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2023-09-05
Caos vaccini Covid nelle Rsa. Silenzio sugli effetti avversi
(Imagoeconomica)
Si ripropone l’allarme ingiustificato nelle Rsa. Basta qualche positivo, anche asintomatico, per isolare i nostri anziani vietando le visite. E tornano i tamponi a raffica, le richieste di compilare moduli di «corresponsabilità», prima di varcare il cancello di una struttura. Per non parlare delle terze o quarte dosi di anti Covid già somministrate nei giorni scorsi, senza aspettare il nuovo vaccino che arriverà a ottobre.
«I bisogni assistenziali legati alla terza età devono diventare un tema centrale nei prossimi anni», dichiarava a marzo il ministro della Salute, Orazio Schillaci. Una maggiore attenzione agli anziani va prestata subito, senza trascurare la realtà che vivono nelle Rsa dopo drastiche chiusure, morti senza controllo e tanta crudele indifferenza mostrata durante la pandemia.
Confinati nelle strutture hanno bisogno di assistenza e di cure, ma anche della visita delle persone care, altrimenti si affretta la loro fine. Se «il virus è sempre meno virulento, provoca febbre, mal di gola, raffreddore. Non polmonite. Si ferma alle vie respiratorie superiori», come ha dichiarato pochi giorni fa il presidente dell’Agenzia italiana del farmaco, Giorgio Palù, perché condannare alla morte per solitudine anziani plurivaccinati che non sono più a rischio di contrarre una grave malattia?
Pochi giorni fa, una delle strutture per non autosufficienti denominata «Loro» e che fa parte dell’Istituto assistenza anziani di Verona, ha chiuso le porte alle visite. Erano stati trovati dieci positivi e la direzione ha deciso lo stop. La reazione a una misura considerata eccessiva quando non c’è rischio, né emergenza è stata immediata.
Il Comitato Verona per la libertà ha protestato fuori da Villa Monga, la sede amministrativa, con un video che ha spopolato sui social. «Siamo stati ricevuti dalla direttrice, che ha firmato la chiusura dopo il consulto con medici e Ulss», spiega Francesca Menin che fa parte del comitato. «Ci è stato detto che stanno “benissimo”, che tutto è partito da un anziano che aveva qualche linea di febbre. Sono stati fatti un po’ di tamponi e hanno trovato dieci positivi». Sono in isolamento, senza problemi di salute, ma l’intera struttura ha fatto quadrato come in piena pandemia. Vietate «a oltranza» le visite, nessun permesso «per portare a casa il proprio congiunto positivo al tampone e che magari si vorrebbe assistere con maggiori cure», è indignata Francesca. L’Rsa non dà l’autorizzazione, può solo decidere il medico. Ma non era finito per tutti l’isolamento in caso di positività? Anche la figlia di un novantenne ospite della Rsa a Milano, in zona Baggio e con 21 positivi, voleva portarsi a casa il genitore. Nulla da fare.
Nelle cronache locali, i reparti chiusi per piccoli focolai fanno notizia, a livello nazionale non sono ancora diventati pretesto per evidenziare la crescita dei contagi. Si aspetta la partenza nella nuova campagna vaccinale, per seminare preoccupazione. Intanto, però, scattano le restrizioni. Si rispolverano vecchi moduli da compilare per far visita a un parente in Rsa. «Vedo persone in fila, che devono sottoscrivere di “non presentare segni e sintomi sospetti per Covid 19”, così di non avere avuto contatti con persone con “diagnosi sospetta”, e di non essere in quarantena, mentre siamo ancora obbligati a indossare le Ffp2», racconta Margherita.
