2021-06-06
Senza revoca extra costo di 7 miliardi. Ma per i Benetton solo il 5% di tasse
La famiglia incassa direttamente 2,4 miliardi ma verserà al fisco appena 100 milioni. Fra prezzo di vendita, accollo dei debiti e indennizzi l'operazione è stata pagata il 50% in più della sbandierata «caducazione».«Chi commenta dicendo che abbiamo regalato soldi ai Benetton sbaglia. Ai Benetton abbiamo tolto parecchi miliardi che sono quelli in più che avrebbero incassato se avessero mantenuto la gestione dei 3.000 chilometri di autostrade per gli altri 20 anni previsti». Parola del grillino Danilo Toninelli. In questi giorni, l'ex ministro delle Infrastrutture del Conte uno, saltato come un birillo più che altro per propri demeriti, e prontamente rimpiazzato dalla piddina Paola De Micheli, è impegnato a promuovere su Facebook il proprio libro denuncia. S'intitola Non mollare mai e l'ha dovuto pubblicare con la vituperata Amazon, scelta che gli sta costando anche un mezzo processo da parte dei suoi seguaci. Gli altri esponenti del M5s, dopo l'assemblea di Atlantia di lunedì scorso che ha accolto l'offerta presentata dalla cordata di Cdp per Autostrade per l'Italia, sono stati più prudenti. Bocche suturate anche nel Pd e in tutta la «sinistra autostradale», quella solida corrente transgenica che parte dalla sinistra Dc di Fabrizio Palenzona e Romano Prodi e arriva al Pd di oggi con Enrico Letta e Graziano Delrio. Per due anni e mezzo hanno lasciato sfogare forcaioli e tribuni del popolo, si sono capiti al volo con un principe del cavillo come Giuseppe Conte, hanno fatto terrorismo sui costi di una lite con i Benetton e alla fine, alla faccia di Toninelli, il regalo c'è eccome. Ed è anche di quelli grossi. Si tratta esattamente di un cadeau da 7,3 miliardi, come si ricava non da atti segreti, ma da documenti pubblici come la convenzione Mit-Aspi e il Piano economico finanziario (Pef) che Autostrade ha presentato al ministero e che il Cipe deve ancora approvare. Come aveva svelato Panorama il 9 dicembre scorso, la vera trattativa per la clamorosa nazionalizzazione si è svolta tra l'amministratore delegato di Atlantia, Carlo Bertazzo, il capo di gabinetto della De Micheli, Alberto Stancanelli, e il capo di gabinetto dell'allora ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, ovvero Roberto Chieppa. A comprare, però, sono Cdp, Macquarie e Blackstone. Che in cambio riceveranno margini del 10% l'anno, grazie ai soliti aumenti tariffari. Per oltre due anni e mezzo, mentre Aspi continuava come nulla fosse a incassare i suoi bravi pedaggi, si è agitato lo spauracchio della revoca delle concessioni. Lo hanno fatto anche Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, seppure quest'ultimo, tanto per essere comprensibile al popolo di cui si era nominato «avvocato», arrivò a parlare di «caducazione». Sempre comunque aggiungendo che il contenzioso con Atlantia era potenzialmente assai costoso. Il picco di allarmismo lo ha raggiunto Matteo Renzi, il fan più esagitato dei Benetton. Il 13 luglio 2020, ovvero alla vigilia dell'ultimo Consiglio dei ministri dove Aspi ha rischiato la revoca, Renzi spara: «Oggi i populisti vogliono la revoca perché è caduto il ponte e perché Benetton ha preso troppi soldi. Questo puoi farlo al bar: la verità è che con la revoca si danno i miliardi a Benetton. E sapete perché non hanno mai scritto il documento di revoca? Perché ci sono scritti sopra i miliardi che devono dare a Benetton. Questo giochino rischia di costare ai nostri figli 20/30 miliardi. Intanto si licenziano delle persone e si bloccano i cantieri».Può darsi che i calcoli dell'ex Rottamatore fossero anche corretti, ma il segreto per arrivare è: basta impostare male il problema. Perché qui, anche dopo i 43 morti del Morandi, non di revoca, ma di recesso si doveva parlare. E i conti sarebbero stato assai meno pesanti rispetto alla nazionalizzazione più o meno forzosa che va in scena oggi.La revoca non prevede che il concedente (qui, lo Stato), accusi di alcunché il concessionario (Aspi). Insomma, nessuna «demagogia», ma semplice diritto a tirarsi indietro, secondo le regole stabilite dalla concessione stessa. La convenzione Aspi-Mit è pubblicata sul sito del ministero e possono leggerla tutti i deputati. Quella attualmente in vigore è stata firmata il 12 ottobre 2007 (secondo governo Prodi) ed è stata aggiornata il 24 dicembre 2013 (governo di Enrico Letta. Come si può immaginare, non sono documenti ostili ai Benetton. Ebbene, all'articolo 9 bis la convenzione prevede che in caso di revoca il concessionario abbia diritto a un indennizzo «pari al valore attuale netto dei ricavi della gestione», ovvero al netto di costi, oneri, investimenti e imposte prevedibili nel periodo mancante alla fine della concessione. Usando le tabelle del Pef in vigore, la somma da dare ad Aspi arriverebbe a 13,8 miliardi netti. Su questa cifra, lo Stato recupererebbe poi 5,3 miliardi di imposte con un'aliquota al 27,9% (24% di Ires e 3,9% di Irap), che escludiamo dal conteggio perché è una partita di giro. Ora, abbandonata questa strada per nulla punitiva per i Benetton, andiamo a quello che secondo Toninelli «non è un regalo». Il consorzio guidato da Cdp (il nuovo ad, Dario Scannapieco si è insediato il giorno dopo il voto dell'assemblea Atlantia) ha offerto ad Atlantia 9,1 miliardi (considerando la valorizzazione al 100%, pari a 7,9 miliardi per l'88% della società). A questi vanno sommati 8,8 miliardi per l'accollo dei debiti di Aspi e 3,4 miliardi per gli indennizzi diretti in ragione del crollo del ponte sul Polcevera. Il tutto, senza contare i rischi legali per indennizzi indiretti, oggi non quantificabili, visto che mancano le sentenze penali. Alla fine, la strada scelta dal precedente governo, al momento confermata anche da quello attuale, ci costa ben 21,3 miliardi. In modalità «vendita», i Benetton ne incasseranno 2,4, sui cui dovranno solo pagare il 5% di tasse, in base al regime fiscale agevolato sulle plusvalenze, ovvero un centinaio di milioni. Insomma, con il recesso, il valore netto riconosciuto ai Benetton per uscire da Aspi sarebbe stato pari a 13 miliardi e 818 milioni. Mentre con l'acquisto da parte dello Stato si arriva a 21 miliardi e 190 milioni. Il regalo ai Signori del casello, a futura memoria anche della Corte dei conti e del Cipe che ora deve vidimare il nuovo Pef (senza il quale la remunerazione di Macquerie e Blackstone sarebbe incerta), arriva a 7 miliardi e 370 milioni. Ci si finanzierebbero i Ristori II, III e forse pure IV. Tanto per fare del «populismo», come direbbe il Renzi.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)