2025-08-28
Il cibo e la città: i segreti della via italiana alla felicità
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(iStock). Nel riquadro, il nuovo libro di Piero Bevilacqua
Un saggio di Piero Bevilacqua ricostruisce i tratti culturali ancestrali che rendono il nostro Paese famoso nel mondo (sia pur con qualche stereotipo di troppo) per il suo stile di vita.L’idea dell’Italia come patria del buon vivere è tuttora largamente diffusa nel mondo. Basta vedere un filmato – ce ne sono a centinaia su YouTube – in cui degli stranieri vengano interrogati sulle peculiarità del nostro Paese: le risposte saranno invariabilmente centrate sul cibo, ma anche sulla moda, sulle bellezze naturalistiche e architettoniche, su abitudini come la passeggiata o la pennichella pomeridiana, sconosciute in altre nazioni. Ovviamente in questo ritratto tutto basato sulla dolcezza del vivere ci sono tantissimi stereotipi e un’idea datata e convenzionale dell’italianità. Ma, come tutti gli stereotipi, c’è sempre un fondo di verità. Ed è probabile che, al di là di quel fumetto retrò che hanno in testa gli americani quando pensano a noi, ci sia qualcosa che in effetti ha reso l’Italia un millenario esperimento sociale in cui la qualità della vita è stata particolarmente sublimata.A questo tema è dedicato un interessante saggio dello storico Piero Bevilacqua, Felicità d’Italia (Laterza), che ha lo scopo di indagare le radici della dolce vita italiana. Il punto di partenza del saggio è l’idea che la felicità «non provenga dall’alto, dall’azione illuminata del potere, ma costituisca il risultato della creatività popolare, l’esito di un processo collettivo». Bevilacqua sviluppa qui una felice intuizione di Carlo Cattaneo che, nel 1847, così scriveva al viceconsole inglese a Milano, Robert Campbell: «Poiché la cultura e felicità dei popoli non dipendono tanto dalli spettacolosi mutamenti della politica, quanto dall’azione perenne di certi principi che si trasmettono inosservati in un ordine inferiore di istituzioni». Non sono quindi le leggi calate dall’alto a dare la felicità, ma abitudini radicate, tradizioni, schemi comportamentali ricorrenti. Uno di questi schemi è sicuramente la cucina, il primo tratto culturale che chiunque, nel mondo, associa al nostro Paese. Per Bevilacqua, «l’identità dell’Italia si è manifestata attraverso il cibo, nella varietà multiforme di esso, oltre che in altri caratteri, molto prima che essa si configurasse in termini politici per non dire in una entità di Stato-nazione. È la pluralità delle espressioni artistiche e letterarie, delle forme urbane e dei paesaggi, dei linguaggi e dei dialetti, delle mentalità, e dunque dei cibi, l’identità che distingue l’Italia dagli altri paesi d’Europa e del mondo». Pur non negando come il tema abbia dato spesso luogo a «una retorica nazionale a volte stucchevole», lo studioso non può non ammettere un argomento così profondamente radicato nel senso comune.L’importanza della tradizione culinaria italiana ha ovviamente a che fare anche con tratti geografici del tutto peculiari. Scrive Bevilacqua: «Nelle nostre campagne, già in età antica le popolazioni contadine avevano consuetudine con una straordinaria biodiversità agricola insieme a un repertorio non comune di varietà delle stesse specie». Successivamente, oltre ai prodotti importati da colonizzatori arabi, per lo più dall’India, rilevante fu la cultura cittadina. Basti pensare che, al momento dell’Unità, si contavano in Italia 7.721 Comuni contro gli appena 1.307 della Francia, che ha un’estensione quasi doppia. Ed è nella città che si radica l’identità culinaria italiana, come testimoniato ancora oggi dai nostri menù: bistecca fiorentina, risotto alla milanese, saltimbocca alla romana, pizza napoletana etc. Di sicuro la fama di costruttori di città che da sempre hanno gli italiani sembra essere ben meritata. Sui circa 8.000 insediamenti urbani dell’Italia moderna, 713 erano presenti già prima di Roma e ben 1.971 risalgono all’era romana: questo significa che il 30 per cento dell’attuale nazione urbanizzata era già presente prima del Medioevo. La vocazione urbana è già tipica degli etruschi, con le sue dodici città che formavano la dodecapoli. Poi c’è Roma, le città medievali, e così via. Una cultura strettamente localistica, quando non campanilistica, che ha accentuato le differenze, in una ricerca quasi ossessiva dell’originalità, della particolarità, della propria ricetta per la felicità, così diversa da quella del proprio vicino, eppure, sempre, così italiana.
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.