2018-12-16
Si aggravano le bancarotte di casa Renzi
Nuovi indagati e altre perquisizioni per le aziende Delivery e Marmodiv, secondo gli inquirenti amministrate di fatto dai genitori dell'ex premier. Dietro all'ultimo disperato tentativo di salvataggio spunta Mariano Massone, già indagato a Genova con babbo Tiziano. L'ultima e definitiva battaglia tra la famiglia Renzi e la giustizia italiana si sta combattendo intorno a quel che resta della cooperativa Marmodiv di Firenze, per cui la Procura del capoluogo toscano ha chiesto il fallimento. Il fascicolo è lo sviluppo dell'indagine sul crac di un'altra coop bianca (anche se per gli inquirenti non si tratta di vere cooperative), la Delivery service Italia, e potrebbe riservare clamorosi sviluppi. L'inchiesta, condotta dal procuratore aggiunto Luca Turco, consentirebbe di collegare diversi episodi di bancarotta che in passato hanno riguardato fornitori della famiglia Renzi. Vicende raccontate solo su questo giornale e nei libri I segreti di Renzi 1 e I segreti di Renzi 2. La Marmodiv, avviata a fine 2013 da alcuni stretti collaboratori di Tiziano Renzi, avrebbe dovuto prendere il posto della Delivery (fallita nel 2015), a sua volta costituita da persone di fiducia dello stesso Renzi senior. «Per capire che cosa ci sia dietro, basta guardare da dove provengano i fondatori di queste coop. Sono tutti di Rignano sull'Arno» nota un investigatore. Sia la Delivery che la Marmodiv sono nate con un unico scopo, svolgere il ruolo di braccio operativo della Eventi 6, l'azienda dei Renzi. In poche parole dovevano fare da cuscinetto tra il mondo degli accordi milionari, quelli che la Eventi 6 ha firmato con Seat pagine gialle e le aziende della grande distribuzione (Esselunga, Conad, Unicoop), e la caienna di chi tutti i giorni infila nelle cassette delle lettere volantini e brochure. Una realtà fatta di «postini» sottopagati e per lo più stranieri con stipendi al limite dell'indigenza. Una condizione di precarietà permanente in forte contrasto con i lauti introiti incamerati a Rignano sull'Arno. Infatti alla Eventi 6 restava, in base ad accordi scritti, un profitto pulito del 20% (un margine impensabile per quel tipo di attività), in quanto assegnataria delle commesse, mentre i subappaltanti dovevano accontentarsi di fare le nozze con i fichi secchi, cioè effettuare le consegne e far quadrare i conti con il restante 80 per cento. Un'impresa che si è rivelata impossibile. La Delivery è fallita e la Marmodiv è in procinto.Gli amministratori che si sono succeduti nei vari cda delle due ditte sono tutti finiti sul registro degli indagati. Già nell'ottobre 2017 avevamo elencato le prime iscrizioni eseguite per il fallimento della Delivery: quelle degli ex presidenti Pier Giovanni Spiteri, Pasqualino Furii (in rapporti d'affari pure con la Marmodiv) e Simone Verdolin e dell'ex vicepresidente Roberto Bargilli (ex autista del camper per le primarie di Matteo Renzi). Ma l'elenco si è via via allungato. Per esempio sono stati coinvolti nelle indagini anche i presunti amministratori di fatto: Tiziano Renzi, la moglie Laura Bovoli, ma pure lo storico socio d'affari dei genitori dell'ex premier, Mariano Massone, il cui padre Gian Franco venne nominato vicepresidente della Delivery praticamente a sua insaputa, esattamente come gli era accaduto con la Chil post, altra bad company trasferita con tutti i suoi debiti dai Renzi a Massone. Per quel crac Mariano, nel 2016, ha patteggiato una pena di 26 mesi per il reato di bancarotta, mentre Tiziano dopo 29 mesi di indagini è stato archiviato. «Eppure i due sono personaggi dello stesso livello» è il secco giudizio di chi indaga a Firenze.In questi giorni il procuratore aggiunto di Alessandria, Tiziano Masini, ha inviato a Massone, alla moglie Giovanna Gambino e a due presunte teste di legno l'ennesimo avviso di chiusura indagini per un crac, quello della Postitaly 2.1, braccio operativo (evidentemente il sistema dei cuscinetti deve essere uno schema consolidato) della Postitaly. Il nome della capofila è noto ai nostri lettori: nel 2014 la Postitaly avrebbe dovuto acquisire la Eventi 6, liberando i Renzi dall'ingombrante proprietà. L'amministratore Enrico Brignone firmò addirittura due assegni intestati alle sorelle di Matteo Renzi, mai riscossi, visto che il progetto venne archiviato. Il motivo? La ditta aveva una compagine societaria opaca: i reali titolari, i coniugi Massone, detentori del 65% delle quote, risultavano solo da una scrittura privata e non alla Camera di commercio, dove la partecipazione di Mariano è diventata ufficiale solo ad agosto.Così i Renzi, rimasti in sella alla Eventi 6, hanno continuato a gestire anche la Marmodiv. Pure nel cda di questa coop si sono succeduti, come detto, tutti uomini di loro fiducia: il solito Spiteri, che nella vita reale fa il fotografo, l'avvocato Luca Mirco (che ci assicura di non aver avuto un ruolo operativo, ma solo un incarico onorifico), l'imprenditore reatino Giuseppe Mincuzzi (già in affari con i Renzi a