A Milano, ormai, la sicurezza e il buon senso cedono sempre più il passo alla folle ideologia verde. Tra piste ciclabili di difficile comprensione, carreggiate per le automobili ridotte, spazi adibiti al parcheggio eliminati, area B e C, è sempre più evidente che il sindaco del capoluogo lombardo, Giuseppe Sala, continui la sua utopica guerra contro le macchine. Il risultato? Più incidenti e traffico, minor incolumità ed equilibrio.
Emblema della dissennatezza e scellerataggine della giunta milanese è Corso Buenos Aires, uno degli snodi principali di collegamento tra il centro della città e la periferia nord, nonché rilevante arteria commerciale. Qui, da entrambi i lati della carreggiata, tra un marciapiede già parecchio ampio e la pista ciclabile, è stata inserita un’ulteriore corsia, che percorre l’intera via dello shopping, dove è raffigurato un omino stilizzato. Da questa trovata alquanto “curiosa”, emergono due questioni. Innanzitutto, sorge spontaneo chiedersi a cosa effettivamente serva questo spazio adiacente al marciapiede. Forse è per il sorpasso da parte dei pedoni frettolosi? O magari è destinata agli animali a passeggio?
Utilizzando un po’ di logica, o forse è più tanta fantasia, potrebbe essere una corsia per i runners e per chi fa jogging. Soluzione comunque bislacca dal momento che a poca distanza è presente un parco in cui è possibile correre liberamente, senza fare lo slalom tra biciclette che sfrecciano in ogni dove, monopattini elettrici confusi e auto parcheggiate illegalmente.
A quanto detto dell’assessora alla Mobilità, Arianna Censi, questo è solo il primo passo di «un intervento che prevede la sistemazione della parte pedonale, con l’allargamento dei marciapiedi». Ciò, ovviamente, ha scatenato l’indignazione e l’ira degli automobilisti diretti al lavoro, ancora una volta sottomessi a quell’ecologismo radical chic che li vede come il nemico numero uno da combattere ed eliminare.
Il secondo aspetto, invece, riguarda il restringimento della carreggiata. In una via che è già di per sé molto frequentata dalle vetture a motore, ridurre la viabilità ad una sola corsia implica un congestionamento del traffico che ha ricadute in primo luogo sui servizi di emergenza. Infatti, non essendoci un corridoio riservato ad ambulanze, vigili del fuoco e forze dell’ordine, molto spesso questi rimangono imbottigliati negli ingorghi, impiegando tempi paradossali per percorrere poche centinaia di metri e ritardando, così, negli interventi richiesti.
Ma ciò ha conseguenze e ripercussioni anche sull’inquinamento, tanto che quella del Pirellone rimane una delle città in cui si superano più frequentemente i limiti stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità sulla concentrazione di polveri sottili e i cui i livelli di inquinanti dell’aria sono quasi quattro volte superiori alla soglia di sicurezza. Situazione che non può che peggiorare se si iniziano anche a inserire dei «pre-marciapiedi» inutili. Insomma, una corsia aggiuntiva per i pedoni che non serve a nulla di concreto, se non a rendere difficoltosa la circolazione della mobilità non dolce, creando solo un corto circuito urbanistico che non agevola nessuno.
Se l’obiettivo di Sala e della sua giunta è quello di rendere Milano città simbolo dell’ideologia green, con più spazio pubblico e meno traffico, forse dovrebbe rivalutare i vari fanatismi salottieri, riconoscere il flop di questi diktat quanto mai fragili e pensare a qualche soluzione che effettivamente aiuti i suoi cittadini.
Stessa sorte è toccata a Corso Venezia, una delle vie più eleganti di Milano. Anche qui, tra i Giardini Pubblici Indro Montanelli, palazzi storici e costruzioni in stile liberty, vi è da ambo i lati della strada, adiacente a un marciapiede già di per sé molto largo, una sicuramente ampia ma altrettanto inutile pista pedonale. Il risultato? Senza neanche a dirlo, l’anarchia e il paradosso: macchine parcheggiate con le doppie frecce in mezzo alla strada, moto lasciate sulla pista ciclabile, traffico congestionato.
