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2020-07-27
Fontana, se il dono diventa un reato
Attilio Fontana (Ansa)
Sintetizziamola così, la storia dell'attacco ad Attilio Fontana e alla Lombardia. Con alcune abitudini che ormai son diventate un metodo brevettato: i fatti travolti dal fango; le ricostruzioni a posteriori che prescindono dall'ansia di chi si trovava a operare nel pieno di un'emergenza infernale; e infine i lanciatori di fango che sanno benissimo in faccia a chi devono scagliarlo (e chi invece deve assolutamente rimanere con viso e vestiti immacolati e profumati). L'uso politico (e mediatico) della giustizia conosce un solo schema: come si dice tra Oxford e Cambridge, spargere merda in quantità industriale. Morale: il malcapitato, nel giro di 36 ore, si ritrova massacrato, con la sua faccia che rimbalza tra giornali-tv-social, con una trentina di milioni di italiani (se sommiamo ascolti tv e visualizzazioni) raggiunti in un giorno e mezzo dallo stimolo a considerarlo un mascalzone fatto e finito, e il tutto dentro un vortice di fatti spesso assolutamente vaghi (ma sempre presentati in una luce torbida), che spaziano dal pubblico alla dimensione privata.
Ricordare in questo caso che l'avviso di garanzia sarebbe un atto - appunto - a tutela della persona che lo riceve diventa un'atroce beffa, l'ultima pernacchia, lo sberleffo finale. Ma quale garanzia? Nel turboprocesso mediatico di questi anni, la potenza dello sputtanamento iniziale è totale, non ammette repliche: cosa volete che importi, tra qualche mese, il trafiletto in cui si dirà che la posizione di Tizio è stata archiviata?
Tra l'altro, pure la consecutio è ormai capovolta. Secondo logica (e secondo diritto), ci dovrebbe essere prima una verifica preliminare dei fatti, poi l'apertura di un'indagine con la doverosa informazione all'indagato, infine il processo in tre gradi con le prescritte garanzie. E invece no, tutto è rovesciato: prima lo sputtanamento, poi eventualmente l'individuazione di un'ipotesi di reato, poi gli accertamenti, infine il trafiletto (tra i necrologi e le previsioni meteo) per comunicare che i titoli a caratteri cubitali di qualche mese prima valevano meno di zero.
Pensandoci bene, ora si capisce, rileggendo le intercettazioni del caso Palamara, come mai le correnti della magistratura si accapigliassero selvaggiamente per accaparrarsi le postazioni di vertice delle procure. A prima vista, un'anomalia, visto che dovrebbe essere il giudice terzo la figura più ambita, cioè chi pronuncia la sentenza finale. Macché: il vero potere, la possibilità di sconvolgere l'agenda politica ed economica del Paese (e di dettare quella mediatica) passa dagli uffici di Procura, dalla semplice apertura di un'indagine, da una banale iscrizione nel registro degli indagati.
Il caso Fontana corrisponde in tutto e per tutto a questo «protocollo»: prima il pestaggio mediatico del malcapitato, e poi - cerca cerca - ancora non si trova quale sia il reato, o almeno non si capisce di che reato si tratti. Turbativa d'asta? Forse no. Il solito abuso d'ufficio, che si porta in tutte le stagioni come un maglioncino blu? Pare di no. L'ultimo spiffero dice: frode in pubbliche forniture. E su che base? Perché alla fine della fiera i camici donati (ripeto: donati) dalla società Dama srl alla Regione Lombardia sarebbero stati consegnati in numero minore rispetto a quanto inizialmente previsto. Ricapitoliamo: il contribuente non ha pagato nulla, i camici sono arrivati (un po' di meno ma sono arrivati), eppure la locomotiva dello sputtanamento corre e sbuffa a tutto vapore.
