Liberati, tra gli applausi dei residenti regolari di via Bolla, 156 alloggi. Grazie al blitz di 200 uomini delle forze dell’ordine. È l’inizio di un piano regionale da 33 milioni.
Liberati, tra gli applausi dei residenti regolari di via Bolla, 156 alloggi. Grazie al blitz di 200 uomini delle forze dell’ordine. È l’inizio di un piano regionale da 33 milioni.Finalmente è finito il calvario degli abitanti di via Bolla, a Milano. Nella mattinata di ieri, alle 8 circa, sono iniziate le operazioni di sgombero degli appartamenti occupati abusivamente dai rom. Il maxi blitz ha visto coinvolti più di 200 appartenenti alle forze dell’ordine in tenuta antisommossa, con l’ausilio di vigili del fuoco, polizia locale e Protezione civile. A questi si sono aggiunti i tecnici dell’Unareti Milano, società che gestisce l’energia elettrica e il gas, dell’Aler e artigiani fabbri. Sono stati svuotati i civici 38, 40 e 42, per un totale di 156 alloggi, di cui 90 occupati abusivamente. Diverse le famiglie con minori, che verranno seguite dai servizi sociali del Comune di Milano. Questo è il primo passo di un progetto di riqualificazione della zona, per cui Regione Lombardia ha stanziato 33 milioni di euro. Le manovre di sgombero hanno avuto inizio con il ritrovo alle 7.30 presso Piazzale Moratti di poliziotti, quasi tutti provenienti dai reparti mobili milanesi e dalle regioni vicine, agenti in forza al commissariato Bonola, alla Squadra mobile, all’ufficio immigrazione della questura, e carabinieri. Con blindati, macchine di servizio e auto civetta sono poi giunti presso i fatiscenti e degradati palazzi di via Bolla e hanno dato avvio a perquisizioni e allo svuotamento degli appartamenti occupati abusivamente. Nei giorni precedenti già numerose famiglie rom avevano abbandonato spontaneamente le abitazioni, mentre sono circa 70 le persone che nella mattinata di ieri hanno lasciato gli appartamenti, con grandi valigie e borsoni. Tutto è avvenuto tra grandi applausi e apprezzamento dei residenti regolari. «Finalmente possiamo tornare a vivere tranquilli, senza più paura di uscire di casa ed essere costretti ad assistere a episodi pericolosi», dice una donna. «Speriamo che questo sia l’inizio di un’effettiva ripresa della zona e che non sia l’ennesima promessa non mantenuta». Lo sgombero è stato pianificato dal questore, Giuseppe Petronzi, e dal prefetto, Renato Saccone. Sul posto presenti anche l’assessore regionale alla Casa e housing sociale, Alan Rizzi, e l’assessore di Municipio 8, Fabio Galesi. La questura fa sapere che le operazioni si sono svolte senza problemi, senza litigi e urla: solo alcune persone si sono inizialmente rifiutate di lasciare gli appartamenti, cedendo però poco dopo. Affidandosi a un post su Instagram, l’assessore comunale alla Sicurezza, Marco Granelli, ha scritto: «Dopo un lavoro di sei mesi guidato dalla prefettura, intensamente chiesto e incoraggiato dal Comune, e dopo anni di completo abbandono da parte di Aler e Regione Lombardia, si compie una vera svolta. Aler, l’azienda che gestisce le case popolari della Regione, sta mettendo in sicurezza e a breve inizierà una riqualificazione totale. I servizi sociali del Comune di Milano hanno analizzato una a una le situazioni sociali ed economiche dei nuclei familiari, Aler ha messo a disposizione numerose soluzioni per il sostegno abitativo, cui ha contribuito anche il Comune, per circa 50 nuclei familiari con minori, perché non si mettono in strada i minori». E ha aggiunto: «Chi governa una città, chi deve tutelare sicurezza e ordine pubblico ha il dovere di affrontare e risolvere i problemi. Questo il Comune ha scelto di fare, cercando soluzioni concrete, per il bene della città, per la legalità, la sicurezza, la giustizia sociale». Forse però questa operazione doveva essere fatta prima, quando sono cominciate le denunce dei residenti. Prima che ci fossero risse, spacci di droga, uso di armi. Prima che la zona diventasse teatro e palcoscenico dell’illegalità e della criminalità. Però come si dice, «meglio tardi che mai». Non è certo una coincidenza, comunque, che questa operazione sia coincisa con il cambio della guardia al Viminale…
Ambrogio Cartosio (Imagoeconomica). Nel riquadro, Anna Gallucci
La pm nella delibera del 24 aprile 2024: «Al procuratore Ambrogio Cartosio non piacque l’intercettazione a carico del primo cittadino di Mezzojuso», sciolto per infiltrazione mafiosa. Il «Fatto» la denigra: «Sconosciuta».
