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2024-02-11
Scoperto covo di Hamas sotto la sede Onu
Getty Images
Il Times of Israel ha rivelato che l’esercito israeliano ha scoperto ieri una centrale di intelligence appartenente ad Hamas nei sotterranei di una sede dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi, situata nel quartiere Rimal di Gaza City. Il data center sotterraneo era completo di sala elettrica, batterie industriali e alloggi per i terroristi di Hamas che gestivano i server dei computer. Il colonnello dell’Idf Benny Aharon ha rivelato ai giornalisti di Times of Israel che «l’Unrwa fornisce copertura ad Hamas, sa esattamente cosa succede nei suoi sotterranei e usa il suo budget per finanziare alcune delle capacità militari di Hamas, questo è certo». Un raid dell’Idf nel Sud del Libano, invece, che aveva come obiettivo l’eliminazione di un funzionario di Hamas, Basel Saleh, ritenuto responsabile dell’arruolamento di nuovi miliziani, è fallito visto che quest’ultimo sarebbe rimasto soltanto ferito.
Sul piano diplomatico, le parole con cui Joe Biden, nella serata di venerdì, ha ammonito Benjamin Netanyahu, accusato di aver avuto una condotta esagerata nella reazione militare a Gaza, a quanto pare sono cadute nel vuoto. Il presidente americano sperava, in cuor suo, di convincere l’omologo israeliano ad avvicinarsi sulla strada della diplomazia e di un cessate il fuoco, temporaneo o permanente che sia. E invece Bibi dimostra di non volersi fermare e di continuare dritto sulla via della guerra. Il tanto temuto assedio a Rafah ha già causato diverse vittime nelle ultime 48 ore: nel raid aereo di ieri condotto dall’Idf, stando a quanto comunicato dal capo della municipalità della città a Sud della Striscia e a ridosso del confine egiziano, sono morte 44 persone, tra cui almeno 14 bambini. Secondo i vertici dell’Idf, nell’attacco hanno perso la vita anche Ahmed al-Yaakobi, numero uno dell’intelligence della polizia di Hamas, il suo vice Iman a-Rantisi e Ibrahim Shatat, delegato della polizia di Hamas per la distribuzione degli aiuti.
Questo scenario, oltre ad aprire un tema internazionale che riguarda la forza e la credibilità dell’attuale inquilino della Casa Bianca nei confronti dell’alleato, rischia di accendere la miccia che può provocare l’allargamento del conflitto in Medio Oriente. Proprio l’Egitto, che in questi giorni ha schierato i carri armati sulla linea di frontiera, ha avvertito Israele di essere pronto a stracciare il trattato di pace che i due Paesi firmarono nel 1979 nel caso in cui si verificasse uno spostamento di massa in territorio egiziano dell’oltre un milione di sfollati palestinesi che vivono rifugiati a Rafah. Ieri sul tema è intervenuto il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry: «C’è uno spazio limitato e un grande rischio nel sottoporre Rafah a un’ulteriore escalation militare a causa del crescente numero di palestinesi. Ciò avrebbe conseguenze terribili». L’esercito israeliano ritiene la città di confine l’ultima vera roccaforte di Hamas, motivo per cui ha sollecitato i civili a evacuare prima di sferrare l’attacco decisivo via terra per smantellare i quattro battaglioni dei miliziani ancora attivi nell’area. Netanyahu ha fatto sapere che l’offensiva dovrà essere portata a termine entro l’inizio del Ramadan, fissato per domenica 10 marzo, a dimostrazione del fatto che la pressione sul suo governo è forte, sia sul fronte interno che esterno. Ieri, in diverse città dello Stato ebraico ci sono state proteste e manifestazioni contro la gestione del premier. In particolare ad Haifa dove, secondo quanto riportato da Haaretz, c’erano circa 3.000 persone in piazza a chiedere il rilascio degli ostaggi e le elezioni anticipate.