Ma Corso Venezia, negli ultimi giorni, è protagonista di un’ulteriore proposta ecofanatica: la giunta di Sala, infatti, vuole trasformare il Quadrilatero della moda, quartiere milanese delle attività commerciali di lusso, Zona a traffico limitato (Ztl), rendendolo inaccessibile alle auto private. Il capogruppo di Forza Italia del Municipio 1 di Milano, sui suoi account social, si è detto contrario a questa proposta, poiché «la pedonalizzazione di questa area stravolgerebbe totalmente la viabilità delle vie limitrofe», tra cui proprio Corso Venezia.
Le iniziative di Sala e della sua giunta sono quindi definibili abbastanza sicure, ragionevoli e attente alle esigenze delle persone da legittimare (o quantomeno giustificare) il progetto di transizione green?
Il primo cittadino, infatti, sembra non considerare un dettaglio per nulla irrilevante: Milano non è Amsterdam. Una metropoli come quella meneghina non può essere oggetto di iniziative che la vogliono interamente percorribile in bici o a piedi, proprio in virtù delle sue caratteristiche urbanistiche e del suo stile di vita, sociale e produttivo. Ecco che, dunque, la linea di confine tra una città che tenta di promuovere l’efficienza e l’attrattiva dello spazio pubblico ad una metropoli fluida, politicamente corretta, ma dove l’ipocrisia e la non sicurezza ne fanno da padrona, è stata più che superata.
Chi è senza divieto, scagli il primo pacchetto di sigarette. L’Italia «smoking free» immaginata dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, che vorrebbe inasprire le limitazioni al fumo a suo tempo imposte dalla legge Sirchia del 2003, di fatto già esiste a macchia di leopardo ed è talmente caotica e mal congegnata da renderla quasi un piccolo capolavoro della burocrazia. Una specie di devolution del tabacco dove ogni regione, ogni città, ogni sindaco (verrebbe da dire: ogni amministratore di condominio) si muove da sé secondo criteri e modalità assolutamente naif.
Da Nord a Sud, non c’è distinzione ideologica o geografica che tenga. Al bando le bionde. E, quindi, è vietato fare una boccata di nicotina, già da un bel po’, in luoghi come Olbia, Sassari e Stintino in Sardegna; Capaci, Lampedusa e Linosa in Sicilia; Manduria e Porto Cesareo in Puglia. Nel Lazio, invece, accendino e sigarette sono banditi ad Anzio, Ladispoli, Ponza, Sperlonga, Gaeta, Fiumicino e Torvaianica. A Pesaro, San Benedetto del Tronto e Sirolo nelle Marche. Anche in Abruzzo, ad Alba Adriatica; e a Rimini e Cesenatico in Emilia Romagna. Prendiamo un attimo fiato e proseguiamo: in Liguria a Lerici, Sanremo e Savona; e ad Arenzano e Chioggia in Veneto. Qual è il problema, vi starete probabilmente chiedendo mentre cercate nervosamente i fiammiferi in tasca? Ebbene, la criticità è che ogni amministrazione comunale fa gioco a sé.
Ad Alghero, per esempio, non si può fumare in spiaggia e negli specchi d’acqua fino a 20 metri dalla riva, mentre a Bibione il divieto è limitato solo ai 15 metri che delimitano la battigia. A Ravenna, invece, le sigarette sono proibite esclusivamente entro il perimetro degli stabilimenti. Probabilmente, il fumo non è più nocivo se ci allontaniamo dalle spiagge. Non siete ancora convinti della Babele di proibizioni «creative» che vige nel nostro Paese? Allora, ecco un’altra carrellata di casi emblematici. A Sorso, un Comune in provincia di Sassari, c’è il «divieto di fumo in tutti i parchi e giardini pubblici fino a una distanza minima di 15 metri dalle attrezzature destinata al gioco di bambini, da lattanti e bambini fino a 12 anni e donne in stato di gravidanza, nei pressi di fermate di attesa dei mezzi pubblici fino ad una distanza di 15 metri dalle relative pensiline ed infrastrutture segnaletiche».
