2019-05-29
Si apre la stagione di caccia a Di Maio. Mezzo M5s chiede le sue dimissioni
La riunione d'emergenza non ha sedato i malumori. Gianluigi Paragone, vicino ad Alessandro Di Battista, è chiaro: «I quattro incarichi sono troppi». Carla Ruocco, fedele a Beppe Grillo: «Lasci». E c'è la grana del gruppo all'Ue: senza, addio ai rimborsi.Il governatore della Liguria Giovanni Toti lancia un suo movimento moderato: «Ma non lascio Fi». Il Cav lo fulmina: «Ha risentimenti personali, chi è uscito prima di lui è scomparso».Lo speciale contiene due articoli.La tentazione di rimuovere il lutto e la voglia, invece, di affrontarlo seriamente, in modo adulto e un minimo partecipato. Oscilla ancora tra questi due estremi il pendolo grillino dopo l'euro disfatta di domenica, con il Movimento dimezzato in soli 15 mesi. A guardare il Blog delle Stelle, sembra che non sia successo niente, anzi, che abbiano vinto. Ma ieri il malcontento verso Luigi Di Maio ha cominciato a prendere forma e voce, con alcuni tra gli esponenti più esperti e autonomi che hanno chiesto un cambio di passo, una nuova strategia, un diverso metodo per stare al governo (se proprio è necessario), senza però morire salviniani e dopo un lungo dissanguamento. Questa sera, nell'assemblea romana dei deputati di M5s, Di Maio non potrà cavarsela come ha fatto lunedì pomeriggio al suo ministero, riunendo quattro fedelissimi per dirsi l'un l'altro: «Allora andiamo avanti». Dovrà spiegare la linea «governativa» e dovrà convincere le truppe che il capo del Carroccio può essere logorato, a costo di giocare un po' di sponda con Bruxelles, Francoforte, il Quirinale e le odiate banche. Insomma, con quei poteri forti, per i quali questo colosso ferito da pur sempre 330 deputati può diventare il ventre molle del governo gialloblù. Anche ieri, a 48 ore dall'incubo del misero 17% raccolto alle europee, il Blog delle Stelle, unica fonte d'informazione ufficiale e certificata per il popolo grillino, aveva un qualcosa di vagamente sovietico. In testa all'homepage, nomi e foto dei 14 eletti del Movimento a Bruxelles. Sotto, tra i post in evidenza, ecco subito un nuovo annuncio da battaglia: «E ora allarghiamo la platea dei beneficiari del reddito di cittadinanza!» Molto probabile, con la Lega di Matteo Salvini diventata il primo partito con il 34% dei consensi. Ah, già, perché si è votato. E in effetti, sul blog pentastellato, trova spazio anche la conferenza stampa di lunedì pomeriggio di Di Maio, così titolata: «Una grande lezione: impariamo e non molliamo». Stop. Ma che ogni lezione, prima di essere imparata, vada compresa, è quello che ieri hanno cominciato a dire pubblicamente alcuni grillini con testa non programmata dalla Casaleggio e Associati o, peggio, dai «guru della comunicazione» interna. L'abruzzese Primo Di Nicola, una carriera da cronista all'Espresso, senatore alla prima legislatura, di buon mattino si dimette da vicepresidente del gruppo a Palazzo Madama. Non fa alcuna polemica, ma si affida a poche righe su Facebook: «È una decisione che ritengo necessaria non solo alla luce del risultato elettorale ma anche e soprattutto delle cose che ci siamo detti in tanti incontri e assemblee. Mettere a disposizione del Movimento gli incarichi. È l'unico modo che conosco per favorire una discussione autenticamente democratica su quello che siamo e dove vogliamo andare». Non ci vuol tanto a capire che quel riferimento generico a «mettere a disposizione gli incarichi» dopo una sconfitta rompe il tabù delle dimissioni di Di Maio. Come Di Nicola la pensano in molti, che però parleranno questa sera, ma nella breccia s'infilano subito Carla Ruocco e Gianluigi Paragone, ovvero altri due esponenti non abituati a chiedere il permesso prima di aprire bocca. La Ruocco, presidente della commissione Finanze di Montecitorio, è tra coloro che avrebbero preferito un governo con il Pd e non lo esclude neppure adesso. Ma intanto sceglie Il Messaggero di Francesco Gaetano Caltagirone, probabilmente il quotidiano più inviso ai vertici del Movimento insieme alla Stampa, per mandare a dire che si può stare benissimo all'opposizione e condurre le proprie battaglie in Parlamento. Quanto all'amico Di Maio, eccolo servito di barba e capelli: «Io ritengo che agli onori debbano seguire gli oneri; voglio bene a Luigi con cui per anni abbiamo fatto crescere il Movimento, ma c'è una responsabilità politica di questo brutto risultato che non spunta dal nulla ma ha radici lontane: penso all'esperienza di Roma». Poi la bomba: «Pensi alle dimissioni». A fare più male di tutti, però, è Paragone. Il giornalista si è sbattuto come pochi in questa campagna elettorale, girando tutta l'Italia per sostenere i candidati del Movimento, ha macinato ore e ore di dirette video autogestite che ha riversato sui social e sul web. Insomma, non ha molto da rimproverarsi per questo maledetto «17», eppure spiega al