Dall’Europa, è la Germania a tentare la carta della pressione diplomatica sul governo israeliano. Il ministro degli Esteri Annalena Baerbock ha annunciato che la prossima settimana volerà in visita in Israele per presentare una proposta di cessate il fuoco e scongiurare quella che può essere una «catastrofe umanitaria annunciata». La politica tedesca, in un messaggio su X, ha spiegato: «La popolazione di Gaza non può scomparire nel nulla. Israele deve difendersi dal terrore di Hamas, ma allo stesso tempo alleviare il più possibile le sofferenze della popolazione civile. Per questo abbiamo bisogno di un altro cessate il fuoco, anche per poter liberare gli ostaggi». Anche l’Arabia Saudita ha fatto sapere che l’attacco a Rafah può avere «ripercussioni estremamente pericolose», condannando quella che ritiene una «deportazione forzata» della popolazione palestinese: «Questa continua violazione del diritto internazionale e del diritto umanitario conferma la necessità di convocare urgentemente il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per impedire a Israele di causare un’imminente catastrofe umanitaria di cui sono responsabili tutti coloro che sostengono l’aggressione». L’appello saudita di un intervento dell’Onu fa il paio con quello chiesto da Hamas. Il gruppo terrorista che dal 2006 governa la Striscia di Gaza vuole la convocazione immediata di una riunione straordinaria al Palazzo di vetro, affinché possa «obbligare l’occupazione israeliana a fermare la guerra genocida che sta commettendo contro i palestinesi a Gaza».
Gli Huthi minacciano le navi italiane. Tajani: «Non ci faremo intimidire»
L’Italia ha assunto il comando di Aspides, la neonata missione navale Ue che ha l’obiettivo strategico di proteggere i convogli europei nel Mar Rosso. La cosa, però, non è affatto piaciuta agli Huthi, che ormai da mesi stanno ostacolando il commercio marittimo che transita tra il canale di Suez e lo stretto di Bab al-Mandab. Alcuni giorni fa, in un’intervista a Repubblica, uno dei membri di spicco dei ribelli yemeniti aveva affermato che «l’Italia sarà un bersaglio se parteciperà all’aggressione contro lo Yemen»
Simili minacce sono state ribadite anche ieri da Nasr al-Din Amer, vicecapo dell’Autorità per i media degli Ansar Allah («partigiani di Dio»), altro nome con cui è nota l’organizzazione militare degli Huthi. Assumendo il comando di Aspides, ha dichiarato all’Adnkronos, l’Italia «mette a repentaglio la sicurezza delle sue navi militari e commerciali». Amer, che è anche presidente del Consiglio di amministrazione dell’agenzia di stampa Saba, ha poi spiegato in maniera perentoria «che colpiremo le navi che aggrediscono il nostro Paese o che ostacolano la decisione di impedire alle navi israeliane di attraversare il Mar Rosso. Questo deve essere chiaro».
Secondo Amer, la decisione di guidare Aspides è «pericolosa» per l’Italia e «la conduce allo scontro diretto con il nostro Paese», anche perché la missione ha lo scopo di «intercettare i missili yemeniti» diretti contro le navi israeliane o comunque i convogli che navigano verso lo Stato ebraico. Pertanto, ha proseguito Amer, «non consigliamo assolutamente all’Italia di impegnarsi in questa missione, perché è basata su informazioni false ed errate, secondo cui esisterebbe un pericolo per la navigazione». Al contrario, a detta dell’esponente degli Huthi, «non esiste alcuna minaccia per la navigazione in generale, ma solo per le navi israeliane, americane e britanniche che transitano attraverso il Mar Rosso, Bab al-Mandab, il Mar Arabico e il Golfo di Aden, a causa della loro aggressione contro lo Yemen».
