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2018-11-01
Grazie a Renzi e alle Millemiglia Alitalia è finita la luna di miele con gli Emirati Arabi
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ANSA
Un astro nascente e una stella cadente illuminano in questi giorni il cielo della Penisola arabica. La visita del vicepremier Matteo Salvini rende pubblico il legame privilegiato che le istituzioni del nostro Paese stanno tessendo da qualche tempo, segretamente, con Doha. Benché il leader leghista abbia spesso attaccato questo regime per terrorismo in passato, adesso ne è conquistato. Per contro c'è, nella stessa area, un fronte diplomatico ricco di incertezze per l'Italia. E' quello con gli Emirati Arabi Uniti, una pietra preziosa durante i governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, ora diventata un pezzo di carbone. I rapporti tra Roma e Abu Dhabi non sono mai stati così difficili, tanto che sul caso Alitalia gli emiri, dopo aver rilevato nel 2015 il 49% della compagnia di bandiera, si sono già rivolti ai tribunali. Per di più sempre sulla nostra compagnia di bandiera pende un'inchiesta della procura di Civitavecchia, con la Guardia di finanza che da quasi tre mesi sta scandagliando carte e faldoni sull'A340, l'Air Force Renzi, come sul reale controllo che la compagnia aerea emiratina ha avuto sulla nostra in questi anni.
Ma c'è di più. La scorsa settimana è intervenuta una pesante battuta d'arresto nel tentativo di salvataggio, messo affannosamente a punto dal governo Gentiloni durante le sue ultime settimane al potere, di Piaggio Aerospace, azienda strategica della Difesa, produttrice del drone P.1HH e controllata interamente dal fondo sovrano Mubadala. In una riunione riservata, il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, ha lasciato intendere ai sindacati della società ligure che il governo non darà seguito al decreto Pinotti che prevedeva 766 milioni di euro di finanziamento per la produzione di un drone armato di nuova generazione, il P.2HH. Eppure questi soldi, di cui si era fatto garante anche il futuro capo di Stato maggiore della Difesa Enzo Vecciarelli (che sostituirà il prossimo 6 novembre Claudio Graziano), sarebbero stati essenziali per salvare i circa 1.200 lavoratori dell'azienda, che in questi giorni sono scesi in piazza a Genova e Villanova D'Albenga per chiedere risposte all'esecutivo. In assenza di un finanziamento del governo italiano, Mubadala, che non è nuova a questi ricatti, non intende più iniettare capitali freschi in Piaggio e ha messo sul tappeto l'ipotesi della liquidazione, ovvero il fallimento con la svendita degli asset più importanti: Leonardo sta alla finestra.
Si salvi chi può verrebbe da dire. Non è finita qui. La vicenda dell'Air Force Renzi sta diventando un motivo di tensione non da poco. L'aereo che il governo gialloblu di Giuseppe Conte ha deciso di non utilizzare più rescindendo il contratto di leasing è fermo in un hangar di Fiumicino. Non interessa più a nessuno, neppure a Etihad. Ma c'era un contratto che prevedeva pagamenti alla compagnia di bandiera emiratina fino al 2025. Si parla di una possibile causa di risarcimento da 20 milioni di euro che potrebbe andare ad aggiungersi al processo già avviato a Milano sulla vicenda Millemiglia. La vicenda risale al 2015, quando Etihad airways acquisì per 112,5 milioni di euro una partecipazione del 75% di Alitalia loyalty spa, la società che detiene e gestisce il programma di fidelizzazione "MilleMiglia". In questo modo gli emiri presero in mano i programmi frequent flyer di sette compagnie aeree in tutto il mondo attraverso la società Global loyalty company (Glc). «Alitalia Loyalty entrerà a far parte di Global Loyalty Company (Glc), la società specializzata in programmi di fidelizzazione e lifestyle, attraverso la quale Etihad Airways e i suoi partner agiscono più efficacemente nel mercato globale dei programmi fedeltà, sviluppando importanti sinergie tecnologiche e amministrative». Etihad si accaparrò i database di tutti i clienti. Ma secondo Abu Dhabi la nostra compagnia di bandiera avrebbe cercato di crearne uno alternativo, mettendo così a repentaglio l'accordo. Da qui la causa, che secondo il Sole24 Ore potrebbe risolversi in una costosa (per l'Italia) transazione.
