2019-06-18
Salvini sacrifica la Cina sull’altare di Trump
Il vicepremier in visita negli Stati Uniti cerca il sostegno della Casa Bianca contro l'Ue: «Ci serve la flat tax. Con il presidente condividiamo idee sulla Libia e sulla prepotenza di Pechino». Sul tavolo anche la fine della collaborazione con l'Iran e il sì agli F35.Così il leghista ha spiazzato Enzo Moavero Milanesi. Il ministro degli Esteri parla di pace con Teheran mentre il lumbard lo scavalca.Lo speciale comprende due articoli. Non è un premier, non è un ministro degli Esteri, ma ieri Matteo Salvini con la sua visita lampo a Washington li ha imbrigliati entrambi. Il leader leghista ha fatto una fuga in avanti, impegnando il Paese in temi molto delicati di politica estera. Ha condiviso con Mike Pence, vice presidente degli Usa, e Mike Pompeo, segretario di Stato, tre pilastri che spostano l'asse dell'Italia al di là dell'Atlantico. I tre hanno anche discusso del ruolo che l'Italia dovrà avere con gli Usa all'interno del perimetro europeo. Un chiaro messaggio di sostegno in vista della trattativa sulla manovra e sulla procedura d'infrazione. Salvini ha detto chiaramente che il nostro Paese è il miglior alleato possibile di Donald Trump e subito dopo averlo specificato ha voluto ricordare che il governo gialloblù andrà avanti con il taglio delle tasse e il ricorso al deficit. «Servirà una flat tax alla Trump», ha detto. Insomma, una richiesta di avere alle spalle la cavalleria a stelle e strisce. Avremo un autunno bollente e non subire un downgrade dalle agenzie di rating e al tempo stesso sperare in qualche acquisto in più da parte di Wall Street sarà importante nell'ottica della Lega. Finché però non diventeremo il cinquantunesimo Stato americano, il sostegno di Trump ha un prezzo. Non a caso ieri Salvini ha confermato l'investimento nel programma Jsf, il caccia di quinta generazione prodotto da Lockheed Martin. «Gli F 35 non si toccano», ha detto smentendo una volta per tutte le fisime grilline di stampo pacifista. Ha poi voluto rassicurare Wasghinton che sull'Iran faremo una svolta definitiva rispetto al precedente governo e che sulla Cina dovremo adottare filtri aggiuntivi. «Con l'amministrazione Usa abbiamo una visione comune su Iran, Libia, Medioriente, diritto di Israele a esistere, Venezuela, e verso la prepotenza cinese verso l'Europa e l'Africa. In questo quadro, mentre altri Paesi europei hanno scelto una strada diversa, l'Italia è il più solido e coerente alleato degli Usa», ha esternato Salvini ai giornalisti nella residenza dell'ambasciatore italiano Armando Varricchio, dopo l'incontro con il segretario di Stato, Pompeo. Sulla Via della seta, ha precisato, «business is business ma fino a un certo punto: quando c'è di mezzo la sicurezza nazionale ci si deve fermare. Anche perché la sicurezza delle telecomunicazioni vale più di ogni convenienza economica». Quanto al Venezuela, «per me da tempo si sarebbe dovuto riconoscere Juan Guaidó» al posto «del criminale dittatore Nicolás Maduro. Infine, sulla Libia: «Siamo convinti che ci voglia una soluzione in cui non ci siano un vincitore è uno sconfitto. Al tavolo devono starci tutti, e l'intervento di Haftar non è stato risolutivo, come pensava la Francia».Il messaggio sulla Libia non viene diffuso casualmente. Ieri nelle ore in cui Salvini era in visita oltre oceano, a Tripoli il nostro ambasciatore, Giuseppe Buccino, incontrava il ministro dell'interno del governo di Fayez Al Sarraj per avviare un dialogo e definire un ruolo italiano all'interno della road map delle forze della Tripolitania. 1Conferenza nazionale libica in coordinamento con l'Onu. 2Elezioni presidenziali e parlamentari simultanee prima della fine del 2019.3Istituzione di un alto organo per la riconciliazione. Sono i diktat del governo d'Accordo nazionale che, subito dopo, ha escluso comunque ogni «dialogo» con il suo rivale, il generale Khalifa Haftar, che lo scorso 4 aprile ha lanciato un'offensiva sulla capitale Tripoli. «Da quel che ha fatto Haftar negli anni passati», ha detto Al Sarraj, emerge che non sarà un partner nel processo politico. Da notare che ieri il ministro degli esteri, Enzo Moavero Milanesi, era in Lussemburgo a incontrare i colleghi e l'unico commento rilasciato sul tema libico è stato: «Speriamo nella saggezza della gente». Come dire, vedremo e che Allah la mandi buona. In ogni caso una affermazione, quella di Moavero, che cozza in pieno con la frase conclusiva della conferenza stampa americana. Salvini ha tenuto a specificare che non c'è un vincitore e un vinto e il riferimento era al ruolo di Haftar. Ciò significa che l'ex nazione di Muhammar Gheddafi sarà il primo banco di prova della politica estera salviniana. La conferenza Onu richiesta da Al Sarraj è alle porte e se l'Italia sta con gli Usa dovrà lasciarsi alle spalle le relazioni con il Qatar che in Libia si traducono in rapporto stretto, anzi strettissimo con Misurata. Passi infatti il ruolo di Al Sarraj, ma quello dei Fratelli musulmani, dopo le dichiarazioni di Salvini di ieri, andrà fatto