
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ci sta abituando, soprattutto negli ultimi due anni, in coincidenza con il governo Meloni, ad interventi molto ravvicinati e molto generosi da un punto di vista di contenuto politico. Ieri, visitando a Latina l’azienda Bsp Pharmaceuticals, in occasione della celebrazione della festa del lavoro, ha parlato, anzitutto, di equità per i salari dei migranti e di contrasto al fenomeno scandaloso del caporalato; ha parlato delle famiglie che stentano a causa del costo della vita e dei salari insufficienti; ha parlato, inoltre, dei dazi che possono ostacolare diritto a cure e salute.
Si tratta, ovviamente, molto ovviamente, di problemi reali che abbiamo in Italia, soprattutto il caporalato e gli stipendi bassi, da una venticinquina-trent’anni. La questione dei dazi l’abbiamo avuta anche in altri contesti, ma è più un problema di tipo internazionale. I primi due, viceversa, sono problemi di carattere molto più nazionale e che ci riguardano, come detto, da decenni. Sulla questione dei salari bassi - nell’ultimo ventennio l’Italia è l’unico Paese europeo nel quale sono diminuiti e non aumentati - le cause sono arcinote e non riguardano, in particolare, questo governo che, per la verità, i pochi soldi a disposizione che si è trovato (anche a causa del fardello di debiti lasciato dai bonus edilizi) li ha indirizzati proprio verso una diminuzione del cuneo fiscale per far arrivare un centinaio di euro in più nelle buste paga della fasce di popolazione con redditi più bassi. Ma questo, per il presidente Mattarella, o non conta o non è degno di attenzione. Certo, non sta a lui elogiare il governo ma, in presenza di un’azione del governo volta, sia pure in misura minima, ad aumentare i salari, la coincidenza vuole - per carità senza malizia alcuna - che ne parli proprio ora. Dicevamo che le cause sono note. La prima ce l’ha ricordata Draghi, pochi mesi orsono, intervenendo al Simposio Annuale del Centre for Economic policy Research a Parigi, sostenendo, in modo deciso, che tenere i salari bassi e puntare sull’export non è più sostenibile e che se l’Europa si decidesse ad emettere debito comune potrebbe creare ulteriore spazio fiscale per aumentare i salari ed avere una crescita che ora è inferiore a quanto potrebbe essere. Cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire che se un Paese, fortemene indebitato come l’Italia, soprattutto durante i decenni dello scorso secolo che il presidente Mattarella conosce bene, essendo stato deputato dal 1983 al 2008, appartenendo alla «sinistra sociale» della Democrazia cristiana, vuole abbassare le tasse in modo decisivo, come sarebbe necessario per aumentare i redditi dei lavoratori e incrementare i consumi interni, quindi la produzione, quindi l’occupazione, non può farlo perché l’Europa impedisce di fare ulteriore debito per questa finalità. Ha ragione il presidente Mattarella a sottolineare con forza questo problema ma sarebbe stato, a nostro modestissimo, umilissimo, povero e dimesso parere (quasi meschino), forse più opportuno rivolgersi alla necessità che l’Unione, come suggerito, viceversa, dall’elevato, alto e nobile parere di Mario Draghi, cambiasse le sue politiche economiche e consentisse manovre, anche in deficit, per abbassare il costo del lavoro. Occorrerebbe, in altre parole, e riferendosi ad un riformatore del dopoguerra, Ezio Vanoni, certamente ben noto al professor Mattarella, rischiare un abbassamento delle tasse sul lavoro (lui lo fece nel disastrato dopoguerra) nella certezza che questo provocherebbe un aumento del gettito fiscale dovuto all’incremento dei redditi, dei consumi e degli investimenti. Il governo Meloni più di quello che ha fatto non poteva fare, a meno che non rinunciasse agli investimenti in armamenti ma questo, credo, anzi sono certo, non sarebbe stato visto di buon occhio dal Quirinale.
Per quanto riguarda il caporalato, vorrei ricordare che questo governo ha riaperto i flussi migratori che sono uno strumento per evitare il lavoro illegale, in nero e sottopagato. Quando, durante il governo Renzi, fu annunciato che centinaia di migliaia di lavoratori dell’agricoltura sarebbero stati messi in regola, anche contro il caporalato, e la misura fallì l’obiettivo, non ci giunsero notizie dal Colle.
A proposito dei dazi, non v’è chi non veda l’azione diplomatica della premier Meloni che certamente sta svolgendo un ruolo di primo piano nelle varie contese internazionali.
Insomma, non possiamo non notare un cambio di linguaggio e di quantità degli interventi (in aumento), del presidente stesso che, da un linguaggio caratterizzato da una retorica molto istituzionale, un linguaggio ufficiale e formale, è passato a un linguaggio caratterizzato da una retorica più «popolare» e «politica» intervenendo puntualmente e mostrando disaccordo con alcuni interventi del governo in carica. Il più significativo è l’intervento in occasione delle manifestazioni degli studenti a Pisa che, violando le leggi e i regolamenti, furono sottoposti a un’azione repressiva della polizia e, in quel caso - non cito testualmente -, il presidente ebbe ad affermare che quello non era il metodo educativo più giusto nei confronti di quei «poveri» e ingenuamente innocenti giovani che avevano messo su un caos di fronte al quale la polizia cosa avrebbe dovuto fare se non intervenire e reprimerlo? Per carità, il presidente Mattarella interviene sempre richiamandosi alla Carta costituzionale, ai valori fondanti della Repubblica e ai diritti fondamentali presenti nella Costituzione. È il suo compito in quanto rappresentante del Paese e prima carica dello Stato, ma ci pare che tutto questo si sia incrementato particolarmente dopo l’avvento alla presidenza del Consiglio di Giorgia Meloni. Come diceva il suo compagno di partito Giulio Andreotti: «A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si coglie». Probabilmente, scrivendo queste righe, chi le ha scritte dovrà confessarsene ma, magari, ha descritto qualcosa di almeno verosimigliante.