Quello che più preoccupa però è sempre il fronte Piaggio Aerospace. Da lunedì i sindacati sono scesi, tardivamente, sul piede di guerra. L'incontro delle parti con il presidente della regione Liguria, Giovanni Toti, previsto per martedì 30 ottobre, è stato rinviato. E il Partito Democratico, che ha traghettato tutte le trattative in questi anni ed è per molte ragioni corresponsabile della drammatica situazione di Piaggio, ora fa la voce grossa, utilizzandola contro i giallo-verdi. «La situazione di Piaggio Aerospace sta precipitando. Il Governo e la maggioranza giallo-verde continuano a non decidere e il rischio è, che nel giro di qualche giorno – non settimane o mesi - 1.200 persone perdano il lavoro. O la Commissione difesa del Senato emette il proprio parere in tempo zero sugli investimenti per il drone oppure l'azienda non c'è' più, chiude», ha spiegato Giovanni Lunardon, capogruppo Pd in Regione Liguria. Forse ci si poteva pensare prima quando al governo c'era il ministro Roberta Pinotti, molto vicina agli emiri di Abu Dhabi e al management precedente della società di Villanova d'Albenga. E forse poteva pensarci pure Vecciarelli, che da numero uno dell'Aeronautica non solo si era speso a favore l'azienda ma era addirittura, insieme con il dirigente di Mubadala Homaid al Shimmari, co-presidente del comitato di sorveglianza dei suoi programmi militari e quindi, in teoria, ben al corrente di tutti i loro problemi. Ora da capo di Stato maggiore della Difesa in pectore non spreca neppure una parola per salvarla. La patata bollente resta sul tavolo di Luigi Di Maio, che da un lato non può permettersi di concedere ben 766 milioni di euro per un drone armato destinato agli Emirati che, per inciso, esiste solo sulla carta e negli Emirati non si potrebbe neppure esportare, stando ai trattati internazionali. E dall'altro avrebbe difficoltà a giustificare una crisi sociale di vaste dimensioni in una regione già troppo impoverita come la Liguria, dove le aziende storiche spariscono l'una dopo l'altra a vista d'occhio.
Dulcis in fundo. A Dubai la prossima settimana si decidono le sorti di Christian Michel, intermediario della presunta tangente indiana sulla maxi commessa da 560 milioni di euro di AgustaWestland. L'India ne ha chiesto l'estradizione perché vuole andare fino in fondo. E c'è già chi dice che Michel potrebbe raccontare molto su quell'affare che in Italia ha portato a un processo che poi ha assolto l'ex amministratore delegato e presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi. Proprio durante la sua visita a New Dehli il premier Giuseppe Conte ne avrebbe parlato con il premier Narendra Modi. Insomma, i fili di alta tensione tra Emirati Arabi e Italia rischiano di fondere.
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Il ministro dell'Interno va in visita a Doha, ma le tensioni sono con Abu Dhabi. Etihad è in causa in Italia per il database della carta fedeltà e aspetta ancora i soldi per l'Air force dell'ex premier: rischiamo di pagare 20 milioni di penale. Piaggio Aerospasce controllata dal fondo emiratino Mubadala è di nuovo sull'orlo del fallimento: 1500 posti di lavoro sono in pericolo.Un astro nascente e una stella cadente illuminano in questi giorni il cielo della Penisola arabica. La visita del vicepremier Matteo Salvini rende pubblico il legame privilegiato che le istituzioni del nostro Paese stanno tessendo da qualche tempo, segretamente, con Doha. Benché il leader leghista abbia spesso attaccato questo regime per terrorismo in passato, adesso ne è conquistato. Per contro c'è, nella stessa area, un fronte diplomatico ricco di incertezze per l'Italia. E' quello con gli Emirati Arabi Uniti, una pietra preziosa durante i governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, ora diventata un pezzo di carbone. I rapporti tra Roma e Abu Dhabi non sono mai stati così difficili, tanto che sul caso Alitalia gli emiri, dopo aver rilevato nel 2015 il 49% della compagnia di bandiera, si sono già rivolti ai tribunali. Per di più sempre sulla nostra compagnia di bandiera pende un'inchiesta della procura di Civitavecchia, con la Guardia di finanza che da quasi tre mesi sta scandagliando carte e faldoni sull'A340, l'Air Force Renzi, come sul reale controllo che la compagnia aerea emiratina ha avuto sulla nostra in questi anni.Ma c'è di più. La scorsa settimana è intervenuta una pesante battuta d'arresto nel tentativo di salvataggio, messo affannosamente a punto dal governo Gentiloni durante le sue ultime settimane al potere, di Piaggio Aerospace, azienda strategica della Difesa, produttrice del drone P.1HH e controllata interamente dal fondo sovrano Mubadala. In una riunione riservata, il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, ha lasciato intendere ai sindacati della società ligure che il governo non darà seguito al decreto Pinotti che prevedeva 766 milioni di euro di finanziamento per la produzione di un drone armato di nuova generazione, il P.2HH. Eppure questi soldi, di cui si era fatto garante anche il