Per scoraggiare l’Italia a guidare Aspides, Amer cita il caso dell’operazione Prosperity Guardian, la missione lanciata dagli Stati Uniti lo scorso dicembre per contrastare gli attacchi degli Huthi nel Mar Rosso. Gli americani, sostiene Amer, volevano proteggere le rotte commerciali, ma non hanno ottenuto gli effetti sperati: «Il numero di navi che attraversano il Mar Rosso è diminuito», spiega l’esponente dei partigiani di Dio, e «gli Stati Uniti non sono stati in grado di garantire alcuna protezione alle navi israeliane. Anzi, insieme alla Gran Bretagna, hanno messo a repentaglio la sicurezza delle loro navi. Di conseguenza, non consigliamo all’Italia di fare altrettanto». Anche perché, minaccia ancora Amer, se non cesserà «l’aggressione israeliana a Gaza», ci sarà un’ulteriore escalation del conflitto. «Non possiamo rivelare il tipo di questa escalation», ha proseguito l’esponente degli Huthi, «ma certamente se l’aggressione contro Gaza non si ferma, amplieremo le nostre operazioni in un modo che sorprenderà tutti».
Pronta è stata la risposta di Antonio Tajani. Il ministro degli Esteri ha assicurato che, per evitare che i porti di Trieste, Taranto, Brindisi, Gioia Tauro e Genova «soffrano a causa delle violenze degli Huthi, l’Italia è stata protagonista nell’inviare una missione militare europea a difesa del traffico marittimo nell’area del Mar Rosso. Proteggeremo le nostre navi e non ci faremo intimidire». Inoltre, ha proseguito Tajani, «ci auguriamo si possa presto arrivare a una soluzione positiva in quell’area, che si possa arrivare alla pace, anche se non è facile, quindi disinnescare pure ciò che sta accadendo nello Yemen con i ribelli Huthi, che attaccano i mercantili che passano nel Mar Rosso». In ogni caso, ha concluso il ministro degli Esteri, «la nostra Marina militare difenderà le nostre navi mercantili perché siamo un Paese che ha il 40% del proprio Pil che dipende dalle esportazioni e non possiamo permetterci che l’impossibilità di esportare in quell’area provochi danni ai nostri porti e alle nostre imprese».
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L’Idf ha trovato una centrale spionistica dei terroristi nei sotterranei dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. Washington in pressione su Benjamin Netanyahu: «La reazione di Israele è stata esagerata». Berlino: «Rischio di catastrofe umanitaria».I ribelli Huthi promettono rappresaglie per la missione Ue nel Mar Rosso guidata da Roma.Lo speciale contiene due articoli.Il Times of Israel ha rivelato che l’esercito israeliano ha scoperto ieri una centrale di intelligence appartenente ad Hamas nei sotterranei di una sede dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi, situata nel quartiere Rimal di Gaza City. Il data center sotterraneo era completo di sala elettrica, batterie industriali e alloggi per i terroristi di Hamas che gestivano i server dei computer. Il colonnello dell’Idf Benny Aharon ha rivelato ai giornalisti di Times of Israel che «l’Unrwa fornisce copertura ad Hamas, sa esattamente cosa succede nei suoi sotterranei e usa il suo budget per finanziare alcune delle capacità militari di Hamas, questo è certo». Un raid dell’Idf nel Sud del Libano, invece, che aveva come obiettivo l’eliminazione di un funzionario di Hamas, Basel Saleh, ritenuto responsabile dell’arruolamento di nuovi miliziani, è fallito visto che quest’ultimo sarebbe rimasto soltanto ferito. Sul piano diplomatico, le parole con cui Joe Biden, nella serata di venerdì, ha ammonito Benjamin Netanyahu, accusato di aver avuto una condotta esagerata nella reazione militare a Gaza, a quanto pare sono cadute nel vuoto. Il presidente americano sperava, in cuor suo, di convincere l’omologo israeliano ad avvicinarsi sulla strada della diplomazia e di un cessate il fuoco, temporaneo o permanente che sia. E invece Bibi dimostra di non volersi fermare e di continuare dritto sulla via della guerra. Il tanto temuto assedio a Rafah ha già causato diverse vittime nelle ultime 48 ore: nel raid aereo di ieri condotto dall’Idf, stando a quanto