emergere. L'organizzazione di origine egiziana è per Trump nella lista dei terroristi. Insomma, tertium non datur. Che però ci siano problemi di allineamento anche su altri dossier lo si evince tranquillamente dalle dichiarazione del premier. «Non c'è nessuna discrepanza nella nostra politica estera, che è chiara e lineare anche nei rapporti con la Cina», ha detto ieri Giuseppe Conte proprio mentre partecipava a Milano alla presentazione del rapporto annuale della Fondazione Italia Cina. A chi gli chiedeva se non vi fosse «discrepanza» tra il fatto che il vicepremier fosse negli Stati Uniti, mentre il premier è a un evento incentrato sulla Cina, Conte ha spiegato: «Quando abbiamo sottoscritto il memorandum ho chiarito in modo puntuale e diretto con il presidente Usa che non c'è nessun equivoco. La nostra fedeltà euro atlantica è confermata ai massimi livelli». Il punto però non è più quello che pensano Conte o Moavero, ma che cosa Salvini spingerà a fare per tenere fede alle promesse siglate ieri a Washington. La Lega sa di aver bisogno di Trump e Trump vuole mettere in crisi l'Ue. Un fidanzamento perfetto. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/salvini-sacrifica-la-cina-sullaltare-di-trump-2638895182.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cosi-il-leghista-ha-spiazzato-enzo-moavero" data-post-id="2638895182" data-published-at="1758064087" data-use-pagination="False"> Così il leghista ha spiazzato Enzo Moavero «Tra Iran e Usa c'è uno spazio per la pace», ha detto dal Lussemburgo il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, in entrata ai lavori del Consiglio Affari esteri Ue. Commentando l'acuirsi della crisi tra Teheran e Washington a seguito degli attacchi contro due petroliere avvenuti lo scorso 13 giugno nel Mare dell'Oman, il ministro ha aggiunto: «Speriamo davvero che la guerra non sia vicina, noi speriamo che ci sia uno spazio per portare pace e stabilità in una regione cruciale per tutto il mondo. Quindi riteniamo che ci sia uno spazio per la pace e la stabilità». Non poteva essere più sfortunato il capo della diplomazia italiana, mentre lanciava messaggi di pace, Teheran alzava i toni. «L'Iran non rispetterà più il limite sulle scorte di uranio arricchito fissato dall'accordo internazionale sul nucleare iraniano, in bilico dal ritiro deciso lo scorso anno dagli Stati Uniti», ha diffuso così una nota il portavoce dell'Organizzazione iraniana per l'energia atomica. «Abbiamo già aumentato la produzione di uranio a Natanz. Da oggi inizia il conto alla rovescia e, entro il 27 giugno, la nostra produzione di uranio supererà i 300 chilogrammi», ha detto Behrouz Kamalvandi. Una sberla forte agli americani e pure alla diplomazia europea che su questo tema è sempre stata piegata passivamente alle decisioni di Barack Obama. Federica Mogherini ha condotto supinamente negli ultimi anni l'Europa verso gli ayatollah e Moavero alla fine viene da un background non troppo lontano da quello dei socialisti europei. Almeno in riferimento al perimetro delle diplomazie internazionali. Così la richiesta di trovare un punto di incontro dimostra che Moavero non vuole allontanarsi da questo percorso. Peccato perché il mondo è cambiato e alla Casa Bianca c'è Trump. Ma soprattutto la dichiarazione pacifista cozza pure con quella di Salvini a Washington. Se - come sostiene il leghista - l'Italia pure sull'Iran sta con Trump significa che da domani bisogna cambiare del tutto registro. E farlo in dieci giorni. Esattamente il lasso di tempo dell'ultimatum iraniano. Quando Teheran violerà gli accordi, seppur farlocchi, sul nucleare ci sarà il rischio di dover sostenere interventi militari. Gli Usa e i loro alleati regionali insistono nell'accusare gli ayatollah per l'attacco alle petroliere all'imbocco dello stretto di Hormuz, strategico per il commercio del petrolio. Secondo i media americani, l'amministrazione Usa sta ponderando anche l'invio di ulteriori truppe in Medio Oriente, oltre ai 1.500 militari già annunciati. E dopo la Gran Bretagna, che dice di valutare «tutte le opzioni» verso la Repubblica islamica, sulla linea di Trump ora ci siamo anche noi. «Richiamiamo alla massima moderazione e ad allentare la situazione nell'interesse di tutti. Siamo molto preoccupati che ci possano essere rischi di errore di calcolo o una escalation non intenzionale in una regione che è già al limite delle sue possibilità», ha concluso la Mogherini al termine del Consiglio. Una forbice di vedute che rischia di schiacciare proprio Moavero. O si schiera con la Mogherini o con Salvini. Oppure ammette di essere stato superato in velocità dal vicepremier e va a sua volta a cercare uno scontro che potrebbe essere risolto dal presidente Sergio Mattarella, che a quel punto potrebbe far promuovere il ministro a commissario Ue. Comunque la si guardi la Farnesina non è stata mai così sguarnita come in queste ore e il suo rappresentante non è mai apparso così trasparente come ieri. Domani i due potrebbero incrociarsi in cdm e Giuseppe Conte potrebbe essere chiamato in causa.