futuro capo di Stato maggiore della Difesa Enzo Vecciarelli (che sostituirà il prossimo 6 novembre Claudio Graziano), sarebbero stati essenziali per salvare i circa 1.200 lavoratori dell'azienda, che in questi giorni sono scesi in piazza a Genova e Villanova D'Albenga per chiedere risposte all'esecutivo. In assenza di un finanziamento del governo italiano, Mubadala, che non è nuova a questi ricatti, non intende più iniettare capitali freschi in Piaggio e ha messo sul tappeto l'ipotesi della liquidazione, ovvero il fallimento con la svendita degli asset più importanti: Leonardo sta alla finestra.Si salvi chi può verrebbe da dire. Non è finita qui. La vicenda dell'Air Force Renzi sta diventando un motivo di tensione non da poco. L'aereo che il governo gialloblu di Giuseppe Conte ha deciso di non utilizzare più rescindendo il contratto di leasing è fermo in un hangar di Fiumicino. Non interessa più a nessuno, neppure a Etihad. Ma c'era un contratto che prevedeva pagamenti alla compagnia di bandiera emiratina fino al 2025. Si parla di una possibile causa di risarcimento da 20 milioni di euro che potrebbe andare ad aggiungersi al processo già avviato a Milano sulla vicenda Millemiglia. La vicenda risale al 2015, quando Etihad airways acquisì per 112,5 milioni di euro una partecipazione del 75% di Alitalia loyalty spa, la società che detiene e gestisce il programma di fidelizzazione "MilleMiglia". In questo modo gli emiri presero in mano i programmi frequent flyer di sette compagnie aeree in tutto il mondo attraverso la società Global loyalty company (Glc). «Alitalia Loyalty entrerà a far parte di Global Loyalty Company (Glc), la società specializzata in programmi di fidelizzazione e lifestyle, attraverso la quale Etihad Airways e i suoi partner agiscono più efficacemente nel mercato globale dei programmi fedeltà, sviluppando importanti sinergie tecnologiche e amministrative». Etihad si accaparrò i database di tutti i clienti. Ma secondo Abu Dhabi la nostra compagnia di bandiera avrebbe cercato di crearne uno alternativo, mettendo così a repentaglio l'accordo. Da qui la causa, che secondo il Sole24 Ore potrebbe risolversi in una costosa (per l'Italia) transazione.Quello che più preoccupa però è sempre il fronte Piaggio Aerospace. Da lunedì i sindacati sono scesi, tardivamente, sul piede di guerra. L'incontro delle parti con il presidente della regione Liguria, Giovanni Toti, previsto per martedì 30 ottobre, è stato rinviato. E il Partito Democratico, che ha traghettato tutte le trattative in questi anni ed è per molte ragioni corresponsabile della drammatica situazione di Piaggio, ora fa la voce grossa, utilizzandola contro i giallo-verdi. «La situazione di Piaggio Aerospace sta precipitando. Il Governo e la maggioranza giallo-verde continuano a non decidere e il rischio è, che nel giro di qualche giorno – non settimane o mesi - 1.200 persone perdano il lavoro. O la Commissione difesa del Senato emette il proprio parere in tempo zero sugli investimenti per il drone oppure l'azienda non c'è' più, chiude», ha spiegato Giovanni Lunardon, capogruppo Pd in Regione Liguria. Forse ci si poteva pensare prima quando al governo c'era il ministro Roberta Pinotti, molto vicina agli emiri di Abu Dhabi e al management precedente della società di Villanova d'Albenga. E forse poteva pensarci pure Vecciarelli, che da numero uno dell'Aeronautica non solo si era speso a favore l'azienda ma era addirittura, insieme con il dirigente di Mubadala Homaid al Shimmari, co-presidente del comitato di sorveglianza dei suoi programmi militari e quindi, in teoria, ben al corrente di tutti i loro problemi. Ora da capo di Stato maggiore della Difesa in pectore non spreca neppure una parola per salvarla. La patata bollente resta sul tavolo di Luigi Di Maio, che da un lato non può permettersi di concedere ben 766 milioni di euro per un drone armato destinato agli Emirati che, per inciso, esiste solo sulla carta e negli Emirati non si potrebbe neppure esportare, stando ai trattati internazionali. E dall'altro avrebbe difficoltà a giustificare una crisi sociale di vaste dimensioni in una regione già troppo impoverita come la Liguria, dove le aziende storiche spariscono l'una dopo l'altra a vista d'occhio.Dulcis in fundo. A Dubai la prossima settimana si decidono le sorti di Christian Michel, intermediario della presunta tangente indiana sulla maxi commessa da 560 milioni di euro di AgustaWestland. L'India ne ha chiesto l'estradizione perché vuole andare fino in fondo. E c'è già chi dice che Michel potrebbe raccontare molto su quell'affare che in Italia ha portato a un processo che poi ha assolto l'ex amministratore delegato e presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi. Proprio durante la sua visita a New Dehli il premier Giuseppe Conte ne avrebbe parlato con il premier Narendra Modi. Insomma, i fili di alta tensione tra Emirati Arabi e Italia rischiano di fondere.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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