2021-05-11
La santa alleanza Pd-M5s è già (giallo)rotta
Enrico Letta va a rimorchio di un Movimento in liquefazione e, pur di non provocare la crisi in Regione, sacrifica Nicola Zingaretti a Roma, piegandosi alla discesa in campo di Roberto Gualtieri, meno indigesto a Virginia Raggi. Ma intanto, l'intesa col partito di Giuseppe Conte naufraga a Milano e Torino.In piena coerenza con il nuovo corso di genere alla Nazarena, due signore hanno scelto il candidato sindaco del Pd a Roma. Però Enrico Letta non è contento perché sono Roberta Lombardi e Valentina Corrado, assessore del Movimento 5 stelle in Regione Lazio. Domenica sera hanno deciso di superare lo stallo con un'entrata a piedi uniti che fa sembrare il partito alleato un partito succube: «È innegabile il forte imbarazzo che una candidatura di Nicola Zingaretti per le comunali porterebbe alla neonata alleanza regionale. La volontà di tutti è quella di non far naufragare l'intesa ancora in costruzione anche nel resto del Paese».Il documento è planato sulla scrivania del segretario come un brutto foulard, condito da un'allegra minaccia delle ladies: «Ci auguriamo che queste scelte non contemplino soluzioni che avrebbero ripercussioni sulla tenuta dell'attuale maggioranza regionale». Davanti alla prospettiva: o Zingaretti resta dov'è oppure facciamo cadere la giunta, Letta ha frenato di colpo e si è piantato sui sanpietrini. Stava pregustando la passerella trionfale del governatore ai Fori Imperiali e invece ha dovuto telefonargli per pregarlo di fare retromarcia: «Scusa, ci siamo sbagliati. La mediazione di Giuseppe Conte è fallita». Zinga, che poche ore prima aveva detto sì alla candidatura blindata dopo la notte dell'Innominato, si è ritrovato con il cerino acceso. E lo ha spento.Questo non è solo il riassunto di 24 ore di delirio politico, con i vertici dem a ballare a comando sulla musica grillina, ma è lo specchio dell'inconsistenza strategica del partito di riferimento della sinistra, formidabile nel lanciare vuote battaglie di principio (ius soli, ddl Zan, voto ai sedicenni) e sdraiato come un leone da scendiletto davanti ai capricci del movimento in implosione progressiva. L'ultimo totem è Virginia Raggi, che invano Conte ha tentato di convincere a farsi da parte e che da mesi è in campagna elettorale solitaria: fotografa dieci metri di marciapiedi asfaltati, prova a riempire tre buche, prega perché da qui a ottobre non brucino troppi autobus. Non molla ma non avrebbe psicologicamente resistito a un pezzo da novanta come Zingaretti.Il tenero Letta ha abbozzato e con la passività che lo contraddistingue dalla sua stagione da premier (nel 2014 galleggiò sulla palude secondo il motto andreottiano «meglio tirare a campare che tirare le cuoia») ha scelto Roberto Gualtieri. Lo stesso che due mesi fa non gli andava bene, anzi il nodo attorno a quale ci fu la prima baruffa fra il Nazareno e il potente apparato romano guidato da Goffredo Bettini. Il dalemiano Gualtieri, disastroso ministro dell'Economia del governo Conte bis, si era autocandidato sindaco mentre Letta tornava da Parigi, nel tentativo di fargli trovare il pranzo apparecchiato. Ma il segretario aveva congelato tutto, irritato per lo scavalcamento e certo di trovare un cavallo migliore per la capitale. Niente da fare, i grillini hanno scelto per lui con la fattiva collaborazione di Conte, imbattibile nel ruolo di Penelope: mentre rassicurava Letta sull'operazione di «rimozione forzata» della Raggi, confermava ai 5 stelle che la candidata migliore sarebbe stata lei. Oggi il segretario è costretto a sfoderare un sorriso che somiglia a una paresi facciale. L'endorsement su Twitter è un braccio muscoloso a favore di Gualtieri («Daje» alla José Mourinho), ma l'entusiasmo è da verdura lessa. «Non mi straccio le vesti. Zingaretti sarebbe stato un ottimo candidato a Roma ma sta facendo un'altra cosa e la sta facendo bene. Gualtieri aveva fatto capire di essere interessato al Campidoglio, mettiamo in campo il ministro che aveva lanciato la prima versione del Recovery. La scelta passerà comunque dalle primarie». Dove, è bene dirlo, non saranno i numerosi nani rossi a disturbare l'incoronazione di mister Bella ciao versione blues.Così l'alleanza organica Pd-Movimento 5 stelle fallisce prima di nascere, e non solo a Roma. A Milano Giuseppe Sala tiene alla larga i grillini sapendo che al Nord hanno un solo ruolo, quello dello sfollagente (fanno scappare gli elettori); a Torino le distanze sono enormi. «A Roma e a Torino, quando io non c'ero» puntualizza Letta su Radio 1, «il Pd perse malamente nel 2016 e hanno governato Raggi e Appendino con il nostro partito all'opposizione». Sarà difficile far digerire sui territori le contorsioni e i ribaltoni alla base del groviglio giallorosso che ancora entusiasma gli orfani di Conte. La commedia da salone Margherita fa divertire anche Carlo Calenda, che non rinuncia alla frecciata: «Fine della pantomima, questo è il suicidio del Pd». Oltre la perdita di credibilità c'è il rischio di una batosta elettorale: se Raggi dovesse andare al ballottaggio, sarebbe difficile per Letta convincere i dem a votarla dopo cinque anni di critiche feroci. Il pasticcio è autentica manna per un centrodestra in grado di esprimere un candidato di valore. Anche qui, facile solo a parole.