Orbene, capirete che è complicato per chiunque – a meno che non sia Superman – calcolare con una sola, rapida occhiata la distanza dal luogo di «commissione del delitto»; e di certo nemmeno possiamo pretendere che la polizia municipale giri per le strade, per i parchi e per i giardini con in mano un metro per verificare o meno la violazione. A Padova, per dirne una, sono un po’ più elastici e la lontananza è stata fissata ad appena 3 metri. Poco fuori il capoluogo, a Cittadella, è invece rigorosamente vietato fumare nel centro storico. Se ci si sposta di un paio di strade, si possono accendere anche i... bengala. Bah.
A Bolzano un’ordinanza ha previsto il divieto di fumo nei parchi giochi e nelle aree pubbliche in prossimità di lattanti e di bambini fino a 12 anni. Domanda: come fa un fumatore a valutare l’età di un ragazzo e, quindi, la possibilità di far scoccare la scintilla dell’accendino? Impossibile, a meno che non si tratti del dottor House. A Napoli, capitale delle sigarette di contrabbando e perciò luogo simbolo della lotta al fumo selvaggio, è stato deciso di proibire le sigarette nelle immediate vicinanze di persone in gravidanza. Diventa lecito quindi chiedere a una donna se è in dolce attesa o se semplicemente ha mangiato una sfogliatella ditroppo? Last but not least in questa speciale classifica di luoghi dediti al proibizionismo, la Milano green e arcobaleno di Beppe Sala. Dove il 19 gennaio 2021 è entrato in vigore il provvedimento secondo cui è possibile fumare all’aperto solo se ci si trova in luoghi isolati o se non ci sono persone nel raggio di dieci metri. Il divieto si estende pure alle fermate dei mezzi pubblici, agli stadi e alle strutture sportive, ai parchi, ai cimiteri, alle aree cani, alle code per accedere a musei o servizi comunali. Insomma, più facile smettere di fumare che trovare un modo per fare una boccata.
Le sanzioni prevedono una multa da 40 a 250 euro in caso di inottemperanza. Col suo solito stile da papà premuroso, il primo cittadino ha spiegato che ci sono due obiettivi per cui è stata varata questa legge comunale: ridurre le particelle inquinanti nocive per i polmoni e tutelare la salute dei cittadini dal fumo attivo e passivo. Bene, bravo, bis. Ma i milanesi come l’hanno presa? Guardando i numeri, la crociata anti sigarette dalle parti della Madunina non sembra granché un successo: dall’entrata in vigore, sono state appena 254 le multe. Scopriremo un giorno quante saranno pagate e quante impugnate visto il livello aleatorio dei diktat. Un numero comunque che, proiettato su scala nazionale, fa immaginare che il sistema repressivo che vorrebbe adottare lo stesso ministro per tutt’Italia non è proprio baciato dalla fortuna. E non migliorerebbe certo ampliando il divieto anche a sigarette elettroniche e prodotti di tabacco riscaldato. Il tema non è che cosa vietare, ma per quale motivo farlo in maniera così grottesca.
Pur di fare più piste ciclabili Sala le infila nel traffico. Risultato: aumentano i feriti
Piste ciclabili, quattro linee metropolitane, autobus e tram che passano ogni manciata di minuti: vista così, Milano sembra essere proprio la città modello che tutti decantano. Però la gestione della mobilità da parte del sindaco Giuseppe Sala è tutt’altro che perfetta: sicurezza e buon senso cedono il posto alle tendenze gretine.
