2023-07-16
Salario minimo, ammucchiata inutile
Carlo Calenda, Elly Schlein e Maurizio Landini (Ansa)
Da Carlo Calenda a Maurizio Landini, dai democratici a Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli: minoranze e sindacati riescono a compattarsi solo su una misura che, studi alla mano, non serve a nessuno.C’è la Schlein che lo mette, con una formula a dir il vero abbastanza audace, in relazione ai casi Santanchè e La Russa junior: «Il governo approvi il salario minimo invece di pensare ai suoi casini giudiziari». Calenda che smette per un attimo di litigare con Renzi e accusa la Meloni: «È grave che il premier chiuda a ogni confronto sul salario minimo». Ovviamente Bonelli, Fratoianni e Landini che sprigionano il solito armamentario fatto di lotta di classe, contrasto all’evasione fiscale e ai furbetti del quartierino per dire che no, «senza salario minimo non si può più campare». E persino il solitamente ragionevole governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, getta benzina sul fuoco: «Non possiamo dire “che vergogna che ci sono ragazzi che lavorano a 3-4 euro” ma poi non facciamo nulla». Insomma, almeno per una volta, la sinistra, intesa in senso ampio, sembra remare nella stessa direzione e si ricompatta intorno al tema del salario minimo. Il titolo del resto è facile - «aumentare la retribuzione minima di un’ora lavorata» - e per delle forze politiche che dovrebbero avere nel loro Dna la tutela degli interessi dei lavoratori somiglia tanto a un gol a porta vuota. Peccato che, anche in questa occasione, Elly Schlein e compagni riescano a mandare la palla sugli spalti. Come scritto sulla Verità in questi giorni e come rivelato da diversi studi che difficilmente possono essere tacciati di simpatie verso la destra, alla fine dei conti il salario minimo, più che aiutare, rischia di danneggiare posizioni e retribuzioni di chi oggi guadagna meno. Ci hanno pensato, per esempio, l’ex presidente dell’Inps Tito Boeri (nominato da Renzi) e il professore della Bocconi Roberto Perotti a chiarire i paradossi della proposta democratica che fissa a 9 euro la soglia minima salariale. Fuor dai tecnicismi, il concetto è molto semplice: se si fissa una soglia che vale per tutti, si corre un duplice rischio. Da un lato quello di stabilirla troppo al ribasso e, quindi, di invogliare anche i datori di lavoro che prima pagavano di più i loro dipendenti, in base ai contratti di categoria, ad abbassare le remunerazioni. Dall’altro quello di esagerare all’opposto e di mandare fuori mercato tante persone perché il costo eccessivo del lavoro li rende poco competitivi nel contesto globale. Insomma, si creerebbero altri disoccupati, altro che incremento dei salari.Un esempio per tutti è quello di colf e badanti: il salario minimo nella formula che oggi tanto piace alla sinistra allargata porterebbe (considerando il numero di ore massimo) a retribuzioni da 1.700 euro al mese alle quali vanno aggiunti contributi, Tfr, ferie ecc. Ci sono famiglie (poche) che possono permetterselo e altre (tantissime) che o rinunceranno al supporto di un aiuto esterno o (l’ipotesi più probabile) continueranno ad avvalersene pagandolo, però, in nero.Non solo. Perché sembra quasi inevitabile che l’adozione di un «quantum orario» indifferenziato stabilito per legge porti, come conseguenza, l’uscita dalle tutele dei contratti nazionali di migliaia di imprese e il prevalere dell’arbitrio della politica su dinamiche che dovrebbero restare flessibili grazie all’autonomia negoziale e contrattuale delle parti sociali. Paradossalmente, anche il tentativo di evitare la crescita dei contratti pirata, di cui si è tanto parlato in questi giorni, potrebbe sortire il risultato opposto: alle organizzazioni «non ufficiali» basterebbe, infatti, non superare la soglia minima di retribuzione per avere piena legittimità. Ma nei contratti «ufficiali» non c’è solo il salario. Ci sono premi, tredicesime, straordinari e welfare negoziato. Tanto per fare qualche esempio.Dire che il salario unico non è la soluzione del problema non vuol dire negare l’esistenza del problema dei salari troppo bassi. Per risollevarli, magari, si potrebbe iniziare a firmare i contratti non rinnovati, a promuovere e a detassare la contrattazione di secondo livello e a puntare, attraverso la formazione e l’innovazione tecnologica, a migliorare la produttività del lavoro. Tutto suona come qualcosa di già sentito e già detto. Bisognerebbe iniziare a farlo.
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