fattoquotidiano.it: «Che ci sia bisogno di una discontinuità è fuor di dubbio, che si debba esaurire nella decisione di Primo Di Nicola di dimettersi credo di no, credo debba essere molto più sostanziosa: la generosità di Luigi di mettere insieme 3-4 incarichi in qualche modo deve essere rivista». Intanto, al di là delle congratulazioni per i 14 che vanno a Strasburgo, c'è anche il problema di fare un gruppo con qualcun altro, in modo da arrivare almeno a quota 25 e prendere i relativi rimborsi da 80.000 euro a testa. Ma i croati di Zivi Zid hanno ottenuto un misero seggio, mentre i polacchi di «Kukiz 15», gli estoni di Elurikkuse Erakond, i greci di Akkel e i finalndesi di Liike Nyt non hanno piazzato neppure un deputato. Risultato, se si vuole limitare l'impatto finanziario di alleanze sbagliate, bisognerà sedersi intorno a un tavolo con il Brexit Party di Nigel Farage. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/si-apre-la-stagione-di-caccia-a-di-maio-mezzo-m5s-chiede-le-sue-dimissioni-2638355613.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="toti-rompe-e-berlusconi-si-infuria" data-post-id="2638355613" data-published-at="1757849021" data-use-pagination="False"> Toti rompe e Berlusconi si infuria Nel giro di tre settimane Silvio Berlusconi è passato da una sala operatoria al Parlamento europeo: è stato eletto con 557.000 preferenze personali, un risultato che anche gli avversari interni al centrodestra hanno riconosciuto essere eccezionale. Mai come in queste elezioni europee Forza Italia è stata Forza Silvio: mentre il vecchio leone si batteva in tutti gli studi televisivi, il partito arrancava, stentava, e così quell'8,7% suona come una solenne bocciatura non certo dell'ex premier, ma di chi doveva gestire il partito e invece ha curato solo il proprio orticello. La differenza abissale tra il Cav e i suoi dirigenti sta tutta nella fotografia della giornata di ieri. Berlusconi è volato a Bruxelles, per il prevertice del Partito popolare europeo. In Belgio e a Strasburgo, c'è da giurarci, resterà molto tempo: si trova perfettamente a suo agio, in quell'ambiente, l'ex premier, che grazie alle relazioni politiche e personali tessute in 25 anni di attività politica e di governo può assumere un ruolo di primo piano. E già al lavoro, ad esempio, per cercare di evitare che Viktor Orbán, presidente ungherese paladino dei sovranisti, venga espulso o decida di andarsene dal Ppe, dal quale è stato già sospeso. «Mi auguro che Berlusconi», ha detto ieri Matteo Salvini, «che ho sentito al telefono, abbia un buon successo da parlamentare europeo, vista la sua esperienza internazionale». Mentre il leader lavora, però, Forza Italia è alle prese con la crisi interna. Per raggiungere l'obiettivo del 10%, infatti, sarebbe bastato che Berlusconi fosse in lista anche nella circoscrizione dell'Italia centrale, dove invece il suo nome non c'era, a differenza che nelle altre quattro. Risultato: superflop di Fi che ha raggranellato un misero 6,25%, con lo smacco del sorpasso da parte di Fratelli d'Italia. Perché Berlusconi non si è candidato al Centro? Semplice: per lasciare campo libero al suo delfino pro-tempore, Antonio Tajani. Una scelta che, stando agli spifferi insistenti e convergenti che arrivano dall'interno del partito, è stata concertata con la senatrice Licia Ronzulli, che ormai in tanti definiscono «la zarina di Forza Italia». Tajani e Ronzulli, in queste ore, sono nel mirino di chi chiede un congresso vero e un rinnovamento della classe dirigente. Al di là delle voci sui suoi frequenti contatti telefonici con Matteo Salvini, alla Ronzulli viene imputato di aver completamente isolato il leader e di avere avuto un ruolo determinante nella composizione delle liste per le europee, e quindi del flop nelle urne. Domani, giovedì, è previsto un comitato di presidenza di Forza Italia. Molti dirigenti del Sud, dove il partito ha ottenuto i risultati migliori, sono pronti ad andarsene se Fi resterà nelle mani di Tajani e della Ronzulli. Da parte loro, attraverso una nota, i consiglieri regionali e gli assessori azzurri in Lombardia hanno chiesto «una modifica coraggiosa e decisa dell'organizzazione del partito». Ieri il governatore della Liguria, Giovanni Toti ha lanciato l'idea di un nuovo soggetto politico, da costruire insieme a Giorgia Meloni, per «riprendere quelle personalità che abbiamo perso per strada nell'ultimo anno quando dicevo che ci saremmo schiantati». Ma giura: Ginché esiste, io sarò in Fi». «Toti», ha commentato Berlusconi, «ha dei suoi sentieri personali che a mio parere non porteranno da nessuna parte. Tutti coloro che sono usciti da Forza Italia si sono condannati all'invisibilità». «Forse Berlusconi non si è accorto», ha replicato, con insolita aggressività, Toti, «che è Forza Italia a marciare diritta verso l'invisibilità. Dimezzare i voti in un anno mi sembra un ottimo viatico in tal senso».