2023-06-11
Salvini vuol stanare il Ppe: «Basta ammucchiate in Ue. O con noi o coi socialisti»
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
Il leader leghista fiuta aria di euroinciucio con i Conservatori europei in maggioranza e la Von der Leyen ancora in sella: una riedizione delle larghe intese in salsa continentale. La presidente della Commissione Ue oggi è in Tunisia con la Meloni.Matteo Salvini fiuta aria di euroinciucio e passa al contrattacco: il viaggio in Tunisia di oggi di Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen e Mark Rutte è l’ennesima puntata di questo lungo fotoromanzo che vede protagoniste la presidente della Commissione europea, in cerca di riconferma, e la presidente del Consiglio italiana. La prospettiva, dopo le elezioni europee del 2024, di una «maggioranza Giorgia» a Bruxelles, composta da Partito popolare europeo e Conservatori europei (il gruppo del quale fa parte Fratelli d’Italia), è concreta ma subordinata a un successo delle due forze politiche talmente ampio da spedire all’opposizione i Socialisti, mentre il gruppo Identità e democrazia, del quale fa parte la Lega, insieme tra gli altri al Rassemblement National di Marine Le Pen, viene considerato troppo estremista per essere coinvolto nella prossima Commissione, tanto è vero che le pressioni sul Carroccio affinchè cambi bandiera europea sono sempre più forti.Salvini però non ha nessuna intenzione di rinnegare le battaglie condotte contro «l’Europa dei burocrati», e teme che alla fine dei conti il prossimo governo europeo possa essere sostenuto ancora da Ppe e Socialisti, magari pure dai macroniani di Renew Europe, con i Conservatori europei in maggioranza e la von der Leyen di nuovo in sella. Una riedizione delle larghe intese in salsa continentale che il vicepremier leghista inizia già a contrastare: «Vorremmo essere determinanti», attacca Salvini, «spostando finalmente il governo dell’Europa sul centrodestra. I Popolari dovranno scegliere se continuare a governare con i socialisti e con le sinistre, come hanno fatto in tutti questi anni, o governare con noi, con i conservatori e con tutti i movimenti di centrodestra che stanno vincendo le elezioni in tutta Europa». Salvini parla al Ppe e soprattutto a quell’Antonio Tajani che appena tre giorni fa gli ha sbattuto le porte europee in faccia, seduto accanto all’onnipresente leader del Ppe, Manfred Weber: «La possibile alleanza», ha detto Tajani, «può essere fatta tra conservatori, liberali e popolari. Non è possibile fare alleanze con Identità e democrazia». Una conventio ad excludendum motivata con la «impresentabilità» dei lepenisti e degli estremisti di destra tedeschi di Afd, che ha fatto infuriare, comprensibilmente, Salvini e la maggioranza dei leghisti, contrari ad abbandonare gli alleati a Bruxelles per entrare, da ospiti più o meno desiderati, nei salotti buoni di Ecr o Ppe. È bene chiarire subito un punto: la guerra in Ucraina è in questo momento l’unica cosa che sta a cuore a Washington, Londra e Bruxelles, e se l’anno prossimo il conflitto sarà ancora in corso, condizionerà tutta la campagna elettorale e la formazione di maggioranza e Commissione. Finchè Roma eseguirà le direttive che arrivano dagli Stati Uniti e dall’Eurosalotto buono di Bruxelles, il governo di centrodestra non avrà problemi dall’esterno, meglio ancora se poi, come accaduto sul cosiddetto accordo sulle migrazioni, la Meloni allargherà le distanze dai suoi alleati storici, a partire dal leader ungherese Viktor Orbán e dal polacco Mateusz Morawiecki. Mentre la Meloni dovrà affrontare una campagna elettorale assai diversa dal solito, all’insegna del «volemose bene» con gli (assai ex) acerrimi avversari dell’«Europa dei burocrati», Salvini potrà, restando saldamente nel gruppo Id, rivendicare coerenza e continuare sulla sua linea di aspra critica alla gestione della Unione europea, il cui simbolo è Ursula von der Leyen, che oggi, come dicevamo, sarà a Tunisi insieme alla nostra presidente del Consiglio per incontrare, cinque giorni la sua precedente visita, il presidente Kaïs Saïed. La missione ha l’obiettivo di riavvicinare Saïed e il Fondo monetario internazionale, il cui finanziamento da 1,9 miliardi di dollari è bloccato e subordinato a una serie di riforme che la Tunisia non ha intenzione di farsi imporre. L’interesse della Meloni è stabilizzare la Tunisia, evitare un crac drammatico che avrebbe ripercussioni gravissime sui flussi migratori, e anzi convincere Saïed a collaborare nel contrasto ai clandestini. L’Ue è già disposta a sborsare qualche centinaio di milioni. Con la Meloni e la von der Leyen ci sarà anche il premier olandese Mark Rutte, componente anziano del Consiglio europeo e alleato d’acciaio di Berlino, che già tempo fa si era detto favorevole a una missione europea in Tunisia. Proprio ieri, l’agenzia Fitch ha abbassato il rating sovrano della Tunisia da Ccc+ a Ccc- , a causa dei ritardi nelle trattative per ottenere un nuovo prestito dal Fondo monetario internazionale (Fmi). Il declassamento del rating del debito a lungo termine del Paese nordafricano, spiega Fitch, «riflette l’incertezza che circonda la capacità della Tunisia di raccogliere fondi sufficienti per soddisfare le sue sostanziali esigenze finanziarie. Il nostro scenario principale», ha aggiunto l’agenzia, «è un accordo tra la Tunisia e il Fmi entro la fine dell’anno, ma è molto più tardi di quanto ci aspettassimo in precedenza e i rischi rimangono alti». Sempre ieri, la direttrice generale dell’Osservatorio nazionale per le migrazioni (Onm), Ahlem Hammami, secondo quanto riportato dall’agenzia Tap, ha sottolineato «la volontà della Tunisia di proteggere i diritti dei migranti e di onorare i suoi impegni».
Maria Rita Parsi (Imagoeconomica)
La sede di Bankitalia. Nel riquadro, Claudio Borghi (Imagoeconomica)