Scacco ai parenti di Soumahoro. «Atti criminali a gestione familiare»

Marie Therese Mukamatsindo e i suoi due figli Michel Rakundo e Liliane Murekatete (moglie del deputato Aboubakar Soumahoro, che non è indagato): una girandola di associazioni e coop satelliti a Karibu con le quali fare affari sull’accoglienza. I profili dei tre vengono descritti in modo sprezzante dal giudice: «Seppur allo stato formalmente incensurati, hanno mostrato elevata spregiudicatezza criminale nell’attuare» quello che definisce un «programma delinquenziale» che si sarebbe «protratto nel tempo». I magistrati, che hanno fatto i conti in tasca agli indagati partendo dal 2015, hanno chiesto e ottenuto dal gip un sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente della somma che ritengono sia state evasa: ovvero 639.455 euro per Marie Therese e 13.368 euro per i due fratelli Liliane e Michel.
Il provvedimento è stato eseguito ieri dalla polizia giudiziaria, che dal gip ha avuto l’ordine di intervenire sui rapporti finanziari o su titoli di credito e fondi della Karibu. E se questi dovessero essere risultati insufficienti, di bloccare anche i conti corrente e gli altri beni mobili o immobili di proprietà degli indagati. «La pregnante esigenza di intervenire subito», spiega il gip, sarebbe dettata «dagli atti del fascicolo», dai quali emergerebbero «numerosi indici distrattivi»: bonifici non giustificati verso l’estero per il tramite della Jambo (come aveva scoperto La Verità), sostanziale incapienza della Karibu, mancato utilizzo delle risorse pubbliche per le finalità assistenziali preposte.
«Indubbiamente», valuta la toga, «Marie Therese Mukamitsindo ha svolto e svolge un ruolo centrale nella dinamica delittuosa». Ma «anche i figli Michel Rakundo e Liliane Murekatete», sottolinea, «hanno offerto consapevole e attiva partecipazione al meccanismo fraudolento prospettato». D’altra parte, Rakundo ricopre ruoli societari sia nella Karibu che nel Consorzio Aid, mentre Murekatete è nel Cda di Karibu, insieme al fratello e alla madre. E siccome tutti e tre, secondo il gip, godevano di «posizione paritaria» negli organi amministrativi, con «piena investitura di poteri» nella gestione, «può affermarsi la gravità indiziaria con riferimento a tutti gli indagati attinti da misura cautelare».
Anche per la Procura si tratta di un «modus operandi consolidato», ma anche «particolarmente redditizio». Per gli indagati. Mentre per l’erario, secondo i pm, sarebbe «foriero di ingenti danni». E più in generale «per lo Stato», scrivono i pm, «viste le considerevoli somme di denaro pubblico ricevute nel corso degli anni e, peraltro, in parte destinate a scopi diversi da quelli per cui erano state erogate». Parole che sembrano introdurre un nuovo snodo investigativo, che non riguarderebbe solo gli aspetti finanziari. I magistrati, infatti, fanno riferimento alla «scarsa qualità dei servizi erogati ai migranti». Ed elencano: «Sovrannumero degli ospiti, alloggi fatiscenti con arredamento inadeguato rispetto alle presenze, mobili rotti e malmessi, condizioni igieniche carenti, riscaldamenti ridotti nelle ore notturne o assenti, derattizzazione e deblattizzazione assenti, corsi di lingua italiana scarsi o insufficienti». Il che, per la coop che veniva propagandata come il fiore all’occhiello da una certa sinistra buonista e per i premi ricevuti da Marie Therese (uno dei quali consegnato da Laura Boldrini), «rende le condotte per cui si procede», stando alle considerazioni dei magistrati, «estremamente gravi».
Ed eccole, le condotte: gli indagati «non avrebbero esitato a costituire cooperative e associazioni per emettere e utilizzare fatture allo scopo di ridurre i costi della manodopera mediante meccanismi di interposizione fittizia, di evadere il fisco e di veicolare parte delle ingenti somme ricevute per la cura e per l’accoglienza dei migranti anche verso l’estero e per finalità estranee rispetto a quelle per cui il denaro è stato erogato da enti pubblici». Un bel giro quello creato da Marie Therese e dalla sua famiglia. Che ora, per la Procura, «è un illecito meccanismo fraudolento a gestione familiare».
«È inquietante la commistione tra quello che è emerso come gestione amministrativa e l’atteggiamento pedagogico che alcuni volevano avere candidando un testimonial dell’accoglienza di un certo mondo che si muove per invocare la fratellanza mondiale a partire dalle proprie origini. Questo l’ho trovato un po’ deprimente a prescindere dal rilievo penale», ha commentato ieri il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Soumahoro, invece, rimarca la sua «totale estraneità ai fatti». Ma confida anche che sua moglie Liliane «dimostrerà la sua innocenza».
Mentre il legale del deputato ivoriano, l’avvocato Maddalena Del Re precisa che «molti media titolano, con ingiustificata disinvoltura, “Caso Soumahoro”, accostando l’immagine del deputato al testo, a voler indurre nel lettore un inesistente coinvolgimento diretto di Soumahoro nelle indagini, con grave danno alla reputazione del proprio assistito».
Anche per Liliane parla il suo difensore, l’avvocato Lorenzo Borrè: «Siamo certi che a breve, anzi a brevissimo, verrà fatta chiarezza e dimostrata la totale innocenza della mia assistita». E annuncia ricorso al Tribunale del Riesame.





