2019-05-24
Contro Salvini pure il cadavere di Falcone
Il sindaco avvezzo a offese e insinuazioni nei confronti del magistrato non partecipa alla commemorazione. La sorella di Giovanni Falcone: «Le polemiche sono un favore ai boss».Finalmente l'ha capito. Se Giovanni Falcone, dal Pantheon degli eroi italiani nel quale giustamente riposa, ieri avesse gettato lo sguardo sulla cerimonia organizzata a Palermo nel giorno della strage di Capaci (23 maggio 1992), avrebbe sorriso sotto i baffi. Il motivo è elementare: mancava Leoluca Orlando. Il politico che per anni si è impossessato abusivamente della memoria di quel magistrato simbolo, s'è posto un quesito da Nanni Moretti («Mi si nota di più se vengo o se non vengo?») e ha deciso di non farsi vedere nell'aula bunker dell'Ucciardone. Lo ha fatto per non incrociare lo sguardo del ministro dell'Interno Matteo Salvini, considerato dal sindaco del Pd un usurpatore al Viminale. Ha declinato l'invito con un opinabile squillo di tromba dei suoi: «Mi ero augurato che qualsiasi presenza istituzionale non si trasformasse in occasione per comizi pre elettorali. Ho appreso che purtroppo non sarà così, col previsto intervento di chi solo tre giorni fa ha attaccato i magistrati siciliani. Il dovere del rispetto della memoria di chi si è battuto a costo della vita mi impone di non essere presente nell'aula bunker purtroppo trasformata in piazza per comizi». Così il comizio lo ha fatto lui. Non sapendo cosa avrebbe detto Salvini, la motivazione sembra un'arrampicata dolomitica. Orlando era in buona compagnia, la cerimonia è stata disertata anche dal governatore Nello Musumeci (eletto peraltro con i voti di Salvini), dal bersaniano errante Claudio Fava (presidente dell'Antimafia siciliana), da quelle associazioni di sinistra che amano i distinguo a prescindere e le contromanifestazioni a perdere. Tutto ciò anche davanti alla memoria condivisa di un Paese mai stanco di lottare contro la mafia. A tutti loro Maria Falcone, la sorella di Giovanni, ha dedicato una frase saggia e definitiva: «Le polemiche creano problemi all'antimafia e sono un favore ai boss».Poiché mai come in questo caso gli assenti hanno torto, l'attentato in cui morirono Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, è stato in ogni caso ricordato ai massimi livelli dal capo dello Stato, Sergio Mattarella («La Repubblica si inchina nel ricordo delle vittime e si stringe ai familiari»), dal presidente della Camera, Roberto Fico («Serve un piano Marshall per sconfiggere la mafia»), dal premier Giuseppe Conte, dal ministro dell'Istruzione Marco Bussetti («Falcone e Borsellino erano due supereroi senza superpoteri») e da Salvini. Per questi ultimi due, un'occasione anche per incontrare Rosa Maria Dell'Aria, la professoressa punita dal provveditore per un video sulle leggi razziali girato dai suoi allievi. «Il provvedimento sarà rivisto, la professoressa tornerà subito in classe e con lo stipendio», ha assicurato Salvini che - anche per non dare soddisfazione al sindaco - si è tenuto lontano dai temi della campagna elettorale. «Chi ha ucciso Falcone e Borsellino ha provocato tanto dolore, ma ha anche svegliato il popolo italiano. Dopo quella bomba nulla è più stato come prima», ha sottolineato il vicepremier della Lega. «Prego per gli agenti della scorta che hanno nomi meno ricordati ma che hanno scelto un mestiere difficile. Ormai la mafia l'abbiamo sotto casa». Poi la stoccata ai convitati di pietra: «Oggi è la giornata dell'unità nazionale contro le mafie. Sono incomprensibili le polemiche e le assenze di certa sinistra, che non sono un'offesa a me ma alla memoria di Giovanni Falcone e di tutte le eroiche vittime della mafia».Nessun problema perché a offese e insinuazioni nei confronti di Falcone il tribuno Orlando è avvezzo da tempi lontani. Da quando veniva inserito da Leonardo Sciascia nel club dei professionisti dell'antimafia; da quando nella plumbea Palermo del processo a Giulio Andreotti imperava il suo motto benedetto dai gesuiti padre Sorge e Pintacuda: «Il sospetto è l'anticamera della verità». Basta entrare su Youtube per conoscere quali sospetti l'Orlando assente gettava addosso a Falcone da vivo. Prima a Samarcanda, con Michele Santoro dal profilo liceale ma dai canini già affilati. «Dentro i cassetti del palazzo di giustizia ce n'è abbastanza per fare giustizia dei delitti di mafia», scandiva un fremente Orlando accusando la Procura di insabbiare certe inchieste. Poi a un Maurizio Costanzo Show imbarazzante, durante il quale il pm venne trattato come un imputato solo perché gentile. Colpito alle spalle, Falcone si difese così: «Se il sindaco di Palermo sa qualcosa faccia nomi e cognomi, citi i fatti, si assuma le responsabilità di quel che ha detto. Altrimenti taccia». Sapeva che quelle accuse infamanti erano il primo passo verso la delegittimazione. E la delegittimazione rende più deboli, più fragili davanti ai lupi. Prima di salire a Roma, chiamato dall'allora ministro della Giustizia, Claudio Martelli, Falcone avvertì il senso della sconfitta in casa sua. E se ne andò, inseguito da interviste del sindaco caterpillar dai toni feroci (per i quali 20 anni dopo si sarebbe scusato). Il magistrato dovette persino difendersi davanti al Csm da un esposto di Orlando, furibondo perché Falcone aveva riarrestato Vito Ciancimino con l'accusa di essere tornato a fare affari col Comune (dalla deposizione al Csm). Ha fatto bene Salvini, con la sua presenza, a tenere alla larga Orlando dalla cerimonia. Giovanni Falcone sentitamente ringrazia.