2025-01-14
Ruffini faceva il furbo sulle scadenze fiscali
Ernesto Maria Ruffini (Ansa)
Un commercialista versa le imposte 48 ore prima dei termini. Ma le Entrate gli chiedono di pagare e spiegano che doveva muoversi in anticipo: «Un professionista avrebbe dovuto conoscere i tempi tecnici per gli F24». È successo nel 2024 e il duello continua ancora.Hai pagato le tasse nei termini indicati dalla legge? Ti arriva una cartella. Presenti ricorso avendo la convinzione di essere dalla parte del giusto? Il Fisco ti fa la morale, spiegandoti perché ti saresti dovuto adoperare ben prima, soprattutto se sei un professionista e hai contezza dei tempi tecnici richiesti per determinate operazioni. Del resto, ti evidenziano ancora, l’Agenzia delle entrate può mica preparare le cartelle alla scadenza dei termini? Il Fisco compila tutto prima, così da essere pronto per il momento in cui contribuente risulterà inadempiente. Sono queste alcune delle «stranezze» che emergono dalla storia di un commercialista veronese che nel 2024 ha avuto la sventura di pagare al 58° giorno utile le imposte di successione per la liquidità ricevuta in eredità. Notifica alla mano aveva 60 giorni per regolare la pratica. Insomma, si è mosso in extremis certo, ma il professionista non aveva commesso nessuna irregolarità, eppure il 19 luglio del 2024 si è visto recapitare una cartella esattoriale E questa è solo la premessa. Perché il bello deve ancora arrivare. Davanti al pronto ricorso del nostro, l’Agenzia ha presentato le sue controdeduzioni, provando a giustificare la richiesta di pagamento. La prima sorpresa può essere derubricata nell’elenco degli errori dovuti più a sciatteria che ad altro e riguarda la data del pagamento, che è sbagliata di un giorno: il versamento, come La Verità ha potuto verificare, è avvenuto con data 7 maggio 2024, mentre nelle controdeduzioni viene citato il giorno successivo. Poco male. Perché il momento clou arriva quando l’Agenzia inizia ad arrampicarsi sugli specchi per giustificare la sua svista. «Naturalmente, come ben sa il ricorrente anche per ragioni legate alla sua professione, l’abbinamento di un pagamento tramite F24 non avviene in maniera istantanea, bensì dopo un - seppur breve - lasso di tempo per ovvie ragioni tecniche», si legge. Traducendo dal burocratese, gli uomini del Fisco hanno voluto dire che essendo il contribuente in questione anche un esperto della materia, avrebbe dovuto sapere che magari può passare un po’ di tempo perché l’F24 venga abbinato alla pratica in questione e quindi si sarebbe dovuto adoperare in anticipo. E qui tocchiamo le vette dell’assurdo. Intanto, perché stiamo parlando di un sistema completamente automatizzato, e quindi non si capiscono le ragioni dell’eventuale ritardo, ma soprattutto in quanto gli eventuali problemi tecnici non hanno nulla a che vedere con la professione (notaio, commercialista, cuoco o giardiniere che sia non cambia nulla) del cittadino, ma sono a carico dell’Agenzia delle entrate. Insomma, i termini di pagamento sono uguali per tutti. E che il Fisco faccia balenare idee diverse è assai grave. Ma non finisce qui. «Nelle more, tuttavia, i ruoli vengono formati e affidati all’ente preposto al fine di procedere alla riscossione del dovuto». In soldoni, qui l’Agenzia vuol dire che i funzionari delle Entrate predispongono i ruoli ancora prima della scadenza dei termini di pagamento. Insomma, si portano avanti con i lavori, sprecando in questo modo tempo e risorse, anche perché sono poi costretti a eliminarli se il contribuente paga. Questo modo di fare, non solo rischia di provocare altri errori, ma fa perdere anche tempo prezioso agli addetti delle Entrate, tempo che potrebbe essere impiegato diversamente. C’è forse materia per la Corte dei conti?Alla fine, l’Agenzia delle entrate si è resa conto dell’errore e ha chiesto l’estinzione di un giudizio che nemmeno sarebbe dovuto iniziare. Resta però aperto il tema delle spese legali. Con il Fisco che prova a evitarle spingendo sull’istituto dell’autotutela. In altre parole, il contribuente che si ritiene colpito ingiustamente da una cartella può scrivere alle Entrate motivando e chiarendo i termini della questione e chiedendo appunto che venga riconosciuto l’errore. E qui rischia di crearsi un altro cortocircuito. Da una parte, infatti, si richiede al contribuente di spendere tempo e risorse per ottenere ragione e non costringere l’Agenzia a pagare le spese legali. Senza contare che attraverso il contenzioso la soccombenza (anche virtuale) della parte comporta il pagamento a favore del vincitore delle spese di giudizio. Insomma, almeno il contribuente riceve un ristoro per il tempo e i danni subiti.Fino a che punto questi errori possano essere imputati alla gestione dell’ormai ex direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, e fino a quando invece vadano addebitati alle colpe dei funzionari è difficile dirlo. È certo invece che le Corti di giustizia sono spesso indifferenti verso «le mancanze» della parte pubblica (cioè raramente condannano l’Agenzia alle spese di giudizio). Così come è sicuro che esista una certa «resistenza» da parte delle amministrazioni fiscali periferiche sul nuovo corso, più vicino alle esigenze del contribuente, che il governo sta tentando di portare avanti per migliorare il rapporto tra cittadini e Fisco.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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