Dopo il comunicato del senatore del Movimento 5 stelle Roberto Scarpinato contro la pm Anna Gallucci era inevitabile che il suo ufficio stampa (il Fatto quotidiano) tirasse fuori dai cassetti le presunte valutazioni negative sulla toga che ha osato mettere in dubbio l’onorabilità del politico grillino. Ma il quotidiano pentastellato non ha letto tutto o l’ha letto male.
Federico Cafiero De Raho (Ansa)
L’ex capo della Dna inviò atti d’impulso sul partito di Salvini. Ora si giustifica, ma scorda che aveva già messo nel mirino Armando Siri.
Agli atti dell’inchiesta sulle spiate nelle banche dati investigative ai danni di esponenti del mondo della politica, delle istituzioni e non solo, che ha prodotto 56 capi d’imputazione per le 23 persone indagate, ci sono due documenti che ricostruiscono una faccenda tutta interna alla Procura nazionale antimafia sulla quale l’ex capo della Dna, Federico Cafiero De Raho, oggi parlamentare pentastellato, rischia di scivolare. Due firme, in particolare, apposte da De Raho su due comunicazioni di trasmissione di «atti d’impulso» preparati dal gruppo Sos, quello che si occupava delle segnalazioni di operazione sospette e che era guidato dal tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano (l’uomo attorno al quale ruota l’inchiesta), dimostrano una certa attenzione per il Carroccio. La Guardia di finanza, delegata dalla Procura di Roma, dove è approdato il fascicolo già costruito a Perugia da Raffaele Cantone, classifica così quei due dossier: «Nota […] del 22 novembre 2019 dal titolo “Flussi finanziari anomali riconducibili al partito politico Lega Nord”» e «nota […] dell’11 giugno 2019 intitolata “Segnalazioni bancarie sospette. Armando Siri“ (senatore leghista e sottosegretario fino al maggio 2019, ndr)». Due atti d’impulso, diretti, in un caso alle Procure distrettuali, nell’altro alla Dia e ad altri uffici investigativi, costruiti dal Gruppo Sos e poi trasmessi «per il tramite» del procuratore nazionale antimafia.
Donald Trump e Sanae Takaichi (Ansa)
Il leader Usa apre all’espulsione di chi non si integra. E la premier giapponese preferisce una nazione vecchia a una invasa. L’Inps conferma: non ci pagheranno loro le pensioni.
A voler far caso a certi messaggi ed ai loro ritorni, all’allineamento degli agenti di validazione che li emanano e ai media che li ripetono, sembrerebbe quasi esista una sorta di coordinamento, un’«agenda» nella quale sono scritte le cadenze delle ripetizioni in modo tale che il pubblico non solo non dimentichi ma si consolidi nella propria convinzione che certi principi non sono discutibili e che ciò che è fuori dal menù non si può proprio ordinare. Uno dei messaggi più classici, che viene emanato sia in occasione di eventi che ne evocano la ripetizione, sia più in generale in maniera ciclica come certe prediche dei parroci di una volta, consiste nella conferma dell’idea di immigrazione come necessaria, utile ed inevitabile.
Adolfo Urso (Imagoeconomica)
Il titolare del Mimit: «La lettera di Merz è un buon segno, dimostra che la nostra linea ha fatto breccia. La presenza dell’Italia emerge in tutte le istituzioni europee. Ora via i diktat verdi o diventeremo un museo. Chi frena è Madrid, Parigi si sta ravvedendo».
Giorni decisivi per il futuro del Green Deal europeo ma soprattutto di imprese e lavoratori, già massacrati da regole asfissianti e concorrenza extra Ue sempre più sofisticata. A partire dall’auto, dossier sul quale il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha dedicato centinaia di riunioni.