Il primo cittadino coi pedalini arcobaleno punta a disincentivare l’utilizzo delle auto: con l’attivazione dell’area B, porta avanti l’ecologismo radical chic. Chi ci rimette sono lavoratori e ceto medio. Le strade poi sono in condizioni penose. Giovanni Storti - l’amatissimo comico del trio Aldo Giovanni & Giacomo - si è fatto filmare mentre segna con vernice rosso sangue l’asfalto attorno ai binari del tram di via Bramante, in centro. Nel video attacca l’amministrazione, invitandola a «curare le ferite» aperte delle strade milanesi. Anche le piste ciclabili versano in condizioni disastrose: mancano le condizioni per una fruizione sicura e la convivenza col traffico a motore. I dati forniti da Areu (Agenzia Regionale Emergenza Urgenza), parlano chiaro. I numeri annuali, disponibili dal 2018, evidenziano come le due ruote (bici e monopattini) abbiano aumentato la propria incidenza nel totale complessivo dei sinistri avvenuti nell’area urbana. Nel 2018 Areu ha registrato un totale di 1.379 incidenti che hanno coinvolto ciclisti. Nello specifico 688 interventi sono stati categorizzati come «caduta da bici» e 691 come «investimento ciclista». Nel 2019 il bilancio è aumentato: 1.427 sinistri (724 cadute e 703 investimenti), con una crescita del 4%. Tolti i dati del 2020 - «sterilizzati» dalla pandemia - il 2021 rivela una sensibile crescita: 1.873 incidenti (1.009 cadute e 864 investimenti). C’è un incremento del 31% rispetto al 2019 e del 35% sul 2018. Per il 2022, al momento della redazione di questo articolo, sono disponibili dati fino al 9 novembre, ma le cifre non fanno ben sperare: 1.628 sinistri (870 cadute e 758 investimenti).
Questi numeri rispecchiano sicuramente l’incremento della circolazione delle biciclette dalla fine della pandemia in avanti, tuttavia non considerano una categoria che ha aumentato la sua presenza per le strade milanesi in modo esponenziale: i monopattini elettrici. Nel 2021 i sinistri che li ha visti coinvolti sono stati ben 685 a Milano, risultando il 69% di tutti gli incidenti riguardanti la cosiddetta micro-mobilità elettrica.
La Verità ha analizzato giorno per giorno i dati della Aat118 (Articolazione Aziendale Territoriale 118) tra 9 e 25 novembre 2022, comprendendo anche quelli relativi a monopattini e pedoni, altra categoria di rilievo nel bilancio complessivo e parte della cosiddetta «mobilità fragile». Pur essendo una stagione con clima sfavorevole alle due ruote, il totale degli incidenti nei 15 giorni considerati è stato di 81 sinistri tra mobilità elettrica (27) e biciclette (54, di cui 22 cadute e 32 investimenti). I pedoni investiti sono stati ben 73.
Al netto dell’indisciplina, della distrazione e spesso della scarsa visibilità di ciclisti e pedoni, quello della sicurezza delle corsie dedicate alla mobilità dolce è l’aspetto dove l’amministrazione locale ricopre un ruolo di massima responsabilità, a partire dalla loro progettazione. Proprio quest’ultimo punto è uno dei più dibattuti, in particolare se si considera il periodo di espansione delle ciclabili durante e dopo la pandemia. Nei mesi del bonus biciclette, il governo Conte bis emanò il decreto Rilancio (DL 19/5/2020 n.34), che conteneva anche una definizione di massima delle ciclabili, proprio in vista della loro espansione al termine dell’epidemia.