Altro esempio? L'apertura della stagione di caccia (giudiziaria) in Lombardia sembra estendersi anche all'intesa tra la società Diasorin e l'ospedale San Matteo di Pavia per la realizzazione di test sierologici. Anche qui, in presenza di fatti ancora nebulosi, si è tranquillamente sbattuta in prima pagina un'eccellenza sanitaria come quella struttura. Ma non basta ancora: l'eccitazione nelle redazioni ha raggiunto l'apice quando è venuta fuori la notizia di un presunto sms di un deputato leghista che, rivolgendosi a un ex consigliere regionale, avrebbe citato Salvini («Sentito anche Salvini», sarebbe il contenuto del messaggino, che poi avrebbe esplicitato un giudizio politico negativo su un sindaco orientato tra l'altro a scegliere un test alternativo). Ma da un «sentito anche Salvini» che possiamo ricavare? Per chi conosca la politica, praticamente nulla: è normale che un dirigente politico cerchi di rafforzare la sua opinione citando il capo. Ma da qui a ricavarne un'indicazione certa e verificata sui test ce ne corre. Anche perché il resto del messaggio del deputato leghista (secondo alcune ricostruzioni, Paolo Grimoldi, il quale ha peraltro detto di avere conservato tutti i messaggi e ha smentito alcune versioni circolate) sembra piuttosto rimproverare a un sindaco un attacco politico alla Regione Lombardia proprio nel momento più duro dell'emergenza. Ed è dunque normale e comprensibile che un dirigente di partito inviti a non fare sponda, politicamente parlando, con un sindaco rivelatosi in polemica con la giunta leghista. Un giudizio politico come ogni giorno se ne scrivono e se ne pronunciano migliaia, a livello nazionale, regionale, comunale, a destra come a sinistra. E invece che titolo esce fuori su diverse testate? Elementare, Watson: «Inchiesta di Pavia, spunta il nome di Salvini». E lo sputtanamento è servito.
Pd e 5 stelle sognano il ribaltone ma il centrodestra si compatta
Attilio Fontana va allo scontro. Nella giornata di oggi o in quella di domani, il governatore della Lombardia si difenderà in Consiglio regionale, dove l'opposizione - su iniziativa grillina - è pronta a presentare una mozione di sfiducia nei suoi confronti. «Serve un atto politico coraggioso per la storia che stiamo andando a costruire, siamo pronti a chiedere la sfiducia del presidente Fontana e chiediamo alle altre forze d'opposizione di sostenere la nostra richiesta», ha dichiarato il capogruppo del Movimento 5 stelle lombardo, Massimo De Rosa. Sulla stessa linea si è collocato anche il viceministro dello Sviluppo economico, il grillino Stefano Buffagni, che ha affermato: «C'è un chiaro problema di opportunità, e la gestione ex post del proprio caso da parte del governatore mi colpisce molto. Come ho detto, questa giunta non può andare avanti. Non è stata in grado di gestire l'emergenza causata dalla pandemia e poteva certamente evitare le strumentalizzazioni contro il governo, che ha operato con serietà senza mai entrare in contrapposizione con gli enti locali». Tutto questo, mentre il segretario del Pd lombardo, Vinicio Peluffo, ha dichiarato: «O Fontana può smentire in modo convincente o prenderemo atto che si è definitivamente rotto il rapporto di fiducia con i cittadini lombardi». Più netto l'eurodeputato del Pd, Pierfrancesco Majorino, che ha invocato le dimissioni del governatore.
