2023-08-01
Dopo il taglio alle scorte di petrolio Usa ostaggio delle scelte dell’Opec
Per abbassare il costo alla pompa e non perdere le elezioni di medio termine, Joe Biden ha drasticamente ridotto le riserve. Troppo dispendioso rialzarle, ma così gli Stati Uniti sono più vulnerabili agli choc dei prezzi.Secondo i dati della U.S. energy information, la riserva strategica di petrolio degli Stati Uniti, più comunemente nota come Spr (strategic petroleum reserve), si attesta attualmente a 346 milioni e 800.000 barili, il livello più basso registrato dal 1983, pari a circa 18 giorni di rifornimenti. La capacità totale di stoccaggio di questa sorta di «salvadanaio» da shock di approvvigionamento è di 714 milioni di barili.Più precisamente, la Spr statunitense ha iniziato a diminuire dal 2017, ma è con l’amministrazione Biden che si è registrato il calo più significativo da sempre, con l’immissione sul mercato di circa 180 milioni di barili in sei mesi (quasi cinque volte più grande di qualsiasi vendita precedente), al fine di calmierare il prezzo alla pompa cresciuto sulla scia del costo del barile, evitando una sonora sconfitta alle elezioni di medio termine del Congresso a novembre 2022 (dall’inizio del 2023, negli Stati Uniti, il costo alla pompa è calato del 20% circa).Secondo Bloomberg, nonostante lo U.S. energy department si sia pubblicamente impegnato a riempire nuovamente la riserva strategica del Paese, saranno necessari decenni, se mai accadrà, vista la mancanza di finanziamenti, l’invecchiamento delle infrastrutture e i rilevanti costi da sostenere.Nello specifico, il prezzo medio pagato per il greggio contenuto nella Spr è stato di 29,70 dollari al barile a fronte dei 75-80 dollari al barile attuali. In base ai dati forniti da Kevin Book, amministratore delegato di Clearview energy partners, il dipartimento avrebbe a disposizione 4,3 miliardi di dollari per l’acquisto di greggio, sufficienti per circa 61 milioni di barili ad un prezzo di 70 dollari al barile. Per riportare il livello della Spr ai massimi del 2009, occorrerebbero oltre 300 milioni di barili al costo di 70 dollari al barile per un totale di ben 21 miliardi di dollari.Secondo Benjamin Salisbury, direttore della ricerca presso Height capital markets, sebbene ci sia una discussione in corso sul livello della ricarica della riserva Usa, non esiste affatto unanimità in merito a quale potrebbe essere il livello giusto: «Vogliamo davvero spendere 7 o 8 miliardi di dollari per ricaricare la Spr, se siamo ancora perfettamente in grado di produrre il nostro petrolio?», ha sostenuto Salisbury lo scorso 17 luglio.In realtà, il direttore di Height capital markets ritiene che il concetto di sicurezza energetica del Paese sia profondamente mutato nel tempo grazie all’uso della tecnica del fracking (fratturazione idraulica) che ha permesso agli Stati Uniti di diventare - al momento - il principale produttore di «oro nero» (tight oil) al mondo. Nello specifico, quando l’Spr fu concepita nel 1975, i produttori in Medio Oriente negavano il greggio agli Stati Uniti. Al tempo, gli Usa producevano 8 milioni e 400.000 barili al giorno, importavano 4 milioni e 100.000 barili al giorno, mentre le importazioni nette di greggio e prodotti petroliferi erano di 6 milioni e 200.000 barili al giorno in base ai dati di Oilprice. Ad oggi, la situazione si presenta ben diversa visto che le importazioni nette degli Stati Uniti sono a -1 milione e 300.000 barili al giorno (le importazioni di greggio Usa sono tutt’ora oltre 6 milioni di barili al giorno, in aumento dal 2020 compreso), mentre la produzione di greggio supera i 12 milioni di barili al giorno, in base alle statistiche della U.S. Energy information administration.Quindi, rispetto ai decenni trascorsi, gli Stati Uniti potrebbero avere meno bisogno di erigere una Spr così imponente dinanzi ad eventi climatici straordinari, come fu per l’Uragano Katrina nel 2005, in Louisiana, quando il ruolo della Strategic petroleum reserve si manifestò chiaramente, contribuendo ad evitare una crisi energetica grazie ai depositi sotterranei.Non a caso, il 23 marzo, il Segretario all’energia degli Stati Uniti d’America, Jennifer Granholm, aveva già sostenuto che «sarebbero stati necessari anni per ricostituire la riserva strategica di petrolio», se non altro per evitare picchi di prezzo, proprio il fattore che ne aveva innescato le vendite.Tuttavia, tenuto conto che la produzione da scisto Usa non cresce più come una volta – anzi, si è sostanzialmente stabilizzata e non è affatto escluso che possa recedere negli anni a venire - mentre il riacquisto di cui parla la Granholm non potrà essere sostenuto onde non ridare slancio all’inflazione (agli attuali ritmi, gli Usa necessiteranno di 7 anni per ripristinare 256 milioni di barili), l’impressione è che la leva statunitense nel mercato petrolifero globale possa comunque uscirne indebolita, rendendo gli Usa più vulnerabili agli choc di prezzo, ma soprattutto alle decisioni dell’Opec plus.Inoltre, alla luce del conflitto in Ucraina, è difficile immaginare che gli Usa possano desiderare un ulteriore aumento della pressione delle sanzioni del G7 sulle esportazioni di petrolio russo, ha dichiarato Alexander Malanichev, docente presso la Russian economic school, il 19 luglio scorso.Da ultimo, la scelta Usa relativa alla gestione della Spr potrebbe risultare fatale dinanzi ad un eventuale conflitto con la Cina che, con ogni probabilità, si risolverà in favore del contendente che saprà mantenere più a lungo aperti i canali dei flussi petroliferi (e gasiferi) marittimi. Frattanto, ci informa Oilprice, Pechino – con l’aiuto delle forniture a basse prezzo di Mosca – accelera le scorte di greggio al tasso più alto in tre anni, riserve strategiche comprese.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)