
Il massmediologo: «Il leader del Carroccio è un Berlusconi 2.0, ma il top fu quando il Cav firmò in tv il contratto con gli italiani. La sinistra? Fa sempre gli stessi errori da 25 anni».Stavolta il massmediologo, l'esperto di costume, il provocatore di professione, il consulente di immagine, il capo di una fiorente agenzia di comunicazione, è alle prese con la sfida della vita. Anche Klaus Davi, al secolo Sergio Klaus Mariotti, l'onnipresente opinionista tv del canton Berna, vive la sua discesa in campo. Ed è un campo minato. Quello di San Luca, paesino della Locride dove da quasi sette anni non si rinnova il consiglio comunale per infiltrazioni mafiose. «All'inizio c'era molta diffidenza, mi dicevano: “Arriva l'invasore svizzero". Adesso sono ben accetto». Dunque corre da sindaco? «Sto chiudendo la lista elettorale. È un anno che combatto. E le offro subito una notizia: con me si candiderà anche Gaetano Saffioti».L'imprenditore di Palmi che si è ribellato ai clan?«Da anni vive sotto scorta. Si è sempre rifiutato di lasciare la Calabria e di chiedere aiuto allo Stato. Ha respinto l'offerta di Luigi Di Maio e ha accettato la mia. È una notizia rivoluzionaria per San Luca. Avrò in lista anche Giuseppe Brugnano, del direttivo della Federazione sindacale di polizia. Ho scelto dei nomi di respiro nazionale».In queste settimane è stato aggredito verbalmente, e non solo. «Me ne sono capitate di tutti i colori. Insulti e attacchi di ogni genere: ma non a San Luca, là mi vogliono bene perché mi interesso di loro. A Vibo Valentia mi hanno pure messo le mani addosso. Lì per lì non ho avuto paura: solo dopo ho pensato che se fosse spuntata una pistola sarei finito».Riceve ancora minacce? «Ultimamente no, non avverto condizionamenti. Forse sono alla finestra, vogliono capire se faccio sul serio. Poi in realtà la campagna elettorale amplificherebbe qualsiasi notizia, quindi non gli conviene fare casino».I partiti l'hanno aiutata?«Poco o nulla: è una terra che danno per persa. Ringrazio però il senatore forzista Marco Siclari, il capo dell'Antimafia Nicola Morra, Emanuele Fiano e Simona Bonafè del Pd. Ecco, magari mi sarei aspettato due parole da Nicola Zingaretti. Invece…».Il primo atto da sindaco?«La rivoluzione. Trasparenza, con riunioni comunali in streaming. E voglio sbloccare i fondi per ricostruire la strada che porta al Santuario della Madonna di Polsi». Quella in cui si tengono le cerimonie d'affiliazione?«Un luogo simbolo. Voglio renderlo una meta di pellegrinaggio religioso. Prima però ci vuole una strada decente. Adesso ci si impiega due ore per arrivare».È vero che intitolerà le strade cittadine ai capitani d'industria in cambio di un aiuto alle casse comunali?«Via Ferrero, via Barilla, via Versace. Ne sto cercando uno che finanzi il rifacimento della scuola. Se lo Stato non caccia i soldi, andrò anche da George Soros e da Flavio Briatore». Per chi i tappeti rossi?«Aspetto a San Luca Chiara Ferragni. Le potrei intitolare una scuola di creatività, in cui imparare come promuovere la Calabria nel mondo. E lei sarebbe un'ottima insegnante. Tra l'altro è già scesa una volta per pubblicizzare la sua essenza al bergamotto». È ancora convinto che la malavita sia un problema del Nord?«La capitale della 'ndrangheta è Milano, senza dubbio. Si sono verificati due delitti di mafia in pochi giorni. Alla vigilia di Natale una ragazza è stata violentata da quattro balordi e filmata col telefonino. Mi sento decisamente più sicuro in Calabria che nel centro di Milano. Non dico che in Lombardia regni la connivenza, ma l'omertà sì». Perché qualche giorno fa ha deciso di fare outing sui suoi orientamenti sessuali?«Perché mi hanno fatto la domanda e ho risposto. In realtà non ha fatto scalpore la dichiarazione in sé, ma il fatto che esco con un carabiniere dell'anticrimine. Una delle tante persone con cui mi trovo a lavorare, quando sono in Calabria». Perché ha rivelato che un grande padrino della malavita è omosessuale? «Ho le prove. E sono prove che abbracciano la mia sfera personale, quindi non ne posso parlare più di tanto. Ma è una realtà che lambisce molti grandi clan. La considero una mia assicurazione sulla vita: è un modo per dire “lasciatemi in pace, perché le cose le so"». Il ministro dell'Interno è al suo fianco in questa battaglia antimafia?«Se parliamo di atti concreti, non ha fatto molto. Però è venuto a San Luca. Meglio di niente. A Reggio Calabria hanno appena sciolto l'azienda sanitaria per infiltrazioni della 'ndrangheta. Se arriva un primo segnale d'attenzione, evviva». I suoi nemici dicono che lei cerca solo visibilità. «Uno che vuole pubblicità non si caccia a San Luca: va alle feste mondane all'Hollywood». Si sente solo?