Fontana, dal canto suo, non sembra minimamente intenzionato a fare un passo indietro. E, nelle scorse ore, ha incassato il sostegno della sua giunta: a partire dagli assessori Giulio Gallera e Raffaele Cattaneo. Sostegno al governatore è arrivato tra l'altro dal capogruppo della Lega in Regione, Roberto Anelli, che ha definito l'intera vicenda una «assurdità». Dura anche la posizione di Matteo Salvini. Il leader del Carroccio aveva polemicamente parlato nei giorni scorsi di «giustizia alla Palamara», mentre ieri ha twittato: «In Italia la “giustizia" fa uscire di galera i mafiosi e indaga i cittadini onesti, in Lombardia e ovunque. Troppi Palamara nei tribunali, urge riforma seria per il bene degli Italiani». Accuse di doppiopesismo sono invece arrivate dal deputato leghista, Claudio Durigon. «Tra i camici gratuiti per la Lombardia e le mascherine vendute per 14 milioni alla Regione Lazio da un negozio che vende led, Fontana saprà spiegare anche questa situazione. Ma Zingaretti quando dovrà spiegare i milioni delle mascherine nel Lazio?», ha dichiarato. Solidarietà a Fontana è arrivata nelle scorse ore anche dal gruppo consiliare di Fratelli d'Italia in Regione Lombardia.
Lo stesso Fontana ha detto la sua alla Stampa: «Questa storia è pazzesca», ha commentato il presidente della Lombardia, «ma qual è il reato? Di solito le persone finiscono indagate perché prendono dei soldi illecitamente. Io invece rischio di passare alla storia come il primo politico che viene indagato perché i soldi ha cercato di versarli. Certo, quando è saltata fuori questa storia e ho visto che mio cognato faceva questa donazione, ho voluto partecipare anch'io. Fare anch'io una donazione. Mi sembrava il dovere di ogni lombardo. Io della fornitura», ha aggiunto Fontana, «non sapevo niente. L'ho saputo solo quando mio cognato ha deciso di fare la donazione. Torno a ripetere: ma qual è il reato? È vero, mi sono sentito responsabile per mio cognato. Quei soldi li consideravo una donazione a mio modo. Alla fine la Regione da mio cognato i camici li ha avuti gratis e l'unico reato che vedo veramente è una palese violazione del segreto istruttorio».
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Levando il fango dai fatti, per il governatore resta un'accusa di «frode in pubbliche forniture». Perché i camici donati dalla società del cognato sarebbero stati meno di quanto previsto. Stesso metodo a Pavia, dove si tira in ballo a sproposito pure il nome di Matteo Salvini. Pd e 5 stelle sognano il ribaltone ma il centrodestra si compatta. Pronta la mozione di sfiducia dell'opposizione. Giunta unita: «Nessun passo indietro». Lo speciale comprende due articoli. Sintetizziamola così, la storia dell'attacco ad Attilio Fontana e alla Lombardia. Con alcune abitudini che ormai son diventate un metodo brevettato: i fatti travolti dal fango; le ricostruzioni a posteriori che prescindono dall'ansia di chi si trovava a operare nel pieno di un'emergenza infernale; e infine i lanciatori di fango che sanno benissimo in faccia a chi devono scagliarlo (e chi invece deve assolutamente rimanere con viso e vestiti immacolati e profumati). L'uso politico (e mediatico) della giustizia conosce un solo schema: come si dice tra Oxford e Cambridge, spargere merda in quantità industriale. Morale: il malcapitato, nel giro di 36 ore, si ritrova massacrato, con la sua faccia che rimbalza tra giornali-tv-social, con una trentina di milioni di italiani (se sommiamo ascolti tv e visualizzazioni) raggiunti in un giorno e mezzo dallo stimolo a considerarlo un mascalzone fatto e finito, e il tutto dentro un vortice di fatti spesso assolutamente vaghi (ma sempre presentati in una luce torbida), che spaziano dal pubblico alla dimensione privata. Ricordare in questo caso che l'avviso di garanzia sarebbe un atto - appunto - a tutela della persona che lo riceve diventa un'atroce beffa, l'ultima pernacchia, lo sberleffo finale. Ma quale garanzia? Nel