2025-03-16
Il Savonarola rosso che predica da un’amaca
Maestrino narciso e capopolo riluttante, Michele Serra ha portato in piazza per l’Europa quella stessa gente da cui sta il più possibile alla larga. Abituato a giudicare tutti, tranne sé stesso, ha dato del «fascista» pure a Crozza. Nel molto tempo libero produce profumi e... odia.Cognome, pardon, cognomi e nome: Serra Errante Michele. Aka - conosciuto anche come - Eau de moi. Il maestrino dalla penna rossa. Il narciso acculturato. Il capopopolo riluttante. Si è ritratto lui stesso così giovedì sera, ospite su Rai 3 de La torre e il cavallo, il talk show di un improvvisamente aggressivo Marco Damilano (senza offesa: in genere ha l’adrenalina di un bradipo), che lo ha messo spalle al muro per aver promosso l’«Europa Pride» di ieri.«Buonasera Michele. Ti conosco da tanti anni, sei una persona schiva (sic). Il contrario di un organizzatore di manifestazioni di piazza. Chi te l’ha fatto fare?». Un incipit alla Vyscinskij, proprio.Risposta scontata: la sciagurata congiuntura storica, o tempora, o mores! Perché mala tempora currunt, e il momento è catartico, «qui si fa l’Europa o si muore». Poi, si sa, ci sono sempre i barbari alle porte, e un regime corrotto e liberticida contro cui mobilitare la società civile: il democristiano, il craxiano, il berlusconiano, il renziano, il pentastellato, il meloniano, il tecnotrumpiano.Ai quali il settantenne Schivo ha resistito - come giornalista, umorista, saggista, autore televisivo e teatrale - testimoniando che non aveva tutti i torti quello sciamannato di Roberto D’Agostino quando nel lontano 1986 licenziò il profetico Come vivere - e bene - senza i comunisti. Quindi: vai con il raduno di quelli che «non sanno cosa fare ma vogliono esserci e chiedersi che cosa devono fare», ha spiegato ai microfoni di Radio 2, che faceva un po’ «noio volevan savuar... per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?», ma pazienza.Come gli è venuto lo schiribizzo? «È successo», si è schermito lui con Bradilano, in un clima da compagnucci della parrocchietta. «Mi sono trovato in un vuoto e ho alzato un dito», mostrando l’indice. Peccato, si è detto il Franti che è in me: fosse stato il medio, avrei riconosciuto lo spiritaccio provocatorio di Cuore. Faccio coming out: di quel settimanale sono stato collaboratore, nel 1992.Nom de plume Romolo & Remo, terreno privilegiato: la tv.Irriverenza. Volgarità. Scurrilità. E a chiudere, in ultima pagina: «Il giudizio universale», ovvero «le cinque cose per cui vale la pena vivere». Con annesso dibattito: «Ma figa (ai vertici della classifica) va scritto così o con la “c”?».All’epoca niente politically correct, eravamo tutti più liberi e belli. Anche l’Errante, che quando c’era da menare (virtualmente) non si tirava certo indietro. Un giorno il ministro della Giustizia nel governo Berlusconi, il leghista Roberto Castelli, si mise a battagliare con il direttore di Le Monde, Jean-Marie Colombani. Serra lo castigò con la storiella del tipo che va dallo psicanalista per curare un complesso d’inferiorità, e lo specialista: «Niente di grave, lei non ha alcun complesso d’inferiorità. Lei è veramente inferiore».Sgradevole? Sì, per Luca Ricolfi.Che nel suo Perché siamo antipatici. La sinistra e il complesso dei migliori (2005), l’ha fulminato: «A quanto pare il politicamente corretto protegge tutti, eccetto chi la pensa diversamente dai politicamente corretti stessi».Cuore, che allo Schivo ha regalato la gloria, è figlio di Tango, l’inserto satirico dell’Unità, diretto da Sergio Staino.Il supplemento però stava sulle balle a Massimo D'Alema, che appena nominato direttore del giornale fondato dal censurato Antonio Gramsci, lo chiuse.Sostituendolo con Cuore, diretto da Serra, di cui è grande amico, più ringhioso nei riguardi dei socialisti e riguardoso con i capi del Pci», così Guido Quaranta in Il chi è dei post-comunisti (1991). Lo Schivo. Penna brillante.Scrittore da centinaia di migliaia di copie (più di mezzo milione solo con Gli Sdraiati). Un influencer con una sua comunità di adepti, come l’happening pro Europa ha dimostrato. «Il piacione moralista, si ama molto e con più ragione degli altri. La miglior penna della sua generazione e forse anche il miglior cervello. Grande polemista frenato dal moralismo, che del polemista è il marchio di fabbrica, ma anche il vizio d’origine» (Massimo Gramellini, uno che se ne intende, in Compagni d’Italia, 1997).Un esponente di punta del «regime ferreo degli infallibili, che inibisce qualsiasi critica» (Edmondo Berselli, in Venerati maestri).E quando qualcuno osa, la posa scomposta lascia il posto al livore.2018. Lo scrittore