2018-05-30
Sala si rimangia il bando del concorso per il ghisa profugo
In prima stesura, i «cittadini con status di rifugiato» potevano contendersi 22 posti da vigile a Milano. Poi la retromarcia.Chi mettiamo per le strade di Milano a piazzare multe per divieto di sosta? Per esempio i profughi. Che sono tanti e che, appena ottenuto il nulla osta per la protezione umanitaria, hanno bisogno di trovare un impiego. Magari pubblico e a tempo indeterminato. Tanto per integrarli al meglio possibile. L'idea, a quanto pare, era venuta al sindaco di Milano, Giuseppe Sala, che lo scorso 28 maggio aveva indetto un bando di «selezione pubblica per esami per la copertura di 22 posti a tempo indeterminato del profilo professionale di agente di polizia municipale» aperto a «chi fosse in possesso dello status di rifugiato e anche a chi, dopo essere sbarcato clandestinamente sulle nostre coste avesse semplicemente ottenuto, la protezione sussidiaria.Il bando pubblico così concepito è stato valido fino a ieri sera alle 20.00 quando, improvvisamente, dopo qualche ora di ripensamento, il documento è stato rettificato e tra i requisiti necessari alla partecipazione è comparsa (in extremis) proprio la cittadinanza italiana.Fino a ieri pomeriggio, infatti, consultando il sito del Comune di Milano era possibile visionare e scaricare il bando come originariamente impostato (ancora scaricabile dal sito alla sezione Posizioni aperte, ndr). Che alla voce «Requisiti per l'ammissione» elencava tutte le categorie di cittadini a cui il concorso, per diventare vigile urbano, era aperto e rivolto. Per partecipare, si legge nel testo originario, bisogna «essere cittadini italiani o di uno degli Stati membri dell'Ue», ovvero «essere familiare di un cittadino di uno degli Stati membri (anche senza avere la cittadinanza, ma è sufficiente il permesso di soggiorno, ndr)», oppure «essere cittadino di Paesi terzi con permesso di soggiorno di lungo periodo» oppure, e qui viene il bello, «essere cittadini con lo status di rifugiato o, in alternativa avendo riconosciuta la protezione sussidiaria». Poi evidentemente qualcosa è cambiato. Per qualche ora il testo è diventato inaccessibile agli utenti non accreditati e, a sera, ecco la rettifica: la selezione è aperta a chi possiede cittadinanza italiana secondo il Dpcm 7.02.1994 numero 174. Scampato pericolo. Almeno per questa volta. Ma chi sono gli extracomunitari a cui il concorso sarebbe stato aperto? E avrebbe potuto il Comune di Milano decidere di aprire le forze dell'ordine a chi non possiede la cittadinanza italiana?I richiedenti asilo che hanno ottenuto lo status di rifugiato sono quel 10% di clandestini che, secondo le Commissioni territoriali sono sbarcati sulle nostre coste perché in fuga da una guerra. A questi viene rilasciato un permesso di soggiorno per asilo politico, della durata di 5 anni, rinnovabile.Chi ottiene la protezione sussidiaria, invece, non ha dimostrato di fuggire da una guerra, ma solo di essere in potenziale pericolo con un eventuale rientro in Patria. Anche a questi soggetti, per volontà della Ue, recepita dall'Italia, viene rilasciato un permesso di soggiorno della durata di 5 anni. Entrambi questi permessi di soggiorno, in base alle normative europee, oltre a garantire tutti gli altri diritti, consentono lo svolgimento di un'attività lavorativa subordinata o autonoma, nonchè l'accesso al pubblico impiego.Nel diritto italiano, invece, un riferimento concreto sembra essere il Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili del 1957, che comprende tra i requisiti necessari per accedere a cariche pubbliche nelle amministrazioni, appunto, quello della cittadinanza.E se è vero che con l'entrata dell'Italia in Europa, i concorsi pubblici sono diventati accessibili ai cittadini degli Stati membri, con alcuni distinguo, la partecipazione degli extracomunitari non risulta invece ancora normata in modo preciso, ma piuttosto oggetto di controversie giurisprudenziali. L'orientamento più accreditato, nel nostro Paese, resta quella di garantire a tutti gli immigrati «regolarmente soggiornanti sul territorio e alle loro famiglie parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani», come previsto anche dal decreto legislativo 286 del 1998. E forse proprio in base a questo il Comune di Milano stava per compiere il fatidico passo.Un passo, tuttavia, probabilmente non del tutto legittimo, che infatti è stato rettificato. Riferendosi a cittadini europei (e non ancora ad extracomunitari) la Corte di giustizia europea (anche con la sentenza del 17/12/80 citando diversi trattati) ha infatti stabilito un importante distinguo. Chi è privo di cittadinanza può accedere al pubblico impiego ad eccezione di quei posti che «presuppongono da parte dei loro titolari l'esistenza di una reciprocità di diritti e doveri nei confronti dello Stato che costituiscono il fondamento del vincolo di cittadinanza» e che «in maniera diretta o indiretta implicano la partecipazione all'esercizio dei pubblici poteri». Come, per esempio, accade per i vigili urbani.
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