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2022-06-05
Salvini e Conte al bivio delle armi. O votano per il no oppure è un bluff
Matteo Salvini e Giuseppe Conte (Ansa)
Lega e M5s il 21 giugno dovranno scoprire le carte sul loro «no» all’invio di altre armi in Ucraina e il governo trema. In quella data, e il giorno successivo, il premier Mario Draghi illustrerà alla Camera e al Senato le sue comunicazioni prima dell’ennesimo Consiglio europeo sul conflitto in Ucraina. Trattandosi di comunicazioni e non di semplice informativa, è previsto un voto sulle risoluzioni che verranno presentate. Il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti della Lega, ammette che si tratta di «un passaggio rischioso»: «Cosa faranno Lega e M5s bisogna chiederlo a Salvini e Conte», dice Giorgetti, «ogni voto è rischioso. È il parlamento che decide e deciderà se dare la fiducia o non darla a questo governo. È una cosa troppo importante per essere banalizzata come qualsiasi altra votazione, la posizione assunta dal presidente Draghi è una posizione difficile che mira ad arrivare alla pace per una forma di durezza nei confronti di Putin e della Russia. È chiaro», sottolinea Giorgetti, «che il parlamento à sovrano». Al di là della frase sibillina sul «cosa farà la Lega dovete chiederlo a Salvini», è evidente che Giorgetti sa bene che il 21 e 22 giugno lo stesso leader della Lega e il presidente del M5s Giuseppe Conte (che a quanto ci risulta hanno riaperto un canale di comunicazione tra loro) saranno obbligati a scoprire le carte e tutta l’Italia saprà se le loro dichiarazioni contro ulteriori invii di armi in Ucraina sono concrete posizioni politiche o fuffa propagandistica. Anche ieri il leader del Carroccio è stato perentorio: «Bisogna fermare questa guerra e bisogna smetterla di inviare armi», ha detto Salvini, perché la pace adesso è urgente per salvare vite in Ucraina ma anche per salvare posti di lavoro e famiglie in Italia».
Fino ad ora, ricordiamolo, l’invio di armi in Ucraina è stato effettuato in base a un decreto varato dal governo appena due giorni dopo l’inizio della guerra, approvato successivamente da Camera e Senato: sono settimane che il M5s chiede un nuovo passaggio in parlamento, mentre Salvini invoca lo stop alle forniture di armamenti a Kiev. Ora Salvini e Conte sono al bivio: «Premesso che di armi in Ucraina non ne stiamo più inviando», dice alla Verità una fonte vicina al dossier, «sia perché gli ucraini hanno i soldi per comprarle sia perché non ne abbiamo più disponibili, se Lega e M5s mettessero nero su bianco in una risoluzione che l’Italia deve smetterla di inviare armamenti il governo andrebbe in crisi. Come possiamo sapere se tra qualche settimana o mese il conflitto non si inasprirà ancora di più? Draghi avrebbe le mani legate, senza contare il fatto che Pd, Forza Italia, Italia viva e i centristi presenterebbero una risoluzione per conto loro. Se invece ci sarà un riferimento generico», aggiunge la nostra fonte, «alla necessità di favorire la diplomazia, senza riferimenti espliciti alle armi, allora il bluff di Conte e Salvini sarà scoperto».
Fonti del M5s, su questo punto, riferiscono alla Verità che «la risoluzione la scriveranno in parlamento, ci sarà un lungo confronto con le altre forze di maggioranza e lì si vedrà quale sarà il punto di caduta. Non vogliamo creare un’occasione per mettere in difficoltà il governo», aggiungono le fonti, «vogliamo offrire un indirizzo che vada nella direzione che noi auspichiamo, la nostra posizione nota ormai a tutti». In parlamento e al governo c’è il sospetto che Conte e Salvini non siano per nulla spaventati dall’eventualità di una caduta del governo: «Lega e M5s», dice alla Verità un esponente dell’esecutivo, «sono i partiti che stanno pagando più di tutti il sostegno a Draghi in termini di consensi, stanno donando il sangue, potrebbero effettivamente aver voglia di metterci un punto».
