato oltre un certo prezzo. Scettiche Cipro e Grecia, ma l’Ue promette loro di togliere altri divieti.Lo speciale comprende due articoli.Atto di sabotaggio. Sulla definizione di quanto accaduto ai due tronconi del gasdotto Nord Stream nessuna delle parti interessate, né il blocco Occidentale, né Mosca, ha dubbi. Le indagini sulle perdite di gas si basano ormai su un’ipotesi di reato ben precisa, ma quanto al probabile sabotatore, lo scontro acceso mette in evidenza contraddizioni e dubbi. La famosa domanda alla base di ogni processo, quel «Cui prodest? A chi giova?» che di solito è un faro per arrivare alla verità, in questo caso getta ancora più confusione sull’intera vicenda. Per l’Europa, la Nato e i Paesi nelle cui acque si è verificato l’incidente, il colpevole è Mosca, anche se solo la Danimarca ha citato apertamente il presunto autore del danneggiamento, mentre gli altri si sono limitati a «suggerirlo». Il ministro della Difesa di Copenaghen, Morten Bodskov, parlando alla televisione danese ha infatti detto testualmente: «La Russia ha una presenza militare significativa nella regione del Mar Baltico e ci aspettiamo che continui a lanciare sciabolate». La polizia dell’altro Paese direttamente coinvolto, la Svezia, ha aperto un’indagine per sabotaggio grave. Danimarca e Svezia, insieme, hanno inoltre convocato un summit d’urgenza per prendere le contromisure di fronte alla tripla fuga di gas: «Dobbiamo capire bene come tutto ciò influirà sulla nostra sicurezza nazionale», ha fatto sapere la ministra degli esteri svedese Ann Linde, anche a nome dell’omologo danese. Le allusioni, neanche troppo velate, alla responsabilità di Putin sono state fatte in più occasioni, anche se non è chiaro perché Mosca avrebbe dovuto mettere a rischio quei gasdotti che insieme ai partner europei ha impiegato anni a costruire, al costo di oltre 20 miliardi di dollari. L’interesse russo, teoricamente, sarebbe quello di mantenere intatta e funzionante la sua arma di ricatto contro l’Europa, chiudendo e riaprendo i rubinetti quando e con chi conviene di più. L’aspetto particolarmente allarmante, qualora fosse stata davvero la Russia a compiere il sabotaggio, sarebbe uno in particolare. L’incidente «tecnico», in entrambi i tronconi del Nord Stream, ha investito direttamente la Zona economica esclusiva delle due nuove matricole della Nato: due perdite di gas sono state rilevate in acque danesi, la terza ricade nella Zee svedese. Ci sarebbe da preoccuparsi dunque se si scoprisse che Mosca ha la capacità di penetrare in acque controllate dalla Nato per compiere ciò che più le aggrada, indisturbatamente. Non solo. Questa eventualità potrebbe costituire il casus belli tra Usa e Russia, dunque bisogna capire se c’è un interesse della Federazione in tal senso: diversamente, il Cremlino avrebbe dato il via a un’azione scriteriata e pericolosa. Ma in questo giallo si è inserita una dichiarazione che ha fatto davvero scalpore. L’ex ministro degli Esteri polacco e attuale europarlamentare Radoslav Sikorski ha suggerito, in un modo abbastanza pittoresco, che gli Stati Uniti sarebbero coinvolti in qualche modo nei misteriosi incidenti al gasdotto. Sikorski ha postato infatti su Twitter una foto del luogo dell’incidente con la didascalia «Grazie, Usa». Sikorski ha proseguito affermando che «l’unica logica di Nord Stream era quella di permettere a Putin di impunemente ricattare o dichiarare guerra all’Europa orientale». Il ringraziamento da parte del polacco ha provocato la reazione della portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, che ha chiesto se la posizione del politico polacco fosse «una dichiarazione ufficiale sul fatto che si tratta di un attacco terroristico». Sikorski ha risposto che «tutti gli stati ucraini e baltici si sono opposti alla costruzione di Nord Stream per 20 anni. Ora 20 miliardi di dollari di rottami metallici giacciono sul fondo del mare, un altro costo per la Russia per la sua decisione criminale di invadere l’Ucraina». Insomma, il politico polacco ha lodato quella che ha poi definito «un’operazione di manutenzione speciale». Anche il principale accusato ritiene che dietro quanto accaduto ci sia lo zampino Usa, tanto che il viceministro degli Esteri russo Alexander Grushko, ha dichiarato che Mosca è aperta a «indagare congiuntamente» per capire le cause delle fughe di gas. Il Cremlino ha definito «stupido e assurdo» accusare la Russia. Il portavoce Peskov ha infatti definito le perdite come «problematiche» e ricordato che il gas russo «costa un sacco di soldi e ora si sta dissolvendo nell’aria». Peskov ha insinuato che chi beneficia di più del fatto che i gasdotti non funzionino sono gli Stati Uniti: «Vediamo un aumento significativo dei profitti delle compagnie energetiche americane che stanno fornendo gas all’Europa». Il dito del portavoce del Cremlino e quello della Zakharova