
La decisione della Pfizer di ridurre il personale
La Pfizer in Italia ha deciso di ridurre i dipendenti dello stabilimento di Catania. A inizio febbraio aveva annunciato il licenziamento di 200 persone, ma alla fine ha raggiunto un accordo con il sindacato per incentivare l’esodo di chi è prossimo alla pensione e il trasferimento di una parte dei cosiddetti esuberi ad Ascoli Piceno, dove la multinazionale ha un secondo sito produttivo.
Fin qui nulla da dire: succede che le aziende abbiamo bisogno di adeguare la forza lavoro sulla base di nuove esigenze e capita anche che i gruppi internazionali non vadano troppo per il sottile. Essendo abituati a un sistema di regole molto più elastico di quello che vige in Italia non apprezzano le liturgie sindacali, con lunghe trattative, tavoli al ministero del lavoro, cassa integrazione, mobilità e quant’altro nel nostro Paese si è inventato per ingessare il mercato del lavoro. Tuttavia, a stupirmi non è la decisione della Pfizer di ridurre il personale, quanto che, grazie al vaccino anti Covid, il 2021 sia stato per la casa farmaceutica americana il miglior anno di sempre. Nel 2019, prima della pandemia, la multinazionale guidata da Albert Bourla aveva fatturato 51,7 miliardi di dollari. Lo scorso anno, quando ha messo in commercio il farmaco contro la pandemia, i suoi ricavi sono cresciuti fino a 81 miliardi, 37 dei quali ricavati proprio grazie al vaccino. Parlando agli analisti e agli investitori, il manager greco che è a capo del gruppo ha lasciato intendere che il 2022 sarà migliore, con un fatturato previsto fra i 98 e i 102 miliardi: un record. Se poi si guarda al profitto netto, dai 9,1 del 2020 si è passati ai 22 dello scorso anno e anche questo è un risultato mai visto.
Certo, le riorganizzazioni all’interno di una fabbrica a volte sono necessarie anche se si fanno tanti utili, perché il compito dei vertici aziendali è guardare all’efficienza di un’azienda e avere una visione di lungo periodo. E però qualche perplessità viene quando si dà uno sguardo anche al ceo pay ratio, ovvero al rapporto fra la remunerazione dell’amministratore delegato con quella della media degli altri dipendenti. Nel 2019, Bourla ha percepito un compenso pari a poco meno di 18 milioni di dollari che, approssimativamente, è pari a 181 volte lo stipendio della media degli impiegati del gruppo, per i quali la remunerazione era di poco inferiore ai 100 mila dollari l’anno. Insomma, il manager greco, già prima della pandemia percepiva un compenso con i fiocchi, che lo collocava tra i meglio retribuiti fra i ceo. Che cos’è successo invece nel 2021, cioè dopo il Covid? La remunerazione è aumentata di circa 6 milioni e mezzo, raggiungendo quota 24 milioni e 353 mila dollari, con un incremento del 35,83 per cento.
Mica male, no? E quella dei dipendenti del gruppo? Beh, purtroppo lo stipendio dei lavoratori si è assottigliato, scendendo a una media inferiore ai 93 mila dollari, con una flessione del 6,04 per cento. E il ceo pay ratio? Quello è passato da 181 a 262, ovvero Bourla percepisce 262 volte ciò che incassa mediamente un suo dipendente. Certo, bisogna premiare chi fa buoni risultati e quelli del ceo Pfizer sono ottimi, forse però anche a scapito di chi lavora al suo fianco. Il motto del gruppo è: «Traduciamo la scienza in vita». Sì, una traduzione oltre che in vita anche in soldi. Soprattutto per il suo amministratore delegato.
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