turboprocesso mediatico di questi anni, la potenza dello sputtanamento iniziale è totale, non ammette repliche: cosa volete che importi, tra qualche mese, il trafiletto in cui si dirà che la posizione di Tizio è stata archiviata? Tra l'altro, pure la consecutio è ormai capovolta. Secondo logica (e secondo diritto), ci dovrebbe essere prima una verifica preliminare dei fatti, poi l'apertura di un'indagine con la doverosa informazione all'indagato, infine il processo in tre gradi con le prescritte garanzie. E invece no, tutto è rovesciato: prima lo sputtanamento, poi eventualmente l'individuazione di un'ipotesi di reato, poi gli accertamenti, infine il trafiletto (tra i necrologi e le previsioni meteo) per comunicare che i titoli a caratteri cubitali di qualche mese prima valevano meno di zero. Pensandoci bene, ora si capisce, rileggendo le intercettazioni del caso Palamara, come mai le correnti della magistratura si accapigliassero selvaggiamente per accaparrarsi le postazioni di vertice delle procure. A prima vista, un'anomalia, visto che dovrebbe essere il giudice terzo la figura più ambita, cioè chi pronuncia la sentenza finale. Macché: il vero potere, la possibilità di sconvolgere l'agenda politica ed economica del Paese (e di dettare quella mediatica) passa dagli uffici di Procura, dalla semplice apertura di un'indagine, da una banale iscrizione nel registro degli indagati. Il caso Fontana corrisponde in tutto e per tutto a questo «protocollo»: prima il pestaggio mediatico del malcapitato, e poi - cerca cerca - ancora non si trova quale sia il reato, o almeno non si capisce di che reato si tratti. Turbativa d'asta? Forse no. Il solito abuso d'ufficio, che si porta in tutte le stagioni come un maglioncino blu? Pare di no. L'ultimo spiffero dice: frode in pubbliche forniture. E su che base? Perché alla fine della fiera i camici donati (ripeto: donati) dalla società Dama srl alla Regione Lombardia sarebbero stati consegnati in numero minore rispetto a quanto inizialmente previsto. Ricapitoliamo: il contribuente non ha pagato nulla, i camici sono arrivati (un po' di meno ma sono arrivati), eppure la locomotiva dello sputtanamento corre e sbuffa a tutto vapore. Altro esempio? L'apertura della stagione di caccia (giudiziaria) in Lombardia sembra estendersi anche all'intesa tra la società Diasorin e l'ospedale San Matteo di Pavia per la realizzazione di test sierologici. Anche qui, in presenza di fatti ancora nebulosi, si è tranquillamente sbattuta in prima pagina un'eccellenza sanitaria come quella struttura. Ma non basta ancora: l'eccitazione nelle redazioni ha raggiunto l'apice quando è venuta fuori la notizia di un presunto sms di un deputato leghista che, rivolgendosi a un ex consigliere regionale, avrebbe citato Salvini («Sentito anche Salvini», sarebbe il contenuto del messaggino, che poi avrebbe esplicitato un giudizio politico negativo su un sindaco orientato tra l'altro a scegliere un test alternativo). Ma da un «sentito anche Salvini» che possiamo ricavare? Per chi conosca la politica, praticamente nulla: è normale che un dirigente politico cerchi di rafforzare la sua opinione citando il capo. Ma da qui a ricavarne un'indicazione certa e verificata sui test ce ne corre. Anche perché il resto del messaggio del deputato leghista (secondo alcune ricostruzioni, Paolo Grimoldi, il quale ha peraltro detto di avere conservato tutti i messaggi e ha smentito alcune versioni circolate) sembra piuttosto rimproverare a un sindaco un attacco politico alla Regione Lombardia proprio nel momento più duro dell'emergenza. Ed è dunque normale e comprensibile che un dirigente di partito inviti a non fare sponda, politicamente parlando, con un sindaco rivelatosi in polemica con la giunta leghista. Un giudizio politico come ogni giorno se ne scrivono e se ne pronunciano migliaia, a livello nazionale, regionale, comunale, a destra come a sinistra. E invece che titolo esce fuori su diverse testate? Elementare, Watson: «Inchiesta di Pavia, spunta il nome di Salvini». 