sono stati puntati direttamente contro il presidente Usa Biden. E tra i fan di Mosca c’è chi ha riesumato il video di una conferenza stampa tenuta da Biden prima dell’inizio della guerra in Ucraina. «Se la Russia invaderà l’Ucraina non ci sarà più un Nord Stream 2. Vi metteremo fine», dice il presidente Usa nel filmato. Alla domanda di una giornalista su come gli Stati Uniti potrebbero farlo, Biden risponde: «Le assicuro che saremo in grado di farlo». Zakharova ha dunque invitato Joe Biden a rispondere alla domanda «se gli Stati Uniti d’America hanno realizzato la loro minaccia il 25 e 26 settembre 2022». La Russia intende inoltre chiedere una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu sui danni subiti dal Nord Stream e Nord Stream 2. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sicuri-che-sia-stato-proprio-putin-cio-che-non-quadra-nel-sabotaggio-2658355653.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nuove-sanzioni-sulle-petroliere" data-post-id="2658355653" data-published-at="1664395776" data-use-pagination="False"> Nuove sanzioni sulle petroliere Alle compagnie di navigazione e alle compagnie assicurative sarà vietato trasportare o assicurare il petrolio russo se il prezzo a cui viene venduto è superiore a un certo limite. Funzionerà così il nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia proposto ieri dall’esecutivo dell’Unione Europea. Il limite fissato sarà il prezzo al quale il petrolio russo viene attualmente venduto in Asia, circa il 30% in meno rispetto ai prezzi attuali imposti in Europa. Come già accordato anche gli altri alleati del G7, in particolare il Regno Unito, dove la maggior parte delle petroliere sono assicurate, imporranno le stesse sanzioni. La proposta però prima di essere applicata dovrà essere approvata all’unanimità dai 27 Paesi membri del blocco, che dovranno superare le loro divergenze sulle nuove sanzioni. Le contestazioni dovrebbero arrivare soprattutto dall’Ungheria, dove il primo ministro Viktor Orbán si è mostrato spesso ostile a questo tipo di sanzioni ed è infatti stato il critico più forte all’interno dell’Unione. Anche Cipro e Grecia sono state scettiche a lungo perché le loro industrie navali fanno un sacco di soldi trasportando il petrolio russo. Sembrerebbe però che per convincere questi Paesi sia stata concordata una soluzione provvisoria in base alla quale Grecia, Cipro e Malta sarebbero risarcite per i loro sacrifici. In base all’accordo, l’Unione Europea ammorbidirà le sue sanzioni su altri prodotti, rimuovendo di fatto il divieto di spedizione di fertilizzanti, cemento e altri prodotti russi. Sostanzialmente si tratta di un do ut des. Intanto l’Ucraina sta esercitando pressioni sull’Unione Europea per includere non solo un tetto massimo per il prezzo del petrolio, ma anche un embargo sul gas russo e la sua industria nucleare nel suo prossimo pacchetto di sanzioni. «Mentre voi contate i penny, noi contiamo le vite», ha detto in un’intervista Oleg Ustenko, consigliere economico del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. L’Unione Europea e gli Stati Uniti sperano di avere il meccanismo di limitazione dei prezzi per le esportazioni petrolifere russe entro il 5 dicembre, quando entreranno in vigore le sanzioni dell’Unione Europea che vietano le importazioni marittime di greggio russo. In ogni caso e nonostante gli accordi stretti, l’approvazione potrebbe richiedere del tempo. Ursula von der Leyen però sembra determinata, secondo la presidente della Commissione Europea un nuovo divieto di importazione costerebbe alla Russia 7 miliardi di euro di mancati guadagni. Il blocco amplierebbe anche l’elenco delle esportazioni vietate «per privare la macchina da guerra del Cremlino di tecnologie chiave» dice e aggiunge: «Non accettiamo referendum fasulli né alcun tipo di annessione in Ucraina. E siamo determinati a far pagare al Cremlino il prezzo di questa ulteriore escalation», ha detto ai giornalisti. Le proposte di ieri, infatti, comprendono, oltre alle restrizioni commerciali e al tetto massimo al prezzo del petrolio per i Paesi terzi, anche una nuova lista nera di persone ostili all’occidente. Si tratta di individui del settore della difesa russo, quelli coinvolti nelle votazioni ad hoc organizzate da Mosca nei territori ucraini occupati, quelli che l’Occidente incolpa per aver diffuso la propaganda russa e quelli che aiutano ad aggirare le sanzioni occidentali. Inoltre, nella proposta, alle società europee sarebbe vietato fornire più servizi alla Russia e ai cittadini europei non sarebbe consentito sedere nei consigli di amministrazione delle società statali russe.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
Continua a leggereRiduci
Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
Continua a leggereRiduci
Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
Continua a leggereRiduci