Fulvio Abbate recensisce alla sua maniera per Dagospia la linea di profumi con il brand «Serra e Fonseca», dall’Errante realizzata insieme alla consorte Giovanna Zucconi Fonseca. E dove poteva essersi conosciuta una coppia doppiocognomata e di sinistra? Ma naturalmente «alla Feltrinelli» (tipico luogo d’incontri fatali del ceto medio riflessivo, diciamolo), ha confidato a Concetto Vecchio per Il Venerdì di Repubblica, giornale su cui Serra ha peraltro una rubrica, in occasione dei suoi 70 anni nel luglio scorso.Abbate: «Incrocio Serra che mi fissa con un’espressione di puro disprezzo, apostrofandomi gelido: hai offeso il lavoro di mia moglie!». Abbate obietta che era un pezzullo ironicamente empatico, ripreso in tv da Maurizio Crozza. Peggio mi sento. Serra: «Crozza è un fascista». Urca.Crozza si era macchiato di lesa maestà: aveva perculato un’Amaca (la rubrica di Serra su Repubblica) che si era occupata del bullismo a scuola, lasciando intendere che si sviluppasse di più all’interno degli istituti tecnici. Mostrando quindi una foto di Serra sull’amaca di casa, aveva concluso che l’immagine era la metafora della sinistra italiana: lontana dalla gente, appesa a un filo e senza i piedi per terra. Quanto ai profumi, «pensa cosa avresti scritto tu ai tempi di Cuore su un te stesso così, Michele: ti saresti preso per il culo per anni». Tutto qui? Tutto qui.Quello scostumato di Stefano Lorenzetto - dedicandogli la voce «pubblicità» nel suo Dizionario del buon senso (2006) - osò l’inosabile: lo toccò nel portafoglio. Pizzicandolo in (ipocrita) contraddizione.Serra lamentava la metamorfosi della Rai nel «più grande supermercato del Paese», totalmente «succube del mercato pubblicitario», dove «ogni velleità culturale e sperimentale, ogni autentica libertà di linguaggio appartengono a un passato mai più evocabile».La tv di Stato continuava però a bazzicarla, segnalò Lorenzetto, «senza mai accusare non dico un conato di vomito, ma almeno una moderata dispepsia». Il marrano elencò quindi le 33 trasmissioni Rai (in 15 anni) in cui Serra aveva avuto «concreti interessi», essendone stato «protagonista, autore, collaboratore, ospite, giullare».A chiudere: «Mi tolga una curiosità, caro Serra: in tutti questi anni non s’è mai accorto dell’invadenza degli spot? Non le rimordeva la coscienza mentre si aggirava col suo carrello ricolmo di idee tra le corsie del più grande supermarket del Paese?». Per il Venerdì dei suoi 70 anni si è fatto immortalare nella stessa posa irrisa da Crozza, spaparanzato su un’amaca, nel suo buen retiro in Val Tidone, che è «come Capalbio, la nuova frontiera radical chic di Vip e intellettuali» (così Novella 2000, nel 2010). Il 4 luglio 1994 nel suo Parolaio, abrasiva rubrica sulla Stampa, Pierluigi Battista raccontò il «duello infinito, che impegna da un numero incalcolabile di settimane», Serra e il giornalista di Panorama Marco Gregoretti. Che aveva avuto l’ardire di fare cronaca su Serra, innescando un tourbillon di «accuse, repliche, smentite, controsmentite, precisazioni e rettifiche», financo sul «presunto numero di metri quadrati della magione di Serra» a Ozzano, sulle colline bolognesi. Una disputa «che Serra ha deciso di portare, riferisce l’Unità, nientemeno che all’attenzione dell’Ordine dei giornalisti». «Non successe», mi rassicura oggi Gregoretti. «Si era inalberato perché avevo scritto dei suoi 900 metri quadri su tre piani, indisse perfino una conferenza stampa, insinuando oscure manovre magari dei servizi». In realtà tutto era nato per una diatriba che lo vedeva contrapposto al Comune sulla tassa dei rifiuti: «Il direttore, Andrea Monti, e la sua vice, Maria Luisa Agnese, mi sollecitarono ad andare avanti. Si alzò un impressionante fuoco di sbarramento. Perfino Enzo Biagi, che inizialmente ci aveva appoggiato, comunicò a Monti che “doveva” prendere posizione a favore di Serra. Comunque ho conservato i messaggi plaudenti dei redattori di Cuore, che Serra aveva lasciato in balia degli eventi passando la direzione a Claudio Sabelli Fioretti».Finì con una lettera dello Schivo che, sotterrata l’ascia di guerra, chiudeva intelligentemente la faccenda.«Ormai mi reputo un satiro dismesso», ha confessato l’anno scorso.Chissà se all’Errante (ma pure a Crozza) fischieranno mai le orecchie, rivedendo la rasoiata che Nanni Moretti, nel suo film Aprile (1998), ha riservato alla satira politica: «Un capitolo del mio documentario sull’Italia è dedicato al giornalismo: mi accorgo che i giornali sono uguali, vignette e satira politica ovunque. Perché la satira non ha padroni». Pausa: «Quindi sta bene sotto ogni padrone».
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