2025-02-09
L’eterna vittima in lotta con il maschio bianco
Giornalista di origine palestinese, con ottime entrature nei salotti che contano, si atteggia di continuo a bersaglio del patriarcato etnocentrico per ottenere attenzione. Però quando le ricordano le foto al fianco di Harvey Weinstein la sua sicurezza vacilla.Cognome e nome: Jebreal Rula. Aka - conosciuta anche come - «quella signora abbronzata», espressione dal sapore razzista usata nel 2006 dall’allora ministro Roberto Calderoli.La rievochiamo in esergo, perché lo sfregio compattò, intorno a Rula, un «arco costituzionale» a lei favorevole. Che non si sarebbe più ricostituito. Lo sgradevole episodio le regalò tuttavia un’illuminazione: il vittimismo come arma di distrazione di massa. Atteggiarsi a martire, come si sa, paga.Su X si presenta in inglese: «Visiting Professor, The University of Miami. Author. Foreign Policy analyst». Ciumbia. Ma nessuna sorpresa: dopo aver scoperto l’America in Italia, si è trasferita a New York. Anche causa fidanzamento, dal 2007 al 2011, con il regista Julian Schnabel, che ha tratto un film dal di lei romanzo Miral. Rula approda quindi a Newsweek. Basta poco, che cce vo’?«Ho chiesto un colloquio alla direttrice Tina Brown. Mi riceve e dice: hai cinque minuti per convincermi a ingaggiarti», et voilà (del resto, chi di noi non ha in rubrica il numero della Tina per domandarle un appuntamento, su...).Rula conosce anche ebraico, arabo e la lingua di Dante. È infatti un’israeliana di origini palestinesi, naturalizzata italiana. Il suo ultimo libro? Le ribelli che stanno cambiando il mondo - Storie di donne che resistono, credono, lottano. Più che un saggio, una biografia. La sua.Perché lei si vede così: una paladina dei diritti dell’altra metà del Cielo. E dei palestinesi. Motivo per cui è entrata a gamba tesa in «25 aprile», la chat antifascista di Whatsapp. Diventandone la zarina. Contribuendo - non da sola - al suo snaturamento pro Pal.Massimo Giannini, che aveva creato Bella Chat nel giorno della Liberazione, a Natale se n’è liberato, uscendo - come Jack Frusciante - dal gruppo (preceduto e seguito da molti, o insultati o sfiniti o annoiati): «L’idea iniziale è andata irrimediabilmente perduta».La chat è diventata così una sorta di «centro social(e)» parossisticamente monotematico, con indignados tonitruanti. Ci si accapiglia da mane a sera - «Antisemiti!», «Islamofobi!», «Pulizia etnica!» «Non minimizzate! È genocidio!» - quasi solo e soltanto sul Medioriente.Tragedia che coinvolge e sconvolge le coscienze di ogni uomo e donna di buona volontà. Ma: e gli altri drammi epocali?Rula vi ha debuttato il 29 maggio. In otto mesi, mai un attimo di requie. Ha smitragliato pareri, denunciato, redarguito. In serenità e letizia? Ma figuriamoci. La temperanza non è nella sua indole. L’importante è porre se stessa al centro del dibattito, generando la fastidiosa - quanto costante - impressione che la vera notizia sia non ciò di cui si sta occupando, ma che lei se ne stia occupando. Dal #metoo al #mealways.Nel Belpaese è sbarcata a 20 anni, nel 1993, grazie a una borsa di studio per studiare fisioterapia all’università di Bologna. Ma Piazza Grande le andò presto stretta. Sapeva di essere destinata a fare altro. Ad andare oltre. Si trattava di cogliere l’attimo. Che arrivò con l’invito all’Infedele di Gad Lerner su La7. Poi con quello all’Ottoemezzo di Giuliano Ferrara. In un amen, me la ritrovai a Omnibus come conduttrice.Spiegherà nel 2020 a Vanity Fair: «Quale è la differenza tra i network Usa e quelli italiani? Be’, qui in America l’ambiente è più competitivo, devi essere super-preparata». Mica come da noi. E difatti la sua rapida ascesa lo certifica.Per la cronaca: non la misi io sotto contratto (il direttore del TgLa7 era Giulio Giustiniani, che mi confidò chi gliel’avesse sollecitato. Il nome? Giustiniani ci ha lasciato, e ho sempre trovato disdicevole far parlare i defunti). Come non fui io a stabilire di non rinnovarglielo, la «scomunica» passò sopra la mia testa. Non aggiungo altro, per buongusto.Solo un amarcord. 