Nome di fantasia, che una signora vicentina preferisce utilizzare per non compromettere la permanenza nella Rsa della madre novantenne, ricoverata a metà agosto all’ospedale San Bortolo del capoluogo Berico per frattura del femore. «Al pronto soccorso le fecero il tampone, anche se non presentava problemi respiratori. A un secondo test fu sottoposta prima dell’intervento, il terzo bastoncino le venne infilato nel naso prima di trasferirla alla Rsa per la riabilitazione», elenca la figlia. «Mi avvisarono che le avrebbero fatto il tampone ogni 48 ore, visto che si era fermata a due dosi di vaccino anti Covid, ma ho presentato il modulo di “dissenso informato” e adesso la lasciano in pace».
Si tratta di un modulo elaborato dal Comitato «Di sana e robusta costituzione», con il quale è possibile autocertificare l’assenza di segni e sintomi respiratori, negando il consenso al tampone. Nel documento viene riportata anche l’affermazione dell’infettivologo Matteo Bassetti: «Siamo alla completa follia da tamponi, ormai è finito il problema Covid, allora perché non tamponiamo per l’influenza, per il virus sinciziale? Vi rendete conto l’ignoranza di chi decide queste procedure a livello ospedaliero? Devono rendere conto ai cittadini».
Il tampone ripetuto agli ospiti delle Rsa viene segnalato da più parti, ma sembra importare a pochi la tortura inflitta a un anziano. Quante dosi abbiano ancora in circolazione non fa differenza, perché un altro novantenne della Rsa Parco delle Cave di Milano ne aveva fatte quattro eppure è risultato positivo. Ma non li vaccinano dicendo che è per il loro bene? Sulla carta, anzi nella circolare ministeriale di agosto, la campagna nazionale avrebbe come obiettivo «quello di prevenire la mortalità, le ospedalizzazioni e le forme gravi di Covid-19 nelle persone anziane e con elevata fragilità», alle quali «è raccomandata e offerta una dose di richiamo a valenza 12 mesi con la nuova formulazione di vaccino aggiornato». Vaccino che arriverà a ottobre, però intanto continuano a somministrare quello «vecchio». Sempre per il bene dei nostri anziani? La Regione Lazio fa sapere che «le vaccinazioni anti Covid nelle Rsa non si sono mai interrotte». In Lombardia, ad agosto «sono state effettuate 110 dosi su 56.000 ospiti delle strutture residenziali. Una sola era prima dose, per le altre si trattava di booster». Se il monovalente è raccomandato dall’Agenzia europea del farmaco soprattutto per fragili e anziani, perché somministrare il bivalente che non regge con le nuove varianti? Forse ci sono dosi in giacenza da smaltire? E le diamo alla mamma, al papà, al nonno? In Emilia Romagna «non ci sono campagne vaccinali in corso, né nelle Rsa né altrove», precisano dalla Regione.
In Veneto pure si attenderebbe il nuovo vaccino di Pfizer, però ci segnalano richiami già iniziati ad agosto nelle residenze. «Non per direttiva della Azienda Ulss 9 Scaligera, sono vaccinazioni gestite in autonomia dalle Rsa», precisano a Verona. Chissà in quante altre parti d’Italia sarà questa, la prassi tollerata.
Ministro Schillaci, che cosa aspetta per fare ordine e rispettare la salute degli anziani?
Gli Stati abbandonano la farmacovigilanza
Sarà certamente un caso, ma proprio quando arrivano dati sui vaccini che non avremmo mai voluto leggere, riparte la grancassa delle vaccinazioni anti Covid e allo stesso tempo si spengono i riflettori sulla farmacovigilanza. Con una laconica segnalazione, i Centers for Disease Control (Cdc) americani hanno serenamente comunicato ai cittadini di aver chiuso la piattaforma sugli eventi avversi dei vaccini antiCovid, v-Safe. «Grazie per la tua partecipazione - si legge aprendo l’applicazione creata dall’agenzia federale - la raccolta dei dati per i vaccini Covid-19 si è conclusa il 30 giugno 2023».
