2022-09-29
Paradosso scuola: a ottobre resterà l’ultimo «fortino» delle mascherine
A fine mese (a meno di colpi di mano finali del ministro Speranza) decade l’obbligo di indossarle in Rsa, ospedali e sui mezzi pubblici. Ma se c’è un positivo in classe, i compagni devono usarle per dieci giorni.«Dialogo», «diversità», «modello inclusivo»: Sergio Mattarella, nel suo messaggio per l’inaugurazione dell’anno scolastico delle scuole italiane all’estero, ha avuto ottimi motivi per rispolverare la retorica del pedagogismo progressista, anziché mettersi a parlare di pandemia. Per fortuna, salvo eccezioni sporadiche e ascrivibili alle residue ossessioni degli irriducibili del Covid, i nostri studenti sono tornati alla normalità. Sono stati affrancati dalla Dad e quasi del tutto dalle mascherine. Ora, però, su di loro incombe un ennesimo paradosso. Legato proprio a quel «quasi». Tra pochi giorni, rischieranno di essere gli ultimi a dover indossare, almeno in certe circostanze, gli insopportabili bavagli. E non ci riferiamo solamente ai ragazzi fragili, ai quali è già raccomandata la protezione delle vie aeree. Dopodomani, infatti, decade l’obbligo di museruola anche sui mezzi pubblici, negli ospedali, negli ambulatori e nelle Rsa. Gli unici tenuti a indossare la Ffp2 sarebbero i contatti stretti di un positivo, i quali, in assenza di sintomi, possono uscire di casa, ma con volto e naso coperti, per dieci giorni. Un provvedimento già in sé contraddittorio, visto che la quarantena per chi ha contratto il Covid è stata ridotta da sette a cinque giorni. La stessa disposizione vale per gli alunni, come stabilito da un protocollo del marzo scorso. Una differenza, però, esiste. È noto, infatti, che molti degli infetti evitano accuratamente di autodenunciarsi; magari, non avvisano neppure le persone che hanno incontrato; e queste ultime, se informate, spesso non osservano la regola della mascherina per dieci giorni. Magari non per malafede, bensì per semplice ignoranza. La gente, comprensibilmente, ha fatto fatica a star dietro al coacervo di disposizioni introdotte da burocrati bulimici, i quali credono di risolvere ogni problema sfornando prescrizioni bizantine. A scuola, dove i responsabili della sorveglianza sanitaria sono in primis i presidi, le maglie sono più strette: gli alunni che si ammalano sono tenuti a sottoporsi a un tampone sia per certificare la positività sia per attestare la guarigione. Automaticamente, quindi, per i contatti stretti scatta l’obbligo di frequentare le aule con la Ffp2. Benché gli strati di stoffa possano rivelarsi incapaci di schermare altri compagni di classe, eventualmente autorizzati a rimanere a volto scoperto.Il potenziale cortocircuito è una di quelle storture della virocrazia cui il governo di centrodestra, una volta insediato, dovrà rimediare. Se il resto della società è tornato alla normalità e, anzi, s’è mostrato così stufo delle restrizioni da costringere l’esecutivo ad allentare persino quelle che diversi suoi settori avrebbero voluto tenere in piedi, perché solo la scuola dovrebbe continuare a essere vittima di un accanimento spacciato per prudenza? Intanto, c’è da augurarsi che Roberto Speranza non si avventuri in un blitz dell’ultimo minuto, prorogando la vessazione della museruola sui treni e nei nosocomi. Il suo consigliere, Walter Ricciardi, poliziotto cattivo dell’era Covid, preme in quella direzione: «In questo momento», borbotta, «sembra si stia rinunciando alla lotta» contro il virus. «Questo significa che ne faranno le spese gli anziani, soprattutto quelli fragili. E a maggior ragione quelli che sono in strutture come le Rsa. Tutto quello che è rimozione, riduzione, cancellazione, in presenza di una copertura vaccinale insoddisfacente, come quella attuale, è estremamente pericoloso». Avete letto bene: l’uomo che sussurra a Speranza considera «insoddisfacente» il numero di dosi somministrate finora. A riprova del fatto che il vaccino, nella testa dei fanatici, ha un unico difetto: non è mai abbastanza.Più ragionevole Matteo Bassetti, il quale ricorda che agli anziani serve «il calore dei familiari» ed esorta a eliminare anche gli altri limiti che permangono nelle case di riposo: «Andrebbero tolte tutte le misure, dai tamponi al green pass». Sì, perché alla fine è questa la madre di tutte le contraddizioni: i provvedimenti anti Covid erano stati pensati per proteggere le categorie più deboli, ma l’ostinato rifiuto di superare il pensiero emergenziale sta trasformando quelle accortezze in strumenti di condanna. Nei confronti dei più piccoli, ai quali riserviamo attenzioni morbose e che, in realtà, rischiano molto meno per il Sars-Cov-2 che per gli strascichi psicologici dovuti ai mantra delle mascherine e del distanziamento. E nei confronti dei nonnini: dopo averli vaccinati e rivaccinati, continuiamo a fare di tutto affinché i mesi o gli anni di vita che non dovrebbe più essere in grado di toglier loro il virus, siano resi penosi dalla lontananza coatta dei cari. Quanti di essi vorrebbero una parola in meno da Ricciardi e un sorriso in più da figli e nipoti?
Abiy Ahmed e Giorgia Meloni (Ansa)
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