2018-11-03
Sant’Egidio mette i bastoni tra le ruote ai nostri diplomatici impegnati in Libia
Alla vigilia della conferenza di Palermo, il movimento di ispirazione cattolica opera come quinta colonna francese. La comunità internazionale punta sulla conferenza di Palermo per dare stabilità al Paese nordafricano. Tuttavia, il governo italiano, organizzatore dell'evento del 12 e 13 novembre, deve guardarsi non solo dalle offensive dell'esecutivo di Emmanuel Macron ma anche dal fuoco amico. In particolare, quello della Comunità di Sant'Egidio. Il movimento di ispirazione cattolica fondato da Andrea Riccardi, che fu ministro per la Cooperazione internazionale e l'integrazione durante il governo di Mario Monti, è intervenuto nel Sud della Libia con una conferenza, il 22 e 23 ottobre, che ha riunito rappresentanti delle istituzioni locali e dei consigli di varie tribù tra cui tuareg, tebu e arabi. Si legge sul sito della Comunità di Sant'Egidio che è stata rivolta nell'occasione «una richiesta alla Comunità di Sant'Egidio perché ne sostenga gli sforzi di sviluppo e riconciliazione». Un'iniziativa «anticipata» sul Fatto Quotidiano il 21 ottobre da Mario Giro, membro di Sant'Egidio e viceministro degli Esteri nei governi Renzi e Gentiloni. Nel suo intervento Giro scrive che «servono molte pressioni sui libici perché cambino mentalità», «senza tale impegno diplomatico la situazione di crisi potrebbe diventare permanente, come in Somalia» e, ancora, che vanno coinvolte non soltanto le autorità di Tripoli e Bengasi, ma anche, tra le altre, quelle di Misurata e le tribù del Fezzan.Tuttavia, la mossa della Comunità di Sant'Egidio ha infastidito la Farnesina, raccontano alla Verità fonti della diplomazia italiana. Perché in questo momento di tensioni tra Italia e Francia, il nostro governo preferirebbe non doversi mettere al riparo dal fuoco amico, soprattutto se proveniente da una zona, il Sud della Libia, su cui il governo Conte sta intensificando i suoi sforzi dato l'alto tasso di frammentazione. Ma non è tutto. Perché sono noti i buoni rapporti tra la Comunità di Sant'Egidio e Macron che, raccontano fonti diplomatiche, da tempo conta sul movimento di Riccardi proprio per gestire il Fezzan. Di Fezzan si parlò per esempio il 26 giugno, quando il presidente francese incontrò a Palazzo Farnese, a Roma, una delegazione di Sant'Egidio. Pochi giorni prima, esattamente il 18 giugno, il capo delle relazioni internazionali della Comunità, Mauro Garofalo, fece visita al ministero degli Esteri di Parigi e pure all'Eliseo.Riccardi uscì dall'incontro romano entusiasta, definendo Macron, che aveva incontrato anche papa Francesco, «un uomo molto attento alle ragioni del dialogo». Ma il presidente francese all'epoca cercava di generare un corto circuito nella diplomazia italiana. In quei giorni infatti stava per partire la missione militare italiana a Ghat, nel Fezzan, per rafforzare i presidi di frontiera. A capo della missione il direttore del Dipartimento centrale dell'Immigrazione, Massimo Bontempi. Gli esperti erano incaricati di controllare le zone del traffico di esseri umani, guidate da tribù non in contrasto con il governo tripolino di Fayez Al Serraj ma assai distanti dal generale della Cirenaica, Khalifa Haftar, l'uomo che può contare sul sostegno di Russia, Stati Uniti, Egitto ed Emirati arabi ma ultimamente sempre più lontano da Parigi. Il governo di Tripoli però non ha affatto gradito l'iniziativa della Comunità di Sant'Egidio con le tribù del Fezzan. Diversi media libici, tra cui l'agenzia di stampa nazionale Lana, hanno diffuso un comunicato in cui la Commissione della società civile del governo tripolino condanna «l'organizzazione italiana Sant'Egidio per aver tenuto degli incontri e riunioni in terra libica senza chiedere il permesso alle autorità ufficiali dello Stato libico». La Commissione, ribadendo il sostegno alla conferenza di Palermo organizzata dal governo italiano, si è detta preoccupata per «le attività di Sant'Egidio in Libia con alcune componenti libiche che si svolgono senza alcun permesso legale che le consenta» e ha condannato ciò che viene definito «una violazione delle leggi libiche e internazionali da parte di Sant'Egidio». Infine, ha annuncia il proprio sostegno «a quanto emerso in un comunicato del Comune di Ghat, nel quale si ammoniva qualsiasi personalità straniera dal prendere contatti a livello locale senza passare per il governo di accordo nazionale». Il governo italiano può contare sulla presenza a Palermo il 12 e il 13 novembre prossimo di Fayez Al Serraj, presidente del governo riconosciuto a livello internazionale con sede a Tripoli, e di Khalifa Haftar, generale in ascesa alla guida dell'Esercizio nazionale libico che controlla la Cirenaica da Bengasi. Diverso è invece il discorso che riguarda la tormentata fascia Sud della Libia, in particolare il Fezzan. La capitale di quest'area è Sebha, dove sono tornate da alcune settimane a farsi sentire le milizie che puntano ai profitti di questa area politicamente fragile ma ricca di petrolio e acqua. Un territorio fondamentale per l'Italia. Basti pensare a quanto dichiarato alcuni giorni fa alla Stampa da Ali Al Saidi, deputato del parlamento di Tobruk vicino al generale Haftar: «Gli interlocutori energetici di Eni sono Bengasi e Sebha, Tripoli è solo una stazione di servizio».A innervosire ancora di più la Farnesina è il fatto che la mossa della Comunità di Sant'Egidio sia arrivata una settimana prima di quella di Parigi. Giovedì, dopo che il giorno primo il ministro degli Esteri italiano Enzo Moavero Milanesi aveva incontrato i leader libici a Roma, il suo omologo francese, Jean-Yves Le Drian, ha invitato nella capitale per l'8 novembre, a quattro giorni dall'apertura dei tavoli di Palermo, esponenti di spicco di Misurata, la città che grazie alle sue milizie è una potenza militare dello scenario libico. E ora, con la cancelliera Angela Merkel che ha immediatamente accettato l'invito italiano a Palermo per frenare l'iniziativa francese e le grandi potenze al fianco dell'Italia e del generale Haftar, Macron prova a mettere i bastoni fra le ruote puntando su Misurata e sul Fezzan, oltre che sul cortocircuito nella diplomazia italiana.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)