2018-07-20
Se volete far innamorare l’editore concentratevi sulle prime righe
Ai miei studenti do sempre la stessa lezione: devono riuscire a scrivere un incipit in grado di inchiodare alla pagina. Se qualcuno ce la fa prometto di trovargli chi lo pubblica, sogno di ogni aspirante romanziere.Quando ho cominciato a scrivere dei libri, nel 1996, 22 anni fa, ho sentito una voce, dentro la testa, che mi diceva «Ma cosa vuoi scrivere? Ma chi ti credi di essere, a voler scrivere? Ma non ti rendi conto che sei solo una merda e che non hai nessuna speranza di essere altro?». In questi giorni, 22 anni dopo, sto cominciando a scrivere un romanzo che si intitola Che dispiacere, e tutte le volte che mi metto lì che provo a farlo girare, io sento una voce, nella mia testa, che mi dice «Ma cosa vuoi scrivere? Ma chi ti credi di essere, a voler scrivere? Ma non ti rendi conto che sei solo una merda e che non hai nessuna speranza di essere altro?». E mi viene in mente di quando avevo appena cominciato a scrivere, nel '96, un pomeriggio che ero a Parma, in via Cavour, la via del passeggio, in mezzo alla gente, e avevo sentito uno che diceva «Oh, deficiente!», e mi ero voltato convinto che chiamasse me; e mi ero acconto che io, di questo fatto, ero contento. E all'inizio non capivo come mai, questa contentezza nel momento in cui mi rendevo conto di avere un'autostima, se così si può dire, ai minimi storici, e dopo a pensarci ho pensato che scrivere, per me, io per mettermi a scrivere, ero già grande, avevo più di 30 anni, per provare a scrivere io avevo dato le dimissioni da un lavoro normale: ero responsabile amministrativo di una joint venture franco italiana che lavorava al metanodotto Artère du midi, nel Sud della Francia, ed ero nel mondo, dentro un organigramma, ero lì, a metà strada, impegnato a salire, e scrivere, per me, aveva voluto dire uscire dall'organigramma, venirne fuori, rifiutare l'idea che dovevo sforzarmi per essere più bravo, più furbo, migliore degli altri, aveva voluto dire, in un certo senso, aver la patente del deficiente, per questo forse ero contento quando mi ero girato a sentire «Oh, deficiente». E, a pensarci, quella voce lì che mi chiedeva chi mi credevo di essere e che mi ricordava che ero solo una merda e che non avevo nessuna speranza di essere altro era una voce della quale io, forse, avevo bisogno. speranza Perché la condizione di uno che si mette a scrivere ha forse a che fare con quella cosa che ha scritto una volta Samuel Beckett, che ha scritto che la speranza è un ciarlatano che non fa che imbrogliarci e che lui, Beckett, ha cominciato a star bene quando l'ha persa, e che la frase che Dante ha messo sulla porta dell'inferno, «Lasciate ogni speranza o voi ch'entrate», lui, Beckett, l'avrebbe messa sulla porta del paradiso. E un grande scrittore russo, Viktor Šklovskij, diceva che ogni volta che cominciava a scrivere un libro aveva l'impressione che scrivere quel libro lì fosse un compito al di sopra delle sue possibilità e io, quando l'avevo letto, avevo pensato «Ma allora è normale», e adesso, quando mi tornano fuori quelle voci che mi dicono «Ma cosa vuoi scrivere? Ma chi ti credi di essere, a voler scrivere? Ma non ti rendi conto che sei solo una merda e che non hai nessuna speranza di essere altro?», ecco, per me quello lì è un segno che andiamo bene: ho scritto quasi 40 libri, e tutte le volte sono stato visitato da quelle voci che mi dicevano «Ma cosa vuoi scrivere? Ma chi ti credi di essere, a voler scrivere? Ma non ti rendi conto che sei solo una merda?», e se adesso, mentre sto scrivendo un libro, non si presentassero quelle voci lì, mi vien da pensare che dovrei preoccuparmi. Dopo, una volta che uno il libro l'ha scritto, c'è il mondo dell'editoria, che in giro si dice che sia un mondo che se uno non conosce nessuno, in quel mondo lì, se non è raccomandato, arrivare a pubblicare è impossibile.busta chiusaHo conosciuto delle persone che, finito di scrivere un romanzo, se lo mandano per posta e poi tengono la busta chiusa per dimostrare, attraverso il timbro postale, che loro l'avevano finito alla data tale e rivalersi, grazie a questa prova documentale, nel caso che qualcuno gli rubasse il romanzo; io, devo dire, sono 22 anni che conosco della gente che scrive dei romanzi e che prova a farseli pubblicare, non ho conosciuto nessuno a cui hanno rubato un romanzo, e, da parte mia, io negli ultimi 22 anni ne ho scritti, in media, due all'anno, non me ne hanno mai rubati, e se me li avessero rubati, non so, come avrei reagito, se fossi stato bravo avrei fatto come quello storico di Reggio Emilia che mi han detto dicesse «Rubatemi pure le idee, tanto io ne ho delle altre». Però è vero che quando uno comincia a scrivere senza avere nessuna relazione con il mondo dell'editoria può aver l'impressione che collegarsi, in qualche modo, con quel mondo, sia difficilissimo, e che farsi pubblicare un libro, non scriverlo, farselo pubblicare, sia quella l'impresa al di sopra delle sue possibilità.il modello Ecco, io, di solito, quando sento dei discorsi del genere mi vien da pensare a un libro di Tibor Fischer che si intitola La gang del pensiero che inizia così: «L'unico consiglio che posso dare, se per caso vi doveste svegliare in uno strano appartamento, in preda alle vertigini, con un'emicrania postsbronza saldamente installata nella testa, senza uno straccio addosso, senza il benché minimo ricordo di come siate finiti lì, mentre la polizia sta buttando giù la porta a mazzate con un sottofondo di latrati di cani infuriati, e vi ritrovate per di più circondati da mucchi di riviste patinate con foto di bambini intenti a compiere atti osceni decisamente da adulti, l'unico consiglio che posso dare, ripeto, è questo: cercate di comportarvi in maniera educata e di mostrarvi di buon umore» (la traduzione è di Riccardo Duranti). seminariEcco. La cosa che dico, di solito, ai seminari di scrittura, dopo aver letto questo inizio, e che ripeto anche ai lettori di questo giornale, che se siete capaci di scrivere un libro che cominci con un inizio che abbia la forza di questo inizio qua e che continui su questo andiamo, mi prendo io l'impegno di trovarvi, nel giro di un mese, un editore che ve lo pubblichi. Perché la cosa che quelli che stanno scrivendo un libro, e che non hanno nessun contatto con il mondo editoriale, non sanno, o se la sanno tendono a dimenticarla, è che in questo momento, in Italia, c'è un sacco di gente il cui lavoro consiste nel cercare delle cose belle da pubblicare. Tra cui anche la vostra, se ce l'avete. (10. Fine)
Kim Jong-un (Getty Images)
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È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)