comunicato dal capo della municipalità della città a Sud della Striscia e a ridosso del confine egiziano, sono morte 44 persone, tra cui almeno 14 bambini. Secondo i vertici dell’Idf, nell’attacco hanno perso la vita anche Ahmed al-Yaakobi, numero uno dell’intelligence della polizia di Hamas, il suo vice Iman a-Rantisi e Ibrahim Shatat, delegato della polizia di Hamas per la distribuzione degli aiuti.Questo scenario, oltre ad aprire un tema internazionale che riguarda la forza e la credibilità dell’attuale inquilino della Casa Bianca nei confronti dell’alleato, rischia di accendere la miccia che può provocare l’allargamento del conflitto in Medio Oriente. Proprio l’Egitto, che in questi giorni ha schierato i carri armati sulla linea di frontiera, ha avvertito Israele di essere pronto a stracciare il trattato di pace che i due Paesi firmarono nel 1979 nel caso in cui si verificasse uno spostamento di massa in territorio egiziano dell’oltre un milione di sfollati palestinesi che vivono rifugiati a Rafah. Ieri sul tema è intervenuto il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry: «C’è uno spazio limitato e un grande rischio nel sottoporre Rafah a un’ulteriore escalation militare a causa del crescente numero di palestinesi. Ciò avrebbe conseguenze terribili». L’esercito israeliano ritiene la città di confine l’ultima vera roccaforte di Hamas, motivo per cui ha sollecitato i civili a evacuare prima di sferrare l’attacco decisivo via terra per smantellare i quattro battaglioni dei miliziani ancora attivi nell’area. Netanyahu ha fatto sapere che l’offensiva dovrà essere portata a termine entro l’inizio del Ramadan, fissato per domenica 10 marzo, a dimostrazione del fatto che la pressione sul suo governo è forte, sia sul fronte interno che esterno. Ieri, in diverse città dello Stato ebraico ci sono state proteste e manifestazioni contro la gestione del premier. In particolare ad Haifa dove, secondo quanto riportato da Haaretz, c’erano circa 3.000 persone in piazza a chiedere il rilascio degli ostaggi e le elezioni anticipate. Dall’Europa, è la Germania a tentare la carta della pressione diplomatica sul governo israeliano. Il ministro degli Esteri Annalena Baerbock ha annunciato che la prossima settimana volerà in visita in Israele per presentare una proposta di cessate il fuoco e scongiurare quella che può essere una «catastrofe umanitaria annunciata». La politica tedesca, in un messaggio su X, ha spiegato: «La popolazione di Gaza non può scomparire nel nulla. Israele deve difendersi dal terrore di Hamas, ma allo stesso tempo alleviare il più possibile le sofferenze della popolazione civile. Per questo abbiamo bisogno di un altro cessate il fuoco, anche per poter liberare gli ostaggi». Anche l’Arabia Saudita ha fatto sapere che l’attacco a Rafah può avere «ripercussioni estremamente pericolose», condannando quella che ritiene una «deportazione forzata» della popolazione palestinese: «Questa continua violazione del diritto internazionale e del diritto umanitario conferma la necessità di convocare urgentemente il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per impedire a Israele di causare un’imminente catastrofe umanitaria di cui sono responsabili tutti coloro che sostengono l’aggressione». L’appello saudita di un intervento dell’Onu fa il paio con quello chiesto da Hamas. Il gruppo terrorista che dal 2006 governa la Striscia di Gaza vuole la convocazione immediata di una riunione straordinaria al Palazzo di vetro, affinché possa «obbligare l’occupazione israeliana a fermare la guerra genocida che sta commettendo contro i palestinesi a Gaza».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/scoperto-covo-hamas-sede-onu-2667236775.