
Solo una settimana fa il leader pentastellato predicava l'infrazione dei vincoli di bilancio. Ora, però, il vicepremier non esita a rimproverare il collega leghista che attacca la regola del 3%. È solo l'ultima delle giravolte sul tema per fare cassa alle urne.«Si può parlare senz'altro di sforare il 3 per cento… I vincoli di bilancio saranno messi in discussione dalle elezioni europee» di fine mese. Parole di Matteo Salvini, che in campagna elettorale non esita a premere l'acceleratore e ad alzare i toni pur di aumentare i consensi nell'elettorato che detesta Bruxelles? No. La frase che abbiamo appena riportato l'ha pronunciata il vicepremier e leader grillino Luigi Di Maio una settimana fa. Lo testimonia un dispaccio dell'agenzia Reuters dell'8 di maggio, che riferisce quanto egli ha detto in una conferenza stampa a Palazzo Chigi. «Per Di Maio, istruzione, sanità e ricerca devono uscire dal computo del deficit», scrisse il redattore del gruppo inglese. E però ora lo stesso capo politico dei 5 stelle non ha esitato ad attaccare l'alleato della Lega proprio sul discorso del 3 per cento di deficit, accusandolo di far salire lo spread e presentandosi come bastione moderato contro la deriva populista.Del resto, che il rapporto del leader pentastellato con i mercati e i conti pubblici sia sempre stato complesso e un po' altalenante lo dimostrano le molte dichiarazioni su questi argomenti nei mesi passati. A volte lo spread tifava per il governo del cambiamento e contro quello di Carlo Cottarelli voluto dal presidente della Repubblica. Altre, invece, il differenziale dei tassi con i nostri titoli di Stato era il bastone che la Ue usava contro il Paese, per impedire che l'esecutivo facesse le scelte per cui era stato votato. Sì, a sfogliare i giornali dell'ultimo anno si hanno delle sorprese, soprattutto sull'andamento ondivago del ministro del Lavoro in materia di economia. Non ci credete? Beh, provate a rileggere il post che Luigi Di Maio mise su Facebook il 29 maggio del 2018, quando il presidente della Repubblica, dopo aver puntato i piedi contro la nomina di Paolo Savona a ministro dell'Economia, accettò dalle mani di Giuseppe Conte la rinuncia al mandato di formare il nuovo governo. «Lo spread oggi è schizzato oltre i 300 punti», scriveva l'attuale vicepremier. «Non accadeva da 4 anni. Il problema non eravamo noi, non era la squadra dei ministri, ma l'incertezza che oggi regna sovrana. Se il governo del cambiamento fosse partito, oggi avremmo un governo politico forte che sarebbe già al lavoro per incontrare gli altri Paesi e spiegargli i dettagli della nostra politica economica». Archiviato il tentativo di mister Mani di forbice di insediarsi a Palazzo Chigi e fatto il governo, l'opinione di Di Maio sullo spread era però già mutata. Il differenziale sui tassi non era schierato al fianco del governo del cambiamento, ma contro. Titolo della Stampa del 13 agosto dello scorso anno: «Lo spread sfiora quota 280. Di Maio: “Non ci faremo ricattare"». Come riferiva il giornale sabaudo, il leader grillino era pronto a non farsi intimidire da un attacco speculativo. Ma quando a ottobre, nel pieno della manovra di bilancio, l'indice tornò a sfondare quota 300, il vicepremier a 5 stelle, in un'intervista a Radio 1 cambiò di nuovo idea: «Ci sono troppe persone dell'establishment che fanno il tifo per lo spread a 400, ma i mercati vogliono più bene all'Italia di qualche politico italiano ed europeo». E tanto per far capire che lui non nutriva alcuna preoccupazione, spiegò che per «rendere felici i concittadini», non ci si doveva «fossilizzare troppo sui numeri», per poi aggiungere che la manovra del cambiamento «era un atto di coraggio che l'Italia aspettava da anni». Insomma, chi se ne impipa dello spread.Ma meno di una settimana dopo, il capo politico dei 5 stelle si dimostrava invece preoccupato per l'aumento dello spread a quota 320, tanto da ipotizzare, durante una puntata di Porta a porta, che il terribile indice fosse salito a causa di un complotto. Non tanto dei mercati, quando di qualcuno che aveva provato a cambiare la manovra. Il sospetto di una manina fu denunciato in seconda serata e Di Maio annunciò addirittura l'intenzione di rivolgersi alla Procura della Repubblica per fare chiarezza. Finita qui? No, perché il 27 novembre il leader pentastellato ribadiva il concetto che dello spread gli importava poco o nulla, in quanto i titoli del debito pubblico sono spalmati su dieci anni e l'incremento dei tassi, per qualche settimana, non costa nulla. Il 30 di novembre, a spread in discesa, il leader pentastellato però tornò a esternare sulla questione mentre era in visita alla Fiera di Verona, spiegando che se lo spread era ridisceso lo si doveva alla manovra espansiva del governo. Traduzione: spendendo 37 miliardi, i mercati si erano calmati. Adesso che Salvini minaccia di sforare il tetto del 3 per cento di deficit (proprio come il vicepremier grillino una settimana fa), Di Maio è tornato in modalità «moderata». Niente più sparate che infiammino lo spread. Solo tisane calmanti. Per lo meno fino alle elezioni. Poi si vedrà.
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