I percorsi stradali destinati ai velocipedi, dal 2020 in poi, sono stati realizzati dal comune di Milano poco dopo la pubblicazione del decreto (non ancora legge), che tra le righe accoglieva anche una modifica del nuovo codice della strada (D. Lgs n.285/1992 e successive modifiche). Questo introduceva il doppio senso ciclabile, in contromano rispetto al senso di marcia delle auto. La giunta Sala, prima dell’emanazione del decreto attuativo, aveva già segnato le righe gialle della ciclabile in Porta Venezia, finita subito al centro di polemiche dopo i primi servizi dei media e rapidamente «rappezzata» dal comune. Anche la pista di corso Buenos Aires presenta anomalie, la più palese è frutto del compromesso forzato tra veicoli e biciclette. Al di là del restringimento della carreggiata che più volte ha mandato il traffico in tilt, i parcheggi per le auto a sinistra della ciclabile occupano la carreggiata stessa, in contrasto con l’articolo 7 del codice della strada. In questa situazione, incontrano maggiori difficoltà le persone disabili. La fretta di portare avanti un programma prettamente ideologico ha generato anomalie nella realizzazione delle ciclabili, che in diversi tratti sono caratterizzate da una posizione quantomeno «borderline» rispetto alle regole stradali. Questa è la visione di Enrico Bonizzoli, uno dei più grandi esperti di codice della strada e ciclabili d’Italia, la cui consulenza è stata snobbata dagli assessori Marco Granelli e Pierfrancesco Maran. Bonizzoli critica alcune delle tante «ciclofollie» di Sala, come la pista ciclabile di via Vaiano Valle, una strada di periferia stretta e aperta al traffico veicolare. In un lembo d’asfalto, il comune ha autorizzato il doppio senso ciclabile senza che le caratteristiche indicate dal codice fossero rispettate e con la segnaletica non normata. L’esperto cita poi il caso di via Martiri Oscuri, un senso unico che incrocia la pista di viale Monza dove il comune ha realizzato un doppio senso ciclabile, disattendendo le norme sia circa la segnaletica orizzontale sia per la disposizione di cordoli e parcheggi in carreggiata. Altro caso limite è corso Sempione, dove la presenza di cordoli provvisori ha causato diversi incidenti a danno dei motociclisti. Non fa eccezione la pista di via Novara, una delle ultime tracciate e indicata dall’assessore Arianna Censi come «risposta necessaria ai bisogni e alle richieste dei cittadini». Concepita come la bike lane di corso Buenos Aires, quella della zona San Siro però si trova in un punto totalmente differente per caratteristiche dal corso dello shopping. Posta ai lati di un’arteria periferica a grande scorrimento, la ciclabile è fiancheggiata da attività commerciali e servizi, con ampi parcheggi che tagliano la strada al traffico delle bici. Inoltre in prossimità di due grandi poli - lo stadio Meazza e l’ospedale San Carlo - il restringimento di carreggiata crea un collo di bottiglia che ostacola la circolazione. Nonostante gli evidenti problemi, Sala ha annunciato orgogliosamente 25 nuove ciclabili.
La sicurezza per i ciclisti è ultimamente invocata anche da chi ha promosso e promuove la mobilità dolce a Milano, organizzando due flashmob lungo la ciclabile da Porta Venezia a Sesto San Giovanni. Ilaria Lenzi e Angelo Barney Lisco, esponenti del comitato «ProteggiMi», che ha organizzato la catena di ciclisti, auspicano una serie di interventi per la sicurezza. Il comitato ha lanciato una serie di appelli affinché il comune si decida ad attuare scelte più coraggiose e non di «compromesso». Silvia Frisina, delegata di presidenza e responsabile della comunicazione dell’Associazione Familiari Vittime della Strada (Afvs), si associa all’appello per la sicurezza del traffico ciclabile. Con una serie di proposte al comune (ancora senza risposta), l’Afvs rimarca la necessità di un intervento sollecito. Come il programma «See-you-fatti vedere», che spinge sulla regolamentazione dell’utilizzo di luci ed abbigliamento ad alta visibilità. Questo aspetto è largamente disatteso soprattutto dai «rider», che giocano alla roulette russa in condizioni di visibilità pressoché nulle. La Prefettura si è detta entusiasta, mentre dalla giunta Sala per ora nulla.




