2024-06-03
«Meloni tiranna? Non rispondo a comando»
Elly Schlein glissa sulle offese al premier di Nicolas Schmit, candidato Pse. E ammicca ai giovani anti Nato e pro intifada.La segretaria del Pd non risponde a Giorgia Meloni che le chiede di dire se condivide il giudizio di Nicolas Schmit (non è democratica), in tv glissa dicendo: «Non sono un jukebox e non replico alla Meloni, sia piuttosto lei a rispondere ai bisogni degli italiani». Ma intanto fa le prove come prima donna presidente delle Repubblica. In concorrenza con Sergio Mattarella - che pure del Pd è stato deputato, ma quello era il partito di Walter Veltroni - Elly Schlein si è organizzata al Testaccio - quartierino creativo radical chic della Capitale - un suo 2 Giugno in forma quasi di apertivo. I big del partito hanno preferito voltarle le spalle - i deputati dem solitamente molto coraggiosi si defilano e dicono di non aver ricevuto alcun avviso sulle chat - e sono andati alla parata della festa della Repubblica a rendere il giusto omaggio all’inquilino del Colle e alla bandiera. All’elvetico-americana che forse per questo sente meno il richiamo del tricolore qualcuno glielo aveva suggerito, che organizzare una manifestazione in piazza proprio il 2 Giugno era una sgrammaticatura istituzionale, ma lei calcandosi in testa l’elmetto della resistente aveva annunciato: «Il 2 Giugno faremo una grande manifestazione a difesa dell’Italia e dell’Europa, contro il premierato e l’autonomia. Faremo muro con i nostri corpi». Sabato a Milano aveva provato a riagitare la piazza contro Giorgia Meloni, sostenendo che «sta cancellando la libertà delle persone», chiedendo il riconoscimento della Palestina e intonando il ritornello: «Noi siamo orgogliosi della nostra identità antifascista, Meloni non può dire la stessa cosa». Finale a effetto che le è stato suggerito dal candidato del Pse alla presidenza della Commissione europea, Nicolas Schmit, che l’ha toccata piano: «I conservatori sono una forza non democratica e li guida una non democratica Giorgia Meloni». A stretto giro, sempre sabato, dal palco a Roma, il premier ha ribattuto: «Chiedo a Schlein se condivide queste parole e non scappi anche stavolta. Elly, è una domanda semplice: condividi sì o no che io non sia una leader democratica? Se non sono un leader democratico, cosa sono? Sono un dittatore? E se sono un dittatore, cosa si fa? La lotta armata per depormi?». Questa domanda l’ha rigirata Monica Maggioni alla leader dem a In mezz’ora, su Rai 3, dove Elly ha commentato: «La presidente del Consiglio inventerebbe qualunque scusa ogni giorno per distogliere l’attenzione degli italiani dalla questione sociale e salariale e dai tagli alla sanità pubblica. Ma io non sono un jukebox che parla a comando. È lei che deve dare risposte, e non a me ma a quegli italiani che devono tirare fuori 500 euro di tasca propria perché non riescono a prenotare una visita nella sanità pubblica». Ma è solo il primo carpiato con avvitamento, perché anche su Marco Tarquinio, candidato dal Pd alle europee che vuole lo scioglimento della Nato, ha fatto la supercazzola: «La politica estera la fa il Pd: c’è un’autorevole candidatura indipendente, quella di Tarquinio, che ringrazio, in una lista che è plurale, io non mi fido dei partiti dove non vola una mosca». Sarà. Mentre partecipava però a un webinar su Instagram, è spuntata la protesta degli universitari che hanno trasformato le tende contro il caro affitti in protesta contro le nostre università, che collaborano con la Nato e con gli atenei israeliani. E lei ha annuito senza profferir parola. Difficile capire cosa il Pd pensi veramente. Schlein, al Testaccio, pur tra pochi intimi, ha solo spiegato: «In Ue mai accordi con destre nazionaliste. È molto grave l’apertura ambigua di Ursula von der Leyen a raccogliere voti della destra nazionalista, noi ci teniamo a vincere con il Pse, ma mai con Meloni o con Salvini-Le Pen». E sulla guerra? «Vogliamo una politica estera e di difesa comune perché crediamo in un’Europa federale. Altra cosa da una corsa al riarmo. Ma qui difendiamo la Costituzione e il presidente della Repubblica minacciati dal premierato». Sono tornati i bei tempi di Veltroni nel Pd: il «maanchismo», la tattica per perdere.