Aziende come Hermès e Lvmh si attestano a livelli record. Però alcuni analisti invitano alla cautela e mettono in guardia da possibili inversioni di tendenza, anche in relazione alle turbolenze politiche.
Aziende come Hermès e Lvmh si attestano a livelli record. Però alcuni analisti invitano alla cautela e mettono in guardia da possibili inversioni di tendenza, anche in relazione alle turbolenze politiche.C’è ancora effervescenza sul settore del lusso in Borsa, nonostante gli inviti alla cautela. Come quelli di una recente analisi di Deutsche Bank secondo cui il rallentamento della crescita negli Stati Uniti, il più grande mercato del lusso dopo l’Asia, è motivo di preoccupazione. Aziende come Hermès e Lvmh sono al momento a livelli record in Borsa, con valutazioni storicamente alte e secondo alcune analisi vulnerabili a una possibile inversione di tendenza. I risultati finanziari delle aziende del lusso nel primo trimestre hanno mostrato un forte aumento delle vendite, trainato dalla riapertura della Cina e da una crescita più resiliente in Europa.«Il gigante del settore mondiale è la francese Lvmh le cui azioni hanno sfiorato i 900 euro di valore nelle scorse settimane e attualmente capitalizza circa 423 miliardi di euro. Come dire il valore complessivo aggregato delle prime 10 società quotate a Piazza Affari (Eni, Stellantis, Intesa, Eni, Ferrari, Stm, Unicredit, Generali, CNH, Moncler)», ricorda Salvatore Gaziano di SoldiExpert Scf. Bernard Arnault, il numero uno mondiale del settore del lusso, ha dichiarato durante l’assemblea generale di Lvmh (tenuta al Louvre) qualche settimana fa che anche l’azione del gruppo è oramai un prodotto di lusso. In risposta alle richieste di frazionamento delle azioni da parte degli azionisti, Arnault ha affermato che l’azione di Lvmh è un prodotto di lusso e che non è prevista una divisione. Arnault ha evidenziato che la performance finanziaria record dell’azienda è stata guidata dalla capacità di creare desiderio e prodotti tecnicamente resistenti e innovativi. Nel periodo gennaio-marzo il fatturato di Lvmh è arrivato a 21 miliardi (+17% anno su anno) e a trainare i risultati è stata la divisione moda e pelletteria, alla quale è riconducibile più della metà dei ricavi (10,7 miliardi, il 18% in più rispetto al 2022) e che è a sua volta trainata da Louis Vuitton.Il gruppo italiano Prada che è quotato a Hong Kong da più di un decennio (che possiede marchi tra cui Prada, Miu Miu e Church’s) sta pensando a una seconda quotazione in Europa e a una recente conferenza ha evidenziato come soprattutto in Cina e nei mercati occidentali «il più grande rischio per il lusso è l’eccessiva tensione sociale tra ricchi e poveri».«La moda ha giocato un ruolo trainante negli acquisti in Europa, con Lvmh che si è posizionata come la prima azienda europea arrivata a superare il valore di mercato di 500 miliardi di dollari», spiega Gabriel Debach, analista di mercato di eToro. «Tra i principali attori nel settore della moda, spiccano Hermes e Moncler, che hanno registrato i margini operativi più alti nell’ultimo trimestre, rispettivamente il 39,89% e il 35,28%. Tuttavia, le azioni di Hermes risultano essere più costose, con un rapporto prezzo utili di 49,55x rispetto a una media di settore di circa 20x. È possibile cercare valutazioni più convenienti su Lvmh Moët Hennessy e Kering, che presentano rispettivamente un valore rispettivamente di 24,2x e 15,77x».
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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