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Nella giornata di oggi o in quella di domani, il governatore della Lombardia si difenderà in Consiglio regionale, dove l'opposizione - su iniziativa grillina - è pronta a presentare una mozione di sfiducia nei suoi confronti. «Serve un atto politico coraggioso per la storia che stiamo andando a costruire, siamo pronti a chiedere la sfiducia del presidente Fontana e chiediamo alle altre forze d'opposizione di sostenere la nostra richiesta», ha dichiarato il capogruppo del Movimento 5 stelle lombardo, Massimo De Rosa. Sulla stessa linea si è collocato anche il viceministro dello Sviluppo economico, il grillino Stefano Buffagni, che ha affermato: «C'è un chiaro problema di opportunità, e la gestione ex post del proprio caso da parte del governatore mi colpisce molto. Come ho detto, questa giunta non può andare avanti. Non è stata in grado di gestire l'emergenza causata dalla pandemia e poteva certamente evitare le strumentalizzazioni contro il governo, che ha operato con serietà senza mai entrare in contrapposizione con gli enti locali». Tutto questo, mentre il segretario del Pd lombardo, Vinicio Peluffo, ha dichiarato: «O Fontana può smentire in modo convincente o prenderemo atto che si è definitivamente rotto il rapporto di fiducia con i cittadini lombardi». Più netto l'eurodeputato del Pd, Pierfrancesco Majorino, che ha invocato le dimissioni del governatore. Fontana, dal canto suo, non sembra minimamente intenzionato a fare un passo indietro. E, nelle scorse ore, ha incassato il sostegno della sua giunta: a partire dagli assessori Giulio Gallera e Raffaele Cattaneo. Sostegno al governatore è arrivato tra l'altro dal capogruppo della Lega in Regione, Roberto Anelli, che ha definito l'intera vicenda una «assurdità». Dura anche la posizione di Matteo Salvini. Il leader del Carroccio aveva polemicamente parlato nei giorni scorsi di «giustizia alla Palamara», mentre ieri ha twittato: «In Italia la “giustizia" fa uscire di galera i mafiosi e indaga i cittadini onesti, in Lombardia e ovunque. Troppi Palamara nei tribunali, urge riforma seria per il bene degli Italiani». Accuse di doppiopesismo sono invece arrivate dal deputato leghista, Claudio Durigon. «Tra i camici gratuiti per la Lombardia e le mascherine vendute per 14 milioni alla Regione Lazio da un negozio che vende led, Fontana saprà spiegare anche questa situazione. Ma Zingaretti quando dovrà spiegare i milioni delle mascherine nel Lazio?», ha dichiarato. Solidarietà a Fontana è arrivata nelle scorse ore anche dal gruppo consiliare di Fratelli d'Italia in Regione Lombardia. Lo stesso Fontana ha detto la sua alla Stampa: «Questa storia è pazzesca», ha commentato il presidente della Lombardia, «ma qual è il reato? Di solito le persone finiscono indagate perché prendono dei soldi illecitamente. Io invece rischio di passare alla storia come il primo politico che viene indagato perché i soldi ha cercato di versarli. Certo, quando è saltata fuori questa storia e ho visto che mio cognato faceva questa donazione, ho voluto partecipare anch'io. Fare anch'io una donazione. Mi sembrava il dovere di ogni lombardo. Io della fornitura», ha aggiunto Fontana, «non sapevo niente. L'ho saputo solo quando mio cognato ha deciso di fare la donazione. Torno a ripetere: ma qual è il reato? È vero, mi sono sentito responsabile per mio cognato. Quei soldi li consideravo una donazione a mio modo. Alla fine la Regione da mio cognato i camici li ha avuti gratis e l'unico reato che vedo veramente è una palese violazione del segreto istruttorio».
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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Ecco #DimmiLaVerità del 10 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico analizziamo gli ostacoli che molti leader europei mettono sulla strada della pace in Ucraina.