2020-03-28
«Siamo alla rottura Merkel-Macron. Bruxelles non sarà più come prima»
L'economista, in libreria con Pandemia e resurrezione: «Gioco di specchi di Super Mario sul debito: parla per la Germania. Conte rischia la fine di Tsipras. Basta società civile, deve tornare la politica».«Rileggendo San Paolo si elaborano teorie interessanti». Per il professor Giulio Sapelli, economista, docente universitario, analista e saggista di livello internazionale, la sospensione dell'esistenza è tutt'altro che inutile. Ieri ha dato alle stampe il pamphlet più fresco e intrigante del momento: Pandemia e Resurrezione (editori Guerini e Associati e goWare, che lo pubblica online e su Amazon). Perché l'epidemia ci dice cose che noi umani non immaginavamo o solo sospettavamo. Con un imperativo: «Ora tifiamo Italia, poi bisogna cambiare tutto andando alle elezioni».Professor Sapelli, perché l'ispiratore del suo libro è San Paolo?«Ho riletto la Lettera ai romani. C'è quel passaggio del capitolo otto sulla speranza messa alla prova nelle situazioni più orribili. Se speriamo in quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza. C'è un'attesa di cambiamento, tanto per cominciare nell'Europa».Rottura prolungata, direbbero nell'ippica. Cosa vede dietro quei litigi?«La necessità di un cambiamento epocale e la lentezza nel farlo fra Stati divisi. Da una parte Germania e Olanda, dall'altra l'Europa del Sud. E in mezzo la Francia. Emmanuel Macron ha aderito alla lettera dei nove sui coronabond e poi ha fatto un passo indietro. La classica mossa del cavallo della diplomazia francese quando si sente debole, cioè quasi sempre. Però ha spiazzato Angela Merkel».Ci spieghi il duello Merkel-Macron.«La Germania oggi ha un sistema politico fondato sui partiti in crisi. Macron al contrario i partiti li ha distrutti e governa da bonapartista. E questo ai tedeschi non va bene, perché se prende un raffreddore politico manda al governo Marine Le Pen. Mai i rapporti fra i due sono stati a un livello così basso».E noi dove stiamo?«Sullo sfondo, comparse. Ma dentro un Paese così grande che non può fallire e deve essere salvato, sennò crolla l'euro».Se lo aspettava il Mario Draghi del «bisogna fare debito»?«Quello è un gioco di specchi e c'ero caduto anch'io. Ho pensato che dietro ci fossero gli americani che hanno sempre sponsorizzato Draghi. Poi ho notato: il presidente della Bundesbank Jens Weidman tace, la Frankfurter Allgemeine tace, da Le Monde e Le Figaro niente siluri. Allora ho capito che Draghi parlava per i tedeschi. E infatti Angela Merkel ha preso tempo per cambiare politica».Sarebbe una svolta epocale.«Ultimamente la signora non ne ha azzeccata una, ha bisogno di riflettere. Ha voluto a tutti i costi Ursula von der Leyen a Bruxelles, senza esperienza, senza pedigrée. Mai stata una volta primo ministro, non se la fila nessuno. Poi l'altra Caporetto: la sua delfina designata Annegret Kramp-Karrenbauer è stata sconfitta in Turingia e ha dovuto ritirarsi».Anche a Roma si sussurra che un'Europa così non ha senso.«Lo può dire l'opposizione, non il presidente del Consiglio perché un minuto dopo dovrebbe trarre le conseguenze. Conte vuole il Mes senza condizioni, l'Europa del Nord chiede le solite lacrime e sangue. Così lui rischia di fare la fine di Alexis Tsipras. Del resto, Giovanni Agnelli diceva che le politiche di destra vanno fatte fare alla sinistra».Nel frattempo Conte combatte l'epidemia a colpi di decreti.«Leggi eccezionali, provvedimenti extraparlamentari. È un governo bonapartista, come quello di Macron. Solo che fra i due c'è una certa differenza, Conte potrebbe fare solo l'ultimo dei marescialli». Passato il virus, qual è la prima riforma da chiedere all'Europa?«Sono due. La prima è una Bce che faccia la Banca centrale stampando moneta illimitatamente. Negli Stati Uniti in tre giorni la Federal reserve ha pompato 2.000 miliardi di dollari e il governo ha potuto pensare a sostenere tutti i lavoratori, perfino gli interinali. Da noi la Bce è guidata da madame Lagarde, una signora solo ben vestita».Noi abbiamo già perdonato la Cina per il virus, gli americani no.«Gente di buona memoria. Il Senato ha votato un Bipartisan act per denunciare le menzogne della Cina. In Italia invece abbiamo tre quarti della classe dirigente imprenditoriale e burocratica che è filocinese. Lo fanno per interesse, ci vuole poco a fargliela smettere». Parlava di due riforme per l'Europa. La seconda qual è?«Una Costituzione in cui tutti si possano riconoscere. Solo così si può finirla con i patti di stabilità e le Troike. E finirla anche con le spinte nazionaliste diverse dal patriottismo. Insomma, questo è un tempo di meditazione».Il declino della globalizzazione porterà ad avere più Stato nella società.«L'unica globalizzazione è stata quella finanziaria. Il centro della società non è l'economia, ma la società stessa. Lo Stato dovrà assumersi più responsabilità. Ora la Bce distribuirà denaro non per un altro reddito di cittadinanza, ma per nuove imprese di Stato. E per queste servirà una nuova classe dirigente».Bisogna ripartire da zero?«Basta con la società civile, ci vuole una nuova società politica. E la politica è una cosa seria, comincia nei Consigli comunali, poi regionali e finisce in Parlamento. Chi ci crede deve saper scalare la ciminiera per farsi i muscoli; non è più tempo di arrivare in cima senza basi. Abbiamo un ministro degli Esteri che non sa l'italiano».Nel libro lei teorizza che il «tutti in casa» è una strategia sbagliata. «Bisognava sanificare le aziende, metterle in sicurezza e continuare a produrre come hanno fatto Taiwan e la Corea del Sud. La salute non comincia negli ospedali, ma nei luoghi in cui viviamo. In difesa del lavoratore ci sono procedure di business continuity. E il sindacato, invece di minacciare scioperi, dovrebbe conoscerle».
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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