2006. Wladimir Luxuria è inseguita e ricoperta di epiteti omofobi per strada. Rula a Omnibus, rivolta a Francesco Rutelli e lo scomparso Pietro Calabrese, già direttore del Messaggero: «Sapete che le hanno tirato dei finocchi?». Pausa. «La verdura, intendo». Pausa. Stacco della regia, Rutelli e Calabrese, ammutoliti, si guardano come Angela Merkel e Nicolas Sarkozy alla domanda su Silvio Berlusconi.Negli anni ha imparato a gestire la propria immagine secondo i paradigmi mainstream. Riuscendo a finire sugli zebedei perfino a chi non le è ideologicamente distante.Nel 2021 la vogliono a PropagandaLive come testimone dell’eterna faida mediorientale. Scoprendo di essere l’unica donna ospite, denuncia il caso sui social, in un’orgia di wokismo: «Come scelta professionale non partecipo a nessun evento che non implementa la parità e l’inclusione», e pure il congiuntivo, va. Alimentando il dubbio: avrà mica avuto ragione l’anonimo sussurratore che quindici anni prima l’aveva gratificata dell’appellativo «gnocca senza testa» in diretta tv, nello studio di Annozero di Michele Santoro?Ricordate? Mentre lei discuteva animatamente (strano) con Antonio Di Pietro, si udì quello «spiffero», con Santoro a trattenere una risata. Il giallo su chi si fosse lasciato andare al «complimento» tenne banco. Corriere della Sera, 7 novembre 2006: «È indignato, il professor Giulio Sapelli, docente di Storia dell’economia, additato come il probabile colpevole. “Non metterò più piede in tv. Non ho mai detto una cosa del genere, né mai la direi”». Filippo Facci, presente anche lui con Marco Travaglio: «In uno scambio del 2018 ne riparlai con Travaglio con leggerezza». Io: «Su Sapelli facemmo una mostruosità che ancora resiste». Travaglio: «A distanza di dodici anni non ho mai capito chi fu a insultare Rula». Io: «Tu!». Lui: «Mai nemmeno pensato. Poi io non dico gnocca. Sono torinese». Io: «Ma l’accento era torinese. Oddio, magari è stato davvero Sapelli». «Sempre pensato a lui». «Io a te, ma siccome la frase corrisponde a verità, in effetti tu non puoi essere stato». Travaglio: «Ahah». Nel 2017 a PiazzaPulita, Nicola Porro è in collegamento. Interviene con il suo stile (da primino della classe). Rula sbrocca: «Uomo bianco, abbassa i toni!». Porro, con l’indice puntato da remoto: «Mi stai interrompendo!». Lei: «Non mettermi il dito in faccia, è violenza!». E via farneticando su di sé, donna «di colore», in un consesso di soli «maschi bianchi» con il culto suprematista della «razza pura», finché Corrado Formigli non la fulmina: «Smetti di fare la vittima!». Che è appunto la sua posa più riuscita.Nel 2020 è sul palco di Sanremo. Il conduttore/direttore artistico è un uomo. L’ospite fisso è un uomo. E 17 dei 24 artisti in gara sono uomini. Turbamenti? Proclami? Ringhi e arringhe su Twitter? Zero.Perché va bene impegnarsi per la causa, ma rinunciare all’Ariston e ai suoi milioni di telespettatori sarebbe stato too much (Ennio Flaiano l’avrebbe castigata: «Vogliono la rivoluzione ma preferiscono fare le barricate con i mobili degli altri»).Nel 2022 attacca Giorgia Meloni, che «non è colpevole dei crimini commessi da suo padre, ma spesso sfrutta i reati commessi da alcuni stranieri per criminalizzare tutti gli immigrati, descrivendoli come minaccia alla sicurezza». Ora, il padre della premier, Francesco, se ne andò di casa quando lei aveva un anno. Dopo gli 11 non lo incontrò mai più.A che pro, quindi, tirare in mezzo il genitore?L’intervento è così scomposto e scombiccherato da provocare la reazione meloniana: «Evidentemente tra le tante cose che non valgono per me c’è anche il detto “Le colpe dei padri non ricadano sui figli”», con un P.S. in calce: «Signora Jebreal, spero potrà spiegare al giudice quando e dove avrei fatto la dichiarazione che lei mi attribuisce». Non solo. Meloni incassa la solidarietà di Giuseppe Conte, «questo è fango. Noi li combattiamo, premier e Fratelli d’Italia, in tutte le sedi, ma sul piano politico», e Carlo Calenda: «È una bassezza, non si fa politica così, men che meno giornalismo. Cancella il tweet, che tra l’altro ha l’unico effetto di portare più gente a sostenere Fratelli d’Italia». In servizio permanente effettivo contro i maschi predatori, è stata fotografata in diverse occasioni con Harvey Weinstein, produttore nel 2010 del citato Miral, pluricondannato in seguito per stupro e violenze sessuali.Uno scatto è stato usato da Guido Crosetto su X, per infilzarla sulla «buca» rifilata a PropagandaLive: «In effetti Makkox e Zoro sono molto meno inclusivi e molto meno rispettosi nei confronti delle donne rispetto al buon vecchio Harvey».Vabbè: possibile che Rula in quel periodo avesse -non unica - la kefiah sugli occhi, capita.Il bello è che nel luglio 2021, dopo il niet a La7 per i motivi di cui sopra, ha presentato a Roma il suo libro Il cambiamento che meritiamo. Come le donne stanno tracciando la strada verso il futuro.All’associazione femminista «Amazzoni & Erinni»?No: al Circolo Aniene, dove - presidente onorario: Giovanni Malagò- fino al maggio 2022 i soci potevano essere solo di sesso maschile. Ma: e «l’implementazione di parità e inclusione»? Sarà per un’altra Rula.
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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