«Ben vengano delle risoluzioni che siano il più possibile condivise», commenta il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, «perché il giorno dopo il presidente del Consiglio Mario Draghi dovrà andare al tavolo europeo, è un momento molto delicato e quindi confido nel fatto che il parlamento possa esprimere la massima compattezza». I ministri di Lega e M5s, come avviene molto spesso, hanno posizioni diverse rispetto ai leader dei rispettivi partiti: si tratta del vizio d’origine del governo Draghi, più volte evidenziato dalla Verità, che ha consentito fino ad ora al premier di agire in maniera autonoma rispetto alle indicazioni delle forze politiche che lo sostengono, e nel caso della guerra anche dalla volontà del popolo, con un’opinione pubblica sempre più critica rispetto all’invio di armi in Ucraina, come rilevato da tutti i sondaggi e dalla semplice esperienza quotidiana di ciascuno di noi.
Il rischio di una crisi è reale: «Mi auguro ardentemente», sottolinea il segretario del Pd, Enrico Letta, «che la maggioranza regga e che non ci siano motivi per cui il governo cada nelle prossime settimane. Affronteremo quel passaggio parlamentare del 21 e 22 consapevoli di questi rischi, noi siamo ovviamente disponibili in parlamento, nella maggioranza a discutere e valutare» aggiunge Letta, «ma ovviamente all’interno di un criterio generale della linearità con le scelte che abbiamo fatto sino ad oggi».
Ucraini in ritirata da Severodonetsk
Ieri pomeriggio il capo dell’amministrazione militare della regione di Lugansk, Serhiy Hayday, ha affermato che l’Ucraina avrebbe riconquistato circa metà della città di Severodonetsk, area orientale del Paese. Secondo l’alto funzionario «i russi in precedenza erano riusciti a catturare la maggior parte della città, ma ora i nostri militari li hanno respinti. Severodonetsk ora è solo un concentrato di ostilità perché l’esercito russo sta lanciando tutte le sue riserve in questa direzione. Attualmente l’esercito ucraino manca di artiglieria a lungo raggio, che potrebbe cambiare le regole del gioco».
I combattimenti per le strade di Severodonetsk continuano e «le truppe ucraine stanno ancora cercando di respingere il nemico», ha aggiunto Serhiy Hayday che ha detto di poter ribaltare l’esito della battaglia: «Stanno andando avanti passo dopo passo, distruggendo tutto con artiglieria, aerei, mortai, carri armati. Ma non appena avremo abbastanza armi occidentali a lungo raggio, spingeremo la loro artiglieria lontano dalle nostre posizioni. E poi la fanteria russa scapperà». In ogni caso i russi stanno rafforzando con unità di riservisti e mercenari il proprio contingente militare in modo da lanciare l’offensiva finale a Severodonetsk. Secondo il ministero della Difesa ucraino le forze ucraine nel frattempo avrebbero respinto attacchi contro due villaggi vicino a Sloviansk, a 60 chilometri da Severodonetsk mentre il ministero della Difesa russo all’agenzia Interfax ha dichiarato che «le forze ucraine si stanno ritirando da Severodonetsk».
