2023-07-02
Siamo in guerra ma nessuno ha il coraggio di dirlo
Vogliamo provare a riavvolgere il nastro e rileggere gli ultimi diciotto mesi di guerra? A marzo dello scorso anno, dopo che le truppe di Vladimir Putin avevano invaso l’Ucraina, l’Europa e gli Stati Uniti si dichiararono pronti a sostenere la resistenza di Kiev, ma mettendo una serie di paletti. Oltre a sanzionare pesantemente Mosca con misure come l’esclusione delle istituzioni finanziarie russe dal circuito internazionale dei pagamenti, gli alleati staccarono una serie di robusti assegni per sostenere l’economia ucraina.Del pacchetto facevano parte fondi per aiutare la popolazione sfollata, ma anche stanziamenti per l’acquisto di munizioni. Salvo alcuni vecchi sistemi di difesa, dall’arsenale da donare a Zelensky erano però esclusi i mezzi più sofisticati, in particolare quelli a più largo raggio, perché questo, spiegarono, avrebbe significato un coinvolgimento diretto nel conflitto, cosa da sempre esclusa sia dagli americani che dagli europei. Dunque, niente lanciarazzi Himars, vietati i carri armati Leopard o Abrams, neanche a parlare degli avanzatissimi aerei da combattimento F16, assolutamente negati i missili a lunga gittata. Sia gli Stati Uniti che i Paesi solidali con l’Ucraina, pur manifestando tutto il loro appoggio a Kiev in quei primi mesi di guerra, dissero chiaro e tondo di non voler essere in alcun modo coinvolti, e quindi esclusero di poter fornire sistemi letali che consentissero un’estensione del conflitto. L’America non è in guerra con la Russia, chiarì più volte Joe Biden, e gli alleati ovviamente concordarono. Aiutiamo Zelensky e la sua gente, però non fino al punto di inviare i nostri soldati, era il messaggio neanche troppo nascosto.Ma alle dichiarazioni ufficiali non sono corrisposti i comportamenti conseguenti. E dunque, ciò che inizialmente si era detto che non potesse essere contemplato, poi invece è diventato possibile, a cominciare dalle armi per finire all’invio di truppe. Niente Himars per lanciare razzi contro i russi? Beh, dopo qualche mese il sistema è stato donato a Kiev. I carri armati tedeschi Leopard e quelli americani Abrams? Da non previsti che erano, in capo a pochi mesi sono diventati previsti. E i caccia multiruolo Fighting Falcon, ossia i cosiddetti F16? Beh, è bastato attendere un anno e poi anche quelli, da non fornibili sono diventati fornibilissimi, al punto da prevedere un addestramento dei piloti ucraini. Insomma, uno dopo l’altro gli armamenti giudicati «pericolosi» perché avrebbero significato un coinvolgimento nella guerra, sono stati messi in campo. E ora, la notizia è di ieri e a darla è stato il capo di stato maggiore americano, il generale Mark Milley, gli Stati Uniti valutano la possibilità di fornire munizioni a grappolo a Kiev, mentre fino a poco tempo fa questo tipo di armamenti era escluso. Basteranno questi ordigni, messi al bando dalla Convenzione di Oslo (e anche da diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, ma non dagli Usa), a dare una svolta al conflitto? Probabilmente no, e infatti già si parla di inviare i missili a lunga gittata, affinché l’esercito ucraino possa colpire non le truppe di occupazione, in Donbass e in Crimea, ma anche la Russia. Del resto, che la fase di esportazione dei combattimenti sia iniziata lo si è visto nelle ultime settimane, con attacchi in territorio russo e, addirittura, un bombardamento per mezzo di droni a Mosca. Dunque, di che cosa ci dobbiamo stupire? Che ancora America e Europa dichiarino di non essere in guerra? Come si è capito, anche se al fronte non sono state dislocate unità combattenti inquadrate nell’esercito di qualche Paese Nato, nelle retrovie agiscono da tempo uomini dell’intelligence e istruttori di Paesi alleati. Ufficialmente i nostri soldati non combattono, ma il nostro coinvolgimento - e per nostro intendo quello dei Paesi alleati - è sempre più evidente, e forse sarebbe ora che il Parlamento, se non quello europeo almeno quello italiano, ne discutesse. La nostra Costituzione rifiuta la guerra come mezzo per risolvere controversie tra Stati, ma il conflitto ormai non è un’opzione lontana che non deve essere presa in considerazione. Si combatte alle nostre porte e noi non siamo estranei a ciò che sta accadendo, ma contribuiamo attivamente, con soldi, armi e - ora l’opzione non è più da escludere - presto forse perfino con i nostri militari.Già, senza che nessuno lo abbia deciso, senza che le Camere ne abbiano discusso, stiamo scivolando nella terza guerra mondiale. Dagli aiuti difensivi (così vennero presentati all’inizio dell’«operazione speciale») siamo passati all’intervento offensivo. Il tutto nel silenzio della politica e con il bavaglio dei media, i quali da tempo hanno rinunciato a svolgere un ruolo indipendente per trasformarsi nell’ufficio stampa della parte aggredita. L’offuscamento della realtà ne è la conseguenza diretta. Siamo in guerra, ma nessuno ha il coraggio di dirlo.
(Ansa)
Il generale Florigio Lista, direttore dell’Istituto di Scienze Biomediche della Difesa, ha spiegato: «Abbiamo fondato un laboratorio di analisi del movimento e stiamo formando dei chirurghi militari che possano riportare in Italia innovazioni chirurgiche come l’osteointegrazione e la Targeted Muscle Reinnervation».
Il rettore della Scuola Superiore Sant’Anna, Nicola Vitiello, ha evidenziato l’obiettivo dell’iniziativa: «Dare ai veterani gli strumenti per un reinserimento completo all’interno della società e del mondo del lavoro».
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