2019-02-26
Sberla ad Alemanno su Mafia Capitale: 6 anni per corruzione. Lui: «Sono innocente»
Inchiesta Mondo di mezzo: la pena inflitta dal giudice a Gianni Alemanno è stata addirittura più pesante della richiesta della pubblica accusa.C'è il «mondo di sopra»: la politica. Poi il «mondo di sotto», popolato da criminali. E, in mezzo, un cosmo di ammiccamenti e connivenze, occhi chiusi e una mano lava l'altra, sostanziosi bonifici e lucrosi appalti. Questa zona grigia, che da anni delineano i magistrati romani mutandone confini e connotati, ieri ha portato alla condanna di Gianni Alemanno, sindaco della capitale dal 2008 al 2013. I giudici della seconda sezione del tribunale capitolino hanno sentenziato: sei anni di carcere per corruzione e finanziamento illecito, interdizione perpetua dai pubblici uffici e confisca di quasi 300.000 euro. Pena di inaspettata durezza. Il pm Luca Tescaroli, da qualche mese procuratore aggiunto a Firenze, aveva chiesto 5 anni di reclusione, compendiando: «È stato l'uomo politico di riferimento dell'organizzazione Mafia Capitale». I giudici però, in questo stralcio processuale, hanno deciso una pena ancor più dura: nel novero dell'esemplarità. Un altro politico che finisce nella polvere. Pochi giorni fa Roberto Formigoni, ex presidente della Lombardia, era stato condannato dalla Cassazione a 5 anni e dieci mesi per corruzione nell'inchiesta sui fondi neri della fondazione Maugeri e dell'ospedale San Raffaele di Milano. Il Celeste, adesso, è in carcere a Bollate.Ieri, invece, è terminato il primo atto del feuilletton giudiziario che ha avviluppato per anni l'Urbe. A settembre 2018, la Corte d'appello di Roma aveva già condannato una quarantina di persone. Per 17 imputati è riconosciuta l'aggravante mafiosa. La cupola è un'idra a più teste: frequenta i palazzi, si infiltra nello Stato, finanzia campagne elettorali. Il romanzo criminale della città eterna. Il capo è Massimo Carminati, ex terrorista di estrema destra dei Nar, in rapporti la banda della Magliana. Lo chiamano «il pirata». Oppure il «cecato». I giudici lo condannano a 14 anni e sei mesi. Va peggio all'altro pezzo da novanta: 18 anni e 4 mesi. È Salvatore Buzzi, tessera Pd, ex re delle cooperative rosse. Perché il vero business è la gestione dei centri d'accoglienza per immigrati e dei campi nomadi. Insomma, il filone è l'accoglienza a delinquere. Quello che, negli ultimi tempi, ha portato raffiche di inchieste e arresti: dietro la solidarietà, le indagini hanno svelato un sistema di malaffare che coinvolge politica, cooperative e ras locali. «Tu c'hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno...» spiegava Buzzi al telefono, in un'intercettazione che sembra uscita da una serie criminale di Netflix.Adesso i giudici romani hanno definito, con le colpe politiche, il contesto. Dimagrito e imbiancato, Alemanno ha atteso in aula la sua sorte. Dopo aver ascoltato il verdetto, ha soffiato nei microfoni delle agenzie: «I giudici sono voluti andare oltre la procura. Una sentenza sbagliata. Ricorreremo sicuramente in appello, dopo aver letto le motivazioni. Io sono innocente: l'ho detto sempre e lo ribadirò davanti ai giudici di secondo grado». I suoi avvocati, Pietro Pomanti e Franco Coppi, avevano chiesto l'assoluzione. Adesso rintuzzano: «Non è credibile che il sindaco di una delle più grandi città europee si sia reso responsabile di una corruzione di 40.000 euro. Quanto ai finanziamenti, non c'è stata nessuna irregolarità, né tantomeno dolo». Per la Corte d'appello, però, il conquibus sarebbe più sostanzioso. Corroborando la tesi della Procura, Alemanno avrebbe avuto, attraverso la sua fondazione Nuova Italia, 223.500 euro da Buzzi, d'accordo con Carminati: «L'ex sindaco ha ricevuto dalle società dei corruttori 198.000 euro» dettaglia il pm. «Altri 25.000 sono stati bonificati al suo mandatario elettorale per la campagna delle amministrative del 2013». Un do ut des, per i magistrati. Perché le cooperative di Buzzi, nel mentre, avrebbero visto lievitare i propri affari: «Il fatturato», ha spiegato il pm, «aumentò considerevolmente: dai 26 milioni nel 2010 ai 46 milioni del 2012». Tescaroli affonda: Alemanno era «al vertice del meccanismo corruttivo: ha esercitato poteri e funzioni illecitamente e ha curato la raccolta di indebite utilità, prevalentemente tramite fiduciari». «Teorema accusatorio esasperato e contraddittorio» sostiene l'ex sindaco. Che, nel suo disegno corruttivo, sarebbe stato aiutato da un vecchio fedelissimo: Franco Panzironi, ex amministratore delegato dell'Ama, scassatissima e sempre munifica azienda romana dei rifiuti. Anche il manager, riconosciuto parte dell'associazione mafiosa, lo scorso settembre è stato condannato in appello a otto anni e quattro mesi, nel filone principale del processo.Le pressioni e le prebende di Carminati sono servite, per i magistrati, a far nominare ai vertici della mucipalizzata dirigenti amici. In modo da pilotare l'appalto per la raccolta dei rifiuti organici e far sbloccare i crediti che Buzzi vantava con l'amministrazione, la stessa Ama e l'altra partecipata Eur spa. «Attraverso la vendita della funzione di sindaco di Alemanno, e con l'ausilio del fidato Panzironi» ha spiegato ancora in aula il pm «Mafia Capitale è riuscita ad ottenere il controllo del territorio istituzionale di Ama».«È la teoria del mondo di mezzo compà» filosofeggiava Carminati in un'intercettazione. «Ci stanno, come si dice, i vivi sopra e i morti sotto, e noi stiamo nel mezzo. E allora vuol dire che ci sta un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano. Com'è possibile, che ne so, che un domani io posso stare a cena con un politico...». L'iperbole di un criminale fatto e finito. Alemanno promette battaglia in appello, invocando innocenza.La fine del romanzo criminale deve ancora essere scritta.
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