La farmacovigilanza in America poggiava su due strumenti: il vecchio Vaers (Vaccine Adverse Event Reporting System) della Food and Drug Administration (Fda), sistema di sorveglianza passiva che funzionava attraverso la compilazione di alcuni moduli online, e il v-Safe, programma di sorveglianza attiva per monitorare la sicurezza dei vaccini, gestito dai Cdc. V-safe era un’applicazione rivolta a un gruppo demografico più giovane - quello che usa le app ma anche quello più bersagliato dalla propaganda pro-vax anti Covid - ed è stata spenta all’improvviso.
Quali siano gli argomenti contrari al monitoraggio continuo delle vaccinazioni anti covid i Cdc non lo hanno spiegato, limitandosi a reindirizzare verso il Vaers. Ma secondo David Gortler, farmacologo ed ex senior advisor di Fda, i rapporti Vaers rappresentano meno dell’1% degli eventi avversi del vaccino che si verificano realmente. Non solo: prima che il database fosse rimosso, Gortler ha condiviso un’immagine dalla dashboard V-safe in cui i cittadini colpiti da effetti collaterali risultavano essere 6,4 milioni, di cui 2 milioni ormai «incapaci di svolgere le normali attività della vita quotidiana e con urgente necessità di cure mediche».
Un dato forse troppo scomodo per essere tenuto online. I Cdc, nel frattempo, stanno procedendo con la campagna vaccinale per il nuovo vaccino autorizzato in tutta fretta (anche in Europa, grazie anche alla «procedura accelerata» di approvazione dei farmaci varata dall’Agenzia europea per i medicinali) e continuano a raccomandare vaccini e richiami anti Covid «per tutti i cittadini di età pari o superiore a 6 mesi», come da indicazioni del presidente Usa Joe Biden, che ha appena chiesto al Congresso altri fondi per i farmaci adattati alle nuove varianti. Vacciniamoci di più e vigiliamo di meno, insomma.
Nel Regno Unito il caos dei dati è emerso in maniera ancora più sfacciata: lo scorso 25 agosto, con un ritardo di sei mesi, l’Office for National Statistics (Ons), l’Istat inglese, ha finalmente rilasciato un disastroso aggiornamento sui decessi rispetto allo stato vaccinale.
Molti esperti hanno immediatamente rilevato che circa il 95% di tutti i decessi era tra i vaccinati. Poche ore dopo la pubblicazione del rapporto, l’Ons ha pubblicato un disclaimer in cui, informando che c’era stato un «problema relativo al modo in cui i dati vengono sommati dopo quattro dosi di vaccinazione», invitava i lettori a non utilizzarli. In calce alla precisazione, l’Ons ha comunicato che i rapporti sui decessi per stato vaccinale non saranno più pubblicati: «Non aggiorneremo più l’analisi dei decessi per stato vaccinale, serie Inghilterra. L’ultima edizione è stata da aprile 2021 a maggio 2023, pubblicata il 25 agosto 2023. Questa pubblicazione è stata istituita durante la pandemia di Covid 19 per rispondere in modo tempestivo a importanti domande sulla mortalità in base allo status vaccinale».
L’Italia, come sempre, va al traino. L’Istituto superiore di sanità (Iss) guidato da Silvio Brusaferro ha pubblicato i dati sull’efficacia dei vaccini fino a gennaio 2023. Quando non è stato più possibile nascondere l’evidenza della cosiddetta «efficacia negativa» dei farmaci anti Covid, corrispondente a una maggiore incidenza di reinfezione tra i vaccinati, il format dei bollettini è cambiato. «Dal 25 gennaio 2023 i dati relativi alla copertura vaccinale e alla stima dell’efficacia vaccinale non vengono più pubblicati nel presente report», ha comunicato l’Iss nel suo rapporto esteso datato 1 febbraio 2023 e pubblicato il 3 febbraio. «Viene prodotto, invece, un documento mensile contenente una stima del rischio assoluto di infezione da Sars CoV-2 (sintomatica e asintomatica) e di malattia grave, che tiene conto non solo dello stato vaccinale ma anche di una eventuale infezione pregressa». Tutto bellissimo se non fosse che, del famoso «documento mensile», non c’è traccia. Dopo quello di febbraio e un altro report relativo al periodo 2 gennaio-5 febbraio 2023 e reso pubblico tre mesi dopo, il 21 aprile 2023, l’Iss non ha pubblicato più nulla. Non doveva essere mensile? Dopo report a singhiozzo (prima mensili, poi trimestrali, infine quando capitava), i dati sulle segnalazioni di sospette reazioni avverse ai vaccini anti covid, gestiti dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) presieduta da Giorgio Palù, sono confluiti nel Rapporto sulla sorveglianza post-marketing di tutti i vaccini, pubblicato però soltanto una volta l’anno.