A proposito delle mine disseminate lungo la costa del Mar Nero, ieri tre persone sono morte mentre camminavano sulla spiaggia di Lazurnoye nella regione di Kherson e secondo l’ufficio della procura regionale «è in corso un’indagine preliminare sulla violazione delle leggi e dei costumi di guerra, combinata con l’omicidio premeditato». Sempre ieri la Legione per la difesa dell’Ucraina ha reso noto che altri quattro combattenti stranieri sono morti in battaglia, secondo le prime indiscrezioni sarebbero un tedesco, un olandese, un australiano e un francese ma non sono stati diffusi ulteriori dettagli sulla loro identità o dove e come sarebbero deceduti mentre lo scorso 3 giugno il ministero degli Esteri francese aveva reso noto che un volontario francese che combatteva con gli ucraini era deceduto al fronte. Mentre scriviamo centinaia di persone fuggono dalla città di Sloviansk, nell’Ucraina orientale, e secondo quanto dichiarato alla Cnn dal capo dell’amministrazione militare della città, Vadym Lyakh, «il numero di persone che lasciano la città è quasi raddoppiato, sia con gli autobus di evacuazione che con mezzi propri, la gente se ne va». Attualmente sono rimaste circa 22.000 persone a Sloviansk, circa un quinto della popolazione prebellica che era di circa 110.000 residenti. Gli abitanti fuggono perché sanno che le unità russe vengono rinforzate durante l’avvicinamento a Sloviansk in preparazione dell’offensiva contro Sloviansk che pur essendo nella regione di Donetsk è una delle poche aree principali del Donbass ancora fuori della portata dei russi. Infine nel suo aggiornamento sulle perdite subite finora dai russi, l’esercito ucraino stima le perdite per l’esercito invasore in 31.050 i soldati russi rimasti uccisi in Ucraina dall’inizio della guerra. Un numero enorme che Vladimir Putin sperava di fermare con la nomina due mesi fa di Alexander Dvornikov a capo dell’«operazione militare speciale». Non ha funzionato e così Putin lo ha cacciato e sostituito con il viceministro della Difesa Gennady Zhidko.
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Il 21 e il 22 si valuteranno le comunicazioni di Mario Draghi al Parlamento. Il sospetto è che i due leader non siano affatto spaventati dall’eventualità di una caduta del governo. Anche se i loro ministri hanno posizioni diverse.Ucraini in ritirata da Severodonetsk. Il comando della regione: «I russi stanno distruggendo tutto, però li respingeremo». Morti quattro stranieri. Fuga da Sloviansk che ancora non è sotto controllo di Mosca.Lo speciale comprende due articoli. Lega e M5s il 21 giugno dovranno scoprire le carte sul loro «no» all’invio di altre armi in Ucraina e il governo trema. In quella data, e il giorno successivo, il premier Mario Draghi illustrerà alla Camera e al Senato le sue comunicazioni prima dell’ennesimo Consiglio europeo sul conflitto in Ucraina. Trattandosi di comunicazioni e non di semplice informativa, è previsto un voto sulle risoluzioni che verranno presentate. Il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti della Lega, ammette che si tratta di «un passaggio rischioso»: «Cosa faranno Lega e M5s bisogna chiederlo a Salvini e Conte», dice Giorgetti, «ogni voto è rischioso. È il parlamento che decide e deciderà se dare la fiducia o non darla a questo governo. È una cosa troppo importante per essere banalizzata come qualsiasi altra votazione, la posizione assunta dal presidente Draghi è una posizione difficile che mira ad arrivare alla pace per una forma di durezza nei confronti di Putin e della Russia. È chiaro», sottolinea Giorgetti, «che il parlamento à sovrano». Al di là della frase sibillina sul «cosa farà la Lega dovete chiederlo a Salvini», è evidente che Giorgetti sa bene che il 21 e 22 giugno lo stesso leader della Lega e il presidente del M5s Giuseppe Conte (che a quanto ci risulta hanno riaperto un canale di comunicazione tra loro) saranno obbligati a scoprire le carte e tutta l’Italia saprà se le loro dichiarazioni contro