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-huthi-minacciano-le-navi-italiane-tajani-non-ci-faremo-intimidire" data-post-id="2667236775" data-published-at="1707619255" data-use-pagination="False"> Gli Huthi minacciano le navi italiane. Tajani: «Non ci faremo intimidire» L’Italia ha assunto il comando di Aspides, la neonata missione navale Ue che ha l’obiettivo strategico di proteggere i convogli europei nel Mar Rosso. La cosa, però, non è affatto piaciuta agli Huthi, che ormai da mesi stanno ostacolando il commercio marittimo che transita tra il canale di Suez e lo stretto di Bab al-Mandab. Alcuni giorni fa, in un’intervista a Repubblica, uno dei membri di spicco dei ribelli yemeniti aveva affermato che «l’Italia sarà un bersaglio se parteciperà all’aggressione contro lo Yemen» Simili minacce sono state ribadite anche ieri da Nasr al-Din Amer, vicecapo dell’Autorità per i media degli Ansar Allah («partigiani di Dio»), altro nome con cui è nota l’organizzazione militare degli Huthi. Assumendo il comando di Aspides, ha dichiarato all’Adnkronos, l’Italia «mette a repentaglio la sicurezza delle sue navi militari e commerciali». Amer, che è anche presidente del Consiglio di amministrazione dell’agenzia di stampa Saba, ha poi spiegato in maniera perentoria «che colpiremo le navi che aggrediscono il nostro Paese o che ostacolano la decisione di impedire alle navi israeliane di attraversare il Mar Rosso. Questo deve essere chiaro». Secondo Amer, la decisione di guidare Aspides è «pericolosa» per l’Italia e «la conduce allo scontro diretto con il nostro Paese», anche perché la missione ha lo scopo di «intercettare i missili yemeniti» diretti contro le navi israeliane o comunque i convogli che navigano verso lo Stato ebraico. Pertanto, ha proseguito Amer, «non consigliamo assolutamente all’Italia di impegnarsi in questa missione, perché è basata su informazioni false ed errate, secondo cui esisterebbe un pericolo per la navigazione». Al contrario, a detta dell’esponente degli Huthi, «non esiste alcuna minaccia per la navigazione in generale, ma solo per le navi israeliane, americane e britanniche che transitano attraverso il Mar Rosso, Bab al-Mandab, il Mar Arabico e il Golfo di Aden, a causa della loro aggressione contro lo Yemen». Per scoraggiare l’Italia a guidare Aspides, Amer cita il caso dell’operazione Prosperity Guardian, la missione lanciata dagli Stati Uniti lo scorso dicembre per contrastare gli attacchi degli Huthi nel Mar Rosso. Gli americani, sostiene Amer, volevano proteggere le rotte commerciali, ma non hanno ottenuto gli effetti sperati: «Il numero di navi che attraversano il Mar Rosso è diminuito», spiega l’esponente dei partigiani di Dio, e «gli Stati Uniti non sono stati in grado di garantire alcuna protezione alle navi israeliane. Anzi, insieme alla Gran Bretagna, hanno messo a repentaglio la sicurezza delle loro navi. Di conseguenza, non consigliamo all’Italia di fare altrettanto». Anche perché, minaccia ancora Amer, se non cesserà «l’aggressione israeliana a Gaza», ci sarà un’ulteriore escalation del conflitto. «Non possiamo rivelare il tipo di questa escalation», ha proseguito l’esponente degli Huthi, «ma certamente se l’aggressione contro Gaza non si ferma, amplieremo le nostre operazioni in un modo che sorprenderà tutti». Pronta è stata la risposta di Antonio Tajani. Il ministro degli Esteri ha assicurato che, per evitare che i porti di Trieste, Taranto, Brindisi, Gioia Tauro e Genova «soffrano a causa delle violenze degli Huthi, l’Italia è stata protagonista nell’inviare una missione militare europea a difesa del traffico marittimo nell’area del Mar Rosso. Proteggeremo le nostre navi e non ci faremo intimidire». Inoltre, ha proseguito Tajani, «ci auguriamo si possa presto arrivare a una soluzione positiva in quell’area, che si possa arrivare alla pace, anche se non è facile, quindi disinnescare pure ciò che sta accadendo nello Yemen con i ribelli Huthi, che attaccano i mercantili che passano nel Mar Rosso». In ogni caso, ha concluso il ministro degli Esteri, «la nostra Marina militare difenderà le nostre navi mercantili perché siamo un Paese che ha il 40% del proprio Pil che dipende dalle esportazioni e non possiamo permetterci che l’impossibilità di esportare in quell’area provochi danni ai nostri porti e alle nostre imprese».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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