2023-08-15
Gli ipocriti «difensori» della Murgia la stanno tradendo
Roberto Saviano durante il funerale di Michela Murgia (Ansa)
La scrittrice sarda amava provocazioni e querelle politiche. Risponderle a tono non è una mancanza di rispetto, come Roberto Saviano e altri vorrebbero far credere. Si può piangere la sua morte senza per questo smettere di combatterne le idee, che non condividiamo. Roberto Saviano rivendica il diritto di chiamare bastarda Giorgia Meloni e di definire ministro della malavita Matteo Salvini. Ma se qualcuno si azzarda a criticarlo, e lo considera in cerca di visibilità perfino al funerale di Michela Murgia, apriti cielo. In difesa dello scrittore affetto da carenza di scritti (l’unico libro degno di nota è Gomorra, ma più per l’eco suscitata in tv che per la qualità dell’opera), si scatena il soccorso rosso, con articoli sulla stampa e lettere dei famigliari dell’autrice scomparsa. Roberto è eletto martire all’unanimità da una congrega di compagni che da una settimana beatifica Michela Murgia non per i suoi libri, ma per la sua morte. La fine di Michela Murgia è stata trasformata in evento politico e non lo dico con disprezzo e neppure con astio: ognuno può fare di un funerale ciò che vuole, se desidera anche un comizio. Probabilmente la stessa scrittrice sarda ne sarebbe stata lieta e non escludo che in qualche modo abbia ispirato o aspirato a un addio come quello a cui abbiamo assistito. Ma se si mette in scena una rappresentazione che sferzi l’opinione pubblica per scatenare un dibattito, poi i compagni che hanno allestito la tragedia non possono sottrarsi alle reazioni o lamentarsi se qualcuno obietta o manifesta perplessità. Non è mancanza di rispetto verso la defunta. E nemmeno si tratta di rifiutare l’onore delle armi. Come molti polemisti, Michela Murgia ha fatto della sua vita, personale e professionale, una provocazione, scegliendo di non tacere pur di ottenere attenzione su ciò in cui lei credeva. Spesso si è buttata nella mischia delle opinioni senza lesinare i graffi e, come è naturale quando ci si azzuffa, seppur metaforicamente, oltre a darne di botte ne ha ricevute. E a proposito di baruffe, ricordo che lo scorso anno, con la complicità del direttore della Stampa, Massimo Giannini, la vigilia di Natale pubblicò un articolo in cui attaccava i cattolici, accusandoli di amare un Dio bambino perché in fondo erano un po’ fessi. L’intervento suscitò la reazione di molti lettori e tra questi ricordo quella di Riccardo Ruggeri, nostro amatissimo collaboratore, il quale in un tweet comunicò all’editore del giornale sabaudo che dopo quarant’anni avrebbe smesso di comprare il quotidiano, trovando tra l’altro molti seguaci.Michela Murgia insomma, non aveva timore delle opinioni forti. E del resto di lei in questi anni si è parlato più per le provocazioni che per i suoi libri. Dunque, non si capisce di che si lagnino i suoi compagni quando accusano i «lupi di destra» di perdere il pelo, ma non il vizio. La loro eroina ha lottato fino alla fine, contro la malattia, ma soprattutto contro coloro i quali riteneva nemici della democrazia, non sottraendosi mai al confronto e allo scontro. E allora, che cosa vorrebbero ora questi presunti eredi della battaglia politica più che letteraria di Michela? Che in nome della malattia che l’ha portata via si tacesse la differenza di idee? Si può piangere una persona, ma non rimpiangere ciò in cui credeva. Si può aver rispetto per chi non c’è più, ma non condividere nulla o quasi di ciò che quella persona ha sostenuto quando era in vita. E tutto ciò non mancandole di riguardo, ma anzi, onorandola per quel che effettivamente era e non per quel che i suoi compagni vorrebbero farci credere che fosse. La morte non è un salvacondotto per le idee di chi è scomparso. E nemmeno rappresenta una riabilitazione delle opinioni. Il fatto che Michela Murgia sia morta non nobilita le sue campagne a favore dell’immigrazione, del movimento Lgbt e dell’eutanasia. Né legittima le sue posizioni contro una parte politica che lei continuava a definire fascista e antidemocratica benché fosse stata democraticamente scelta dagli italiani. Pur avendo umana misericordia per la sua scomparsa e pur essendo rimasto personalmente colpito dall’intervista in cui rivelò la malattia che la stava portando alla morte (ho accompagnato fino alla fine parenti e amici e so che cosa vuol dire avere i giorni contati), rivendico il diritto - e credo anche il dovere - di non essere ipocrita. Le lacrime non lavano via le differenze. Dunque, dopo aver pianto la morte della Murgia continuerò a dire che di ciò che ha rappresentato non condivido quasi niente. Così come non condivido quasi nulla di ciò che dice Roberto Saviano, il quale, se vuole essere davvero l’erede della scrittrice scomparsa, la smetta di frignare e di farsi difendere da amici e parenti. Le cause in tribunale e gli attacchi sui giornali mi inseguono da trent’anni, ma questo non mi ha mai impedito di dire ciò che penso e non saranno certo un’orazione funebre e tante orazioni sulla stampa degli orfani di Michela a farmi tacere.
Jose Mourinho (Getty Images)