L'aperitivo che sta alla base del classico spritz veneziano ha lanciato una nuova campagna di comunicazione che racconta la città più ammirata del mondo dal punto di vista di chi la vive.
L'aperitivo che sta alla base del classico spritz veneziano ha lanciato una nuova campagna di comunicazione che racconta la città più ammirata del mondo dal punto di vista di chi la vive.Select 1920 ha lanciato una nuova campagna di comunicazione andando alla scoperta della Venezia più autentica. «Il nostro aperitivo è l’ingrediente fondamentale dell’originale spritz veneziano e ormai un prodotto sempre più apprezzato, soprattutto dai consumatori che ricercano esperienze di consumo autentiche, emozionanti e fortemente legate al territorio di origine» ha spiegato Gianluca Monaco, marketing & new business director di Gruppo Montenegro.«Con questa operazione di promozione, che abbina la campagna alla mostra fotografica diffusa, vogliamo raccontare proprio l’anima autentica di Venezia. Un racconto, in cui Select, forte di risultati sempre più promettenti, vuole proporsi come l’alternativa premium in un contesto dinamico e variegato come quello degli aperitivi alcolici».Un mercato in continua crescita, tanto che negli ultimi 12 mesi in Italia ha registrato una crescita a doppia cifra sia in valore (+42%) che in volume (+34&). Lo storico aperitivo veneziano - che quest'anno ha raggiunto mezzo milione di litri - è stato rilanciato nel 2018 dal Gruppo Montenegro, realtà imprenditoriale italiana leader di mercato nei settori alimentare e bevande alcoliche che vanta marchi da sempre nell’immaginario degli italiani: Amaro Montenegro, Vecchia Romagna, Select Aperitivo, Infusi Bonomelli, Thè Infrè, Olio Cuore, Spezie Cannamela, Polenta Valsugana, Pizza Catarì. Iconici simboli del Made in Italy, che rappresentano al meglio la costante ricerca dell’eccellenza nel rispetto della tradizione e l’attenzione particolare alla qualità dei prodotti e alla loro sostenibilità che da sempre contraddistinguono il gruppo. Nell’ultimo anno, Gruppo Montenegro ha raggiunto un fatturato di 183,322 milioni di euro nella categoria “spirits” e 284.444 milioni complessivi. Ma cosa contraddistingue Select dagli altri aperitivi? Sicuramente il suo luogo di nascita, il sestiere Castello, cuore storico della città di Venezia, dove sorgevano le Distillerie Pilla. Non solo, Select è frutto di un complesso processo produttivo, della durata di nove mesi, le cui fasi principali sono rappresentate dalla macerazione e dalla bollitura di 30 erbe aromatiche. Tra queste spiccano le radici di rabarbaro, che conferiscono l'intensa nota amara, e le bacche di ginepro, le uniche distillate in purezza, che donano grande struttura e persistenza. Dal colore rosso rubino, brillante e con riflessi aranciati, Select si distingue all'olfatto per sentori di oli essenziali e agrumi, sostenuti da note balsamiche e fresche, e al palato per un gusto intenso e complesso. Servito con un’oliva verde grande - guai usare lo spicchio d’arancia - accompagnato dai classici cicchetti, per i veneziani (36% degli intervistati) bere uno spritz «tra i caratteristici bancari» è un’esperienza da non perdere quando ci si trova in Laguna. Del resto, lo spritz è un cocktail ormai famoso in tutto il mondo e che conta numerose (e famose) rivisitazioni, ma che affonda le sue radici a fine Ottocento e proprio a Venezia. Sicuramente, la storia dello Spritz non è a tutti molto nota, tanto che “solo” il 12,3% del campione conosce la data corretta di origine di questo amatissimo aperitivo. Va meglio, invece, quando si indaga sulla conoscenza del luogo di origine dello Spritz: quasi 1 intervistato su 3 (32,4%) colloca correttamente la sua origine a Venezia, contro il 28,7% che invece la associa a Milano. Ad essere i più preparati sull’origine dello Spritz (che si definisce appunto “veneziano”) sono soprattutto i giovani (43% dei 18-24enni; 41% dei 25-34enni) e in generale le persone che hanno visitato la città lagunare negli ultimi 6 mesi (48%).
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
Continua a leggereRiduci
Lockheed F-35 «Lightning II» in costruzione a Fort Worth, Texas (Ansa)
- Il tycoon apre alla vendita dei «supercaccia» ai sauditi. Ma l’accordo commerciale aumenterebbe troppo la forza militare di Riad. Che già flirta con la Cina (interessata alla tecnologia). Tel Aviv: non ci hanno informato. In gioco il nuovo assetto del Medio Oriente.
- Il viceministro agli Affari esteri arabo: «Noi un ponte per le trattative internazionali».