«San Luca rappresenta il fallimento dello Stato, della politica, e anche della comunicazione, perché è una zona d'ombra di cui non si parla mai. I partiti potevano venire con me, li ho cercati: non l'hanno fatto. C'è voluto uno svizzero per smuovere le acque». Che ne pensa del Congresso di Verona sulla famiglia?«Penso che soprattutto quando sei minoranza, e hai combattuto per la libertà di espressione, dovresti applicarla a tutti. Il Congresso di Verona? Lasciamoglielo fare».Gli italiani sono intolleranti?«Ma quando mai. Ci sono effettivamente episodi di omofobia, ma sono legati al bullismo». Cosa voterà alle prossime elezioni? «Non ho deciso. Mi considero un liberal di centrosinistra. Ma se le priorità del Pd sono ius soli e patrimoniale, la vedo dura». Da esperto di comunicazione, cosa consiglia a Matteo Salvini?«Di moderare la ferocia. Non paghiamo i governanti solo per lanciare allarmi, ma anche per risolvere i problemi. Detto questo, Salvini è l'unico in grado di spedire selfie per due ore di fila. L'unico che è riuscito a stabilire un vero contatto con la gente. Da questo punto di vista è la filiazione di Silvio Berlusconi in versione 2.0». A Di Maio cosa rimprovera ? «Ogni tanto appare un po' freddo. Forse andando sulle copertine con le fidanzate cerca di ammorbidirsi. Ma chi lo critica è solo invidioso. Per il resto detesto la retorica dell'incompetenza: i suoi strafalcioni li accetto, mediaticamente generano identificazione. Ci sono perversioni peggiori, come quella del Pd di giudicare gli elettori».Cioè?«Se dici che nella periferia romana sono tutti razzisti, stai giudicando i cittadini cui chiedi il voto. La cosa peggiore che possa fare un politico». Nel senso che puoi dare del razzista a un gruppo di individui, ma non a un intero quartiere?«Il disagio deve essere gestito e non giudicato. La rabbia è sintomo di un problema. Se pensi di risolverlo attaccando Salvini, ricadi nell'errore commesso dal centrosinistra in 25 anni di antiberlusconismo».Che ne pensa di Berlusconi capolista in tutti i collegi?«È un miliardario con un'azienda di successo che ancora ci mette la faccia. Un atto di coraggio. Vuole evitare che il partito venga seppellito. Ma ancora mi chiedo chi glielo fa fare». Hai iniziato il tuo lavoro nel 1994. Il colpo mediatico di questi 25 anni? «Il contratto con gli italiani firmato sulla scrivania di Bruno Vespa. L'idea pubblicitaria del rapporto fiduciario tra brand e cliente trasposta in politica. È una trovata che tutti continuano a riproporre ancora oggi. Noi italiani sappiamo essere geniali». I 5 stelle precipiteranno? «Non diamoli per morti. C'è una componente della politica strutturalmente corrotta. La casta non è scomparsa, ma solo soffocata. È quella che alimenta i loro consensi». Oggi i sovranisti europei si riuniscono a pochi passi dal suo ufficio, a Milano. «Non condivido nulla di ciò che professano. Ma se non avessimo avuto i burocrati europei e l'appiattimento generale sulle istituzioni finanziarie non sarebbe nato il sovranismo. Quindi, più che attaccarlo, mi ci confronto, e vado a vedere cosa c'è dietro». Giuseppe Conte avrà un futuro autonomo nella politica italiana?«È partito pericolante; si è rivelato solido e abile. Ma non è tipo da fondare un partito personale. Poi adesso tira la politica calda: i Salvini, le Meloni». Poi arriverà il periodo freddo?«Quello in cui si opterà per la competenza: figure incisive ma pacate, come Giovanni Toti o, sull'altra sponda, Zingaretti. Si tratta solo di capire quando la rabbia lascerà il posto al raziocinio». Perché è ospite dei salotti televisivi a reti quasi unificate?«Mi diverto. Pier Paolo Pasolini definiva autoritaria la tv dei suoi tempi. Oggi è una straordinaria forma di dialettica connessa con la gente». Anche con i giovani?«L'Italia è leader in Europa per la tv generalista, quella che ha ancora la forza di eventizzare e imporre un linguaggio. E non è vero che i giovani la snobbano. È un consumo diverso, più parcellizzato, magari complicato sul versante pubblicitario. Ma c'è». Mai come adesso conta sapersi vendere?«Le vetrine ci sono sempre state. Adesso si sono semplicemente moltiplicate. Ammiro i tanto vituperati influencer: hanno successo, vendono prodotti, fanno girare l'economia». Oggi chi fa cultura in tv? «Maria De Filippi ha intrapreso una campagna formidabile contro la violenza sulle donne. Barbara D'Urso davanti a milioni di persone invita ad accettare le persone così come sono. La gente ne discute, il dibattito lievita. Se non è cultura questa…».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.