
Gli afroamericani devono necessariamente votare per i democratici. È questa la bizzarra tesi che Joe Biden ha espresso venerdì scorso, attirandosi per questo non poche critiche.L'ex vicepresidente era intervenuto al programma radiofonico The Breakfast Club e, verso la conclusione della trasmissione, il conduttore afroamericano, Charlamagne tha God, gli ha chiesto di tornare, affermando: «Abbiamo altre domande». Biden ha quindi replicato: «Hai altre domande? Beh, ti dico una cosa, se hai problemi a capire se sei per me o Trump, allora non sei nero».Quella che (forse) voleva essere una battuta, ha scatenato una serie di critiche serrate. Il senatore repubblicano del South Carolina, l'afroamericano Tim Scott, è andato all'attacco dell'ex vicepresidente. «Questo è il commento più altezzoso e arrogante che ho sentito in tanto tempo». E su Twitter ha scritto: «1,3 milioni di neri americani hanno già votato per Trump nel 2016. Questa mattina, Joe Biden ha detto a ognuno di noi che non siamo neri. Direi che sono sorpreso, ma è purtroppo normale per i democratici dare per scontato l'appoggio della comunità nera». La dura posizione di Scott è stata prontamente ripresa dallo stesso Donald Trump. Tutto questo, mentre Biden si è successivamente scusato, dichiarando: «Non avrei dovuto essere così sprezzante».L'episodio avrebbe in sé stesso in un'importanza relativa, se non fosse in realtà rivelativo di una forma mentis abbastanza diffusa in larga parte della sinistra americana. Una forma mentis, secondo cui alcune categorie elettorali risulterebbero moralmente obbligate a votare per i democratici, indipendentemente dal valore e dalle idee dei candidati da loro espressi. Casi come quello di Biden sono svariati. Era, per esempio, il febbraio del 2016, quando l'ex segretario di Stato americano, Madeleine Albright, facendo campagna elettorale per Hillary Clinton alle primarie democratiche di allora, disse: «Le giovani donne devono sostenere Hillary Clinton. La storia non è finita! […] Vorranno respingerci. […] Hillary Clinton sarà sempre lì per voi. E ricordatevi, c'è un posto speciale all'inferno per le donne che non si aiutano a vicenda». Le sostenitrici di Bernie Sanders (che erano in gran parte donne giovani) non presero affatto bene la tesi della Albright: tanto che la stessa Hillary si ritrovò di fatto costretta a prendere le distanze.Del resto, è sempre restando al 2016 che si riscontrano ulteriori esempi significativi. Alle presidenziali di quell'anno, Trump riuscì innanzitutto a strappare ai democratici il sostegno degli operai bianchi impoveriti della Rust Belt: quegli operai che avevano invece in gran parte votato per Barack Obama nel 2008 e nel 2012. Non bisogna poi dimenticare le minoranze etniche che, ormai da molto tempo, i democratici ritengono un proprio esclusivo bacino elettorale. Anche qui il 2016 risulta particolarmente istruttivo. Secondo gli exit poll, quell'anno Trump ottenne, tra neri e ispanici, risultati migliori di quelli conseguiti nel 2012 dall'allora candidato repubblicano, Mitt Romney. Di contro, Hillary Clinton - rispetto a Obama - perse cinque punti tra gli afroamericani e sei punti tra gli ispanici. E, questo, anche perché l'ex first lady aveva (colpevolmente) considerato scontato il totale appoggio delle minoranze etniche nei proprio confronti.Le affermazioni di Biden si inseriscono quindi in una mentalità abbastanza diffusa tra gli esponenti del Partito democratico americano. Una mentalità che, al di là di una certa arroganza, rischia di essere controproducente anche dal punto di vista politico. È infatti palese che questo tipo di ostentata sicumera si ritorca puntualmente contro i candidati che la mostrano: e, nuovamente, il caso della Clinton è assolutamente evidente. Non sarà del resto un caso che, tra gli elettori di Bernie Sanders, molti non abbiano granché apprezzato le dichiarazioni di Biden a The Breakfast Club. La questione non è di poco conto, vista la fatica che l'ex vicepresidente sta incontrando nel cercare di tenere unito il partito. Ma il problema va oltre le sole dinamiche interne all'asinello. E investe anche, a ben vedere, una certa tendenza al doppiopesismo largamente diffusa tra i democratici. Nelle scorse ore, una delle consigliere di Biden, Symone Sanders, ha cercato di derubricare le affermazioni dell'ex vicepresidente a semplice "scherzo". Sarà magari stata una battuta (malriuscita): ma ci immaginiamo che cosa sarebbe accaduto se a farla fosse stato Trump? Ci immaginiamo quale sarebbe stata la reazione dei democratici (a partire dallo stesso Biden)? Ma soprattutto, a proposito di doppio standard, è forse lecito chiedersi che fine abbia fatto Kamala Harris. La senatrice democratica (afroamericana) della California che, nel 2019, non solo tacciò Biden di pregressa collusione con il segregazionismo razziale ma disse anche di credere a quelle donne che lo avevano accusato di molestie sessuali. Ebbene, quella stessa Kamala Harris non soltanto non ha ancora detto una parola sulle affermazioni di Biden dedicate al voto degli afroamericani ma, quando è stata recentemente interpellata sulle accuse di aggressione sessuale mosse all'ex vicepresidente da Tara Reade, ha replicato: «Parlo solo del Joe Biden che conosco». È forse maligno ritenere che il silenzio e l'evasività della Harris (n tempo invece tanto battagliera) siano dettati dal fatto che la senatrice sia attualmente una papabile candidata alla vicepresidenza a fianco dello stesso Biden? Ecco: è esattamente questo doppiopesismo che potrebbe rivelarsi deleterio per i democratici il prossimo novembre. E non è affatto detto che i diretti interessati se ne siano accorti.
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