inizio millennio), Paolo Terreni (nipote acquisito di Laura Bovoli) e Carlo Ravasio. Quest'ultimo, storico padroncino della Eventi 6, è stato sottoposto a una perquisizione nella scorsa primavera. Sono terminati nel mirino del Nucleo di polizia economico-finanziaria delle Fiamme gialle di Firenze anche i nuovi amministratori, che si sono insediati a marzo, dopo che c'erano state le prime perquisizioni. Ma nonostante gli avvicendamenti ai vertici, dentro la Marmodiv a prendere le decisioni sarebbero stati soprattutto Tiziano Renzi e suo genero Andrea Conticini, molto attivo nel supervisionare le attività dell'impresa. Conticini, lo ricordiamo, è indagato per riciclaggio nella nota inchiesta sulla presunta appropriazione indebita dei fondi dell'Unicef e di altre organizzazioni umanitarie contestata ai suoi due fratelli. Lo scorso 10 dicembre è stato sottoposto a perquisizione anche l'attuale presidente della Marmodiv, il pensionato piemontese Aldo P., che gli inquirenti considerano un mero prestanome, come i consiglieri Valentina P. e Tommaso M.. Tre teste di legno che non si conoscerebbero nemmeno tra loro. Aldo P. è stato imbarcato nell'avventura dal nuovo responsabile commerciale della Marmodiv, Daniele Goglio, uomo portato dentro alla coop da Massone. Goglio e Massone avevano lavorato insieme alla Postitaly e quando si è reso necessario il ricambio del management della Marmodiv, hanno individuato i profili giusti per le sostituzioni: tre anonimi personaggi senza nessuna esperienza nel settore, ma anche senza precedenti penali. La quarantenne torinese Valentina P. ha gestito un bar, il cinquantanovenne Tommaso M. non risulta avere svolto altre attività imprenditoriali, Aldo P., prima della pensione, si occupava di vendere pubblicità per le radio. Quest'ultimo, nel decreto di perquisizione che gli è stato notificato lunedì scorso, è ora accusato dal procuratore aggiunto Turco di bancarotta, anche se il crac della Marmodiv non è ancora stato ufficializzato.Nel procedimento fallimentare i pm hanno depositato anche diverse intercettazioni acquisite nell'indagine penale, conversazioni che svelerebbero chi effettivamente abbia potere decisionale dentro all'azienda. Nell'udienza del 12 dicembre, dopo che il consulente tecnico d'ufficio Francesco Terzani ha consegnato al giudice Silvia Governatori una perizia molto negativa sullo stato d'insolvenza della coop, l'avvocato della Marmodiv, Alessandro Ribaudo, ha estratto dal cilindro la candidatura di una ditta genovese, la Dmp servizi pubblicitari, che sarebbe pronta ad acquisire la società fiorentina, accollandosi debiti e dipendenti. La società ligure era già stata la ciambella di salvataggio per Mirko Provenzano, stretto collaboratore dei Renzi, dopo il fallimento della sua Direkta Srl (l'uomo ha già patteggiato, mentre per lo stesso crac è in attesa del rinvio a giudizio Laura Bovoli). Provenzano prima fu parcheggiato alla Marmodiv e poi passò alla Dmp. Venne mandato in Sicilia a occuparsi della distribuzione dei volantini Conad, ma con scarsi risultati. «Mi sono reso conto di aver sbagliato a prenderlo», ammette Massimiliano Di Palma, titolare della Dmp.L'imprenditore, a proposito della nuova missione di soccorso, aggiunge: «La Marmodiv? Il mio interesse è l'apertura di nuovi mercati, per esempio in Toscana. Ci sono contatti con dei clienti importanti, come la Esselunga, con cui non abbiamo mai lavorato» ci spiega. «Ma la Esselunga non è direttamente cliente della Marmodiv, bensì della Eventi 6» rimarca un inquirente. «Qualche settimana fa ho mangiato una bistecchina intorno a Firenze con Tiziano Renzi» continua Di Palma. E così anche in questa inchiesta spunta la celebre «bistecchina» assurta a paradigma di influenze più o meno lecite nell'inchiesta Consip. Renzi senior e Di Palma si conoscono dai tempi della distribuzione del Secolo XIX a Genova, quando le loro società finirono sotto processo per la gestione degli strilloni e furono condannate a pagare dei risarcimenti. Ma Di Palma nega di aver parlato della Marmodiv davanti alla lombata di chianina. E allora con chi ha discusso dell'affare? «Il facilitatore è stato Massone» confessa l'imprenditore genovese alla Verità. Il bancarottiere, nelle scorse settimane, avrebbe organizzato a Genova un summit tra Aldo P., Goglio e Di Palma. Il tutto per evitare guai peggiori a Tiziano e Laura, già sufficientemente in difficoltà: a marzo sono attesi da un processo per false fatture mentre, nel fascicolo Delivery, una ulteriore bancarotta rappresenterebbe una reiterazione dei reati fallimentari dalle conseguenze nefaste. Per questo la proposta della Dmp pare l'estremo tentativo di salvare il salvabile, a tempo quasi scaduto (il giudice Governatori ha fissato la prossima udienza per il prossimo 15 gennaio). Basterà a sistemare le cose? Un investigatore, con chi scrive, si mostra scettico e si lascia sfuggire un commento sibillino: «Ormai è tardi». E non crediamo sia un fan di Vasco Rossi.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)