ulteriori invii di armi in Ucraina sono concrete posizioni politiche o fuffa propagandistica. Anche ieri il leader del Carroccio è stato perentorio: «Bisogna fermare questa guerra e bisogna smetterla di inviare armi», ha detto Salvini, perché la pace adesso è urgente per salvare vite in Ucraina ma anche per salvare posti di lavoro e famiglie in Italia».Fino ad ora, ricordiamolo, l’invio di armi in Ucraina è stato effettuato in base a un decreto varato dal governo appena due giorni dopo l’inizio della guerra, approvato successivamente da Camera e Senato: sono settimane che il M5s chiede un nuovo passaggio in parlamento, mentre Salvini invoca lo stop alle forniture di armamenti a Kiev. Ora Salvini e Conte sono al bivio: «Premesso che di armi in Ucraina non ne stiamo più inviando», dice alla Verità una fonte vicina al dossier, «sia perché gli ucraini hanno i soldi per comprarle sia perché non ne abbiamo più disponibili, se Lega e M5s mettessero nero su bianco in una risoluzione che l’Italia deve smetterla di inviare armamenti il governo andrebbe in crisi. Come possiamo sapere se tra qualche settimana o mese il conflitto non si inasprirà ancora di più? Draghi avrebbe le mani legate, senza contare il fatto che Pd, Forza Italia, Italia viva e i centristi presenterebbero una risoluzione per conto loro. Se invece ci sarà un riferimento generico», aggiunge la nostra fonte, «alla necessità di favorire la diplomazia, senza riferimenti espliciti alle armi, allora il bluff di Conte e Salvini sarà scoperto». Fonti del M5s, su questo punto, riferiscono alla Verità che «la risoluzione la scriveranno in parlamento, ci sarà un lungo confronto con le altre forze di maggioranza e lì si vedrà quale sarà il punto di caduta. Non vogliamo creare un’occasione per mettere in difficoltà il governo», aggiungono le fonti, «vogliamo offrire un indirizzo che vada nella direzione che noi auspichiamo, la nostra posizione nota ormai a tutti». In parlamento e al governo c’è il sospetto che Conte e Salvini non siano per nulla spaventati dall’eventualità di una caduta del governo: «Lega e M5s», dice alla Verità un esponente dell’esecutivo, «sono i partiti che stanno pagando più di tutti il sostegno a Draghi in termini di consensi, stanno donando il sangue, potrebbero effettivamente aver voglia di metterci un punto». «Ben vengano delle risoluzioni che siano il più possibile condivise», commenta il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, «perché il giorno dopo il presidente del Consiglio Mario Draghi dovrà andare al tavolo europeo, è un momento molto delicato e quindi confido nel fatto che il parlamento possa esprimere la massima compattezza». I ministri di Lega e M5s, come avviene molto spesso, hanno posizioni diverse rispetto ai leader dei rispettivi partiti: si tratta del vizio d’origine del governo Draghi, più volte evidenziato dalla Verità, che ha consentito fino ad ora al premier di agire in maniera autonoma rispetto alle indicazioni delle forze politiche che lo sostengono, e nel caso della guerra anche dalla volontà del popolo, con un’opinione pubblica sempre più critica rispetto all’invio di armi in Ucraina, come rilevato da tutti i sondaggi e dalla semplice esperienza quotidiana di ciascuno di noi. Il rischio di una crisi è reale: «Mi auguro ardentemente», sottolinea il segretario del Pd, Enrico Letta, «che la maggioranza regga e che non ci siano motivi per cui il governo cada nelle prossime settimane. Affronteremo quel passaggio parlamentare del 21 e 22 consapevoli di questi rischi, noi siamo ovviamente disponibili in parlamento, nella maggioranza a discutere e valutare» aggiunge Letta, «ma ovviamente all’interno di un criterio generale della linearità con le scelte che abbiamo fatto sino ad oggi».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/salvini-e-conte-al-bivio-delle-armi-o-votano-per-il-no-oppure-e-un-bluff-2657458290.