2020-10-30
Schiaffo al premier dal capo dei senatori pd
Andrea Marucci (Getty images)
Il capogruppo dem a Palazzo Madama Andrea Marcucci (vicino a Matteo Renzi) chiede la verifica di maggioranza e il rimpasto. Nicola Zingaretti smentisce, però, mentre si torna a evocare Mario Draghi, la sostituzione di Giuseppi non è più tabù. Tanto che lui, pur di stare a galla, vorrebbe aprire a Fi«Lei, presidente Conte, deve valutare se i singoli ministri sono adeguati alle emergenze che stiamo vivendo e sempre a lei chiedo la verifica, visto quello che si legge, della tenuta della maggioranza. Apra la verifica, abbiamo bisogno di una maggioranza coesa». Quando il capogruppo al Senato del Pd, Andrea Marcucci, ieri in Aula, nella solenne circostanza della replica all'intervento di Giuseppi Conte, ha pronunciato questa frase, aprendo di fatto la crisi di governo, il cronista ha chiesto a un autorevole esponente del governo stesso cosa stia succedendo. La risposta, «Ah, boh?» dice tutto, o meglio dice quello che tutti sappiamo ormai da mesi: la maggioranza giallorossa è talmente allo sbando che ciascuno si alza la mattina e fa e dice quello che vuole. Marcucci non è l'ultimo deputato che passa lì per caso: è il capo dei senatori del Pd. Eppure, è stato smentito pochi minuti dopo, dal segretario del Pd: «Il sostegno del Partito democratico a questo governo e ai suoi ministri», ha affermato il segretario dem, Nicola Zingaretti, «è pieno e totale. Non in discussione. Posizione ribadita, tra l'altro, all'unanimità alcune ore fa dalla direzione nazionale sul voto della mia relazione». Se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, Zingaretti: esclude il rimpasto a meno che nel governo non ci entri lui, magari come ministro dell'Interno, visto che sa che la sua leadership nel partito è ormai considerata agli sgoccioli. «Non ho chiesto», ha precisato ore dopo Marcucci, «nessun rimpasto. Ho chiesto al presidente del Consiglio di assumersi la responsabilità dell'azione di governo, inclusa quella dei singoli ministri, e di aprire una fase di coinvolgimento parlamentare più profondo. Che includa anche le opposizioni». Cosa è successo? Come spiegano alla Verità fonti autorevolissime del governo, a Marcucci non solo «è scappata la frizione», ma la sua «sparata» mette a repentaglio il percorso che si era deciso per giungere al rimpasto. Percorso che prevedeva la sostituzione dei ministri meno performanti subito dopo la conclusione degli Stati generali del M5s, prevista per il 14 e 15 novembre, e comunque se la pandemia darà un attimo di respiro. In questo senso, viene a cadere anche il sospetto che quella di Marcucci sia stata una presa di posizione concordata con Matteo Renzi, al quale il presidente dei senatori del Pd è vicinissimo. «Quello che vuole con più forza il rimpasto», spiega la fonte di governo, «è Renzi, ma uscite come quella di Marcucci complicano il percorso che si era concordato. Alla fine, Marcucci ha fatto un favore a Conte e ai ministri attuali, anche senza volerlo: ne spara una al giorno, vuole fare il fenomeno». Il rimpasto, quindi, è programmato per il mese prossimo: sulla graticola, oltre al ministro dei Trasporti, Paola De Micheli, c'è anche il ministro dell'Istruzione, Lucia Azzolina, che ormai sembra una specie di Alice nel paese delle meraviglie. La Azzolina ieri ha attaccato pesantemente il presidente della Puglia, Michele Emiliano, che ha deciso la chiusura delle scuole, come aveva già fatto Vincenzo De Luca in Campania. «Si riaprano al più presto le scuole, evitando conseguenze gravi, presenti e future, per gli studenti e per le famiglie», ha scritto su Facebook la Azzolina. «ll dpcm», ha replicato durissimo su Twitter il vicesegretario dem, Andrea Orlando, «prevede che le regioni debbano assumere ulteriori misure necessarie, rispetto a quelle già previste, a contenere la pandemia con conseguenti responsabilità. I ministri che criticano l'esercizio di questi poteri evidentemente non hanno letto il dpcm o non lo condividono». Il capodelegazione dem, il ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, ha condiviso il tweet di Orlando. Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, da qualche giorno non è più convinto che l'azione di Conte vada nella giusta direzione. Come se non ci fosse abbastanza confusione, nel pomeriggio è arrivata ai media una indiscrezione attribuita a «fonti di maggioranza»: «Siamo a un bivio: tra qualche settimana o si un fa un rimpasto per un Conte tre o la strada è quella di un governo Draghi». Dai piani alti del M5s questa prospettiva viene smentita alla Verità, e in molti sospettano che sia stato proprio Conte a farla veicolare, visto che Mario Draghi, almeno fino ad ora, non ha mai dato la disponibilità a assumere il ruolo di premier. Conte dunque ha in mente un allargamento della maggioranza, con l'ingresso di Forza Italia, pur di restare a galla: il partito di Silvio Berlusconi è a brandelli, e sono decine i parlamentari pronti a sostenere il governo. Contro Conte si muovono anche pezzi di establishment: «Senza il valore della cultura non c'è ricostruzione possibile, non c'è ritorno alla normalità, non c'è futuro», ha attaccato ieri il presidente emerito di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli. «Senza immediate chiusure in tutte le zone più a rischio, serviranno a breve almeno quattro settimane di lockdown nazionale», ha avvertito la Fondazione Gimbe. Lockdown, l'incubo di Giuseppi: se il governo sarà costretto a chiudere tutto, la responsabilità di due settimane perse a limare dpcm inutili sarà sua. Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, intanto, segue con preoccupazione l'evolversi della situazione: il Colle teme il dilagare dei contagi e le proteste. I presidenti di Regione, da parte loro, accusano il premier di voler accentrare le decisioni, ma poi di scaricare sui governatori la responsabilità di decidere eventuali restrizioni. Conte è ormai solo, in balia degli eventi: la sua sostituzione, anche in corsa, non è più un tabù.