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ucraini-in-ritirata-da-severodonetsk" data-post-id="2657458290" data-published-at="1654369568" data-use-pagination="False"> Ucraini in ritirata da Severodonetsk Ieri pomeriggio il capo dell’amministrazione militare della regione di Lugansk, Serhiy Hayday, ha affermato che l’Ucraina avrebbe riconquistato circa metà della città di Severodonetsk, area orientale del Paese. Secondo l’alto funzionario «i russi in precedenza erano riusciti a catturare la maggior parte della città, ma ora i nostri militari li hanno respinti. Severodonetsk ora è solo un concentrato di ostilità perché l’esercito russo sta lanciando tutte le sue riserve in questa direzione. Attualmente l’esercito ucraino manca di artiglieria a lungo raggio, che potrebbe cambiare le regole del gioco». I combattimenti per le strade di Severodonetsk continuano e «le truppe ucraine stanno ancora cercando di respingere il nemico», ha aggiunto Serhiy Hayday che ha detto di poter ribaltare l’esito della battaglia: «Stanno andando avanti passo dopo passo, distruggendo tutto con artiglieria, aerei, mortai, carri armati. Ma non appena avremo abbastanza armi occidentali a lungo raggio, spingeremo la loro artiglieria lontano dalle nostre posizioni. E poi la fanteria russa scapperà». In ogni caso i russi stanno rafforzando con unità di riservisti e mercenari il proprio contingente militare in modo da lanciare l’offensiva finale a Severodonetsk. Secondo il ministero della Difesa ucraino le forze ucraine nel frattempo avrebbero respinto attacchi contro due villaggi vicino a Sloviansk, a 60 chilometri da Severodonetsk mentre il ministero della Difesa russo all’agenzia Interfax ha dichiarato che «le forze ucraine si stanno ritirando da Severodonetsk». A proposito delle mine disseminate lungo la costa del Mar Nero, ieri tre persone sono morte mentre camminavano sulla spiaggia di Lazurnoye nella regione di Kherson e secondo l’ufficio della procura regionale «è in corso un’indagine preliminare sulla violazione delle leggi e dei costumi di guerra, combinata con l’omicidio premeditato». Sempre ieri la Legione per la difesa dell’Ucraina ha reso noto che altri quattro combattenti stranieri sono morti in battaglia, secondo le prime indiscrezioni sarebbero un tedesco, un olandese, un australiano e un francese ma non sono stati diffusi ulteriori dettagli sulla loro identità o dove e come sarebbero deceduti mentre lo scorso 3 giugno il ministero degli Esteri francese aveva reso noto che un volontario francese che combatteva con gli ucraini era deceduto al fronte. Mentre scriviamo centinaia di persone fuggono dalla città di Sloviansk, nell’Ucraina orientale, e secondo quanto dichiarato alla Cnn dal capo dell’amministrazione militare della città, Vadym Lyakh, «il numero di persone che lasciano la città è quasi raddoppiato, sia con gli autobus di evacuazione che con mezzi propri, la gente se ne va». Attualmente sono rimaste circa 22.000 persone a Sloviansk, circa un quinto della popolazione prebellica che era di circa 110.000 residenti. Gli abitanti fuggono perché sanno che le unità russe vengono rinforzate durante l’avvicinamento a Sloviansk in preparazione dell’offensiva contro Sloviansk che pur essendo nella regione di Donetsk è una delle poche aree principali del Donbass ancora fuori della portata dei russi. Infine nel suo aggiornamento sulle perdite subite finora dai russi, l’esercito ucraino stima le perdite per l’esercito invasore in 31.050 i soldati russi rimasti uccisi in Ucraina dall’inizio della guerra. Un numero enorme che Vladimir Putin sperava di fermare con la nomina due mesi fa di Alexander Dvornikov a capo dell’«operazione militare speciale». Non ha funzionato e così Putin lo ha cacciato e sostituito con il viceministro della Difesa Gennady Zhidko.
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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Ecco #DimmiLaVerità del 10 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico analizziamo gli ostacoli che molti leader europei mettono sulla strada della pace in Ucraina.