Insomma: crescono le segnalazioni e aumenta la pressione vaccinale, mentre magicamente i dati sugli effetti collaterali sono meno disponibili. Nel più perfetto dei «mondi al contrario», non poteva andare diversamente.
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Obblighi di fatto su iniezioni e tamponi, restrizioni per i visitatori, dosi non aggiornate: ogni Regione va per conto suo. Finché è permessa discrezionalità, ci rimettono pazienti e famiglie.Mentre l’ultimo report Iss sull’efficacia dei sieri risale ad aprile, gli Stati Uniti hanno dismesso la piattaforma dei Cdc in seguito a oltre 6 milioni di segnalazioni di effetti avversi. L’Istat inglese, invece, non aggiornerà più le analisi dei decessi per stato vaccinale.Lo speciale contiene due articoli.Si ripropone l’allarme ingiustificato nelle Rsa. Basta qualche positivo, anche asintomatico, per isolare i nostri anziani vietando le visite. E tornano i tamponi a raffica, le richieste di compilare moduli di «corresponsabilità», prima di varcare il cancello di una struttura. Per non parlare delle terze o quarte dosi di anti Covid già somministrate nei giorni scorsi, senza aspettare il nuovo vaccino che arriverà a ottobre. «I bisogni assistenziali legati alla terza età devono diventare un tema centrale nei prossimi anni», dichiarava a marzo il ministro della Salute, Orazio Schillaci. Una maggiore attenzione agli anziani va prestata subito, senza trascurare la realtà che vivono nelle Rsa dopo drastiche chiusure, morti senza controllo e tanta crudele indifferenza mostrata durante la pandemia. Confinati nelle strutture hanno bisogno di assistenza e di cure, ma anche della visita delle persone care, altrimenti si affretta la loro fine. Se «il virus è sempre meno virulento, provoca febbre, mal di gola, raffreddore. Non polmonite. Si ferma alle vie respiratorie superiori», come ha dichiarato pochi giorni fa il presidente dell’Agenzia italiana del farmaco, Giorgio Palù, perché condannare alla morte per solitudine anziani plurivaccinati che non sono più a rischio di contrarre una grave malattia?Pochi giorni fa, una delle strutture per non autosufficienti denominata «Loro» e che fa parte dell’Istituto assistenza anziani di Verona, ha chiuso le porte alle visite. Erano stati trovati dieci positivi e la direzione ha deciso lo stop. La reazione a una misura considerata eccessiva quando non c’è rischio, né emergenza è stata immediata. Il Comitato Verona per la libertà ha protestato fuori da Villa Monga, la sede amministrativa, con un video che ha spopolato sui social. «Siamo stati ricevuti dalla direttrice, che ha firmato la chiusura dopo il consulto con medici e Ulss», spiega Francesca Menin che fa parte del comitato. «Ci è stato detto che stanno “benissimo”, che tutto è partito da un anziano che aveva qualche linea di febbre. Sono stati fatti un po’ di tamponi e hanno trovato dieci positivi». Sono in isolamento, senza problemi di salute, ma l’intera struttura ha fatto quadrato come in piena pandemia. Vietate «a oltranza» le visite, nessun permesso «per portare a casa il proprio congiunto positivo al tampone e che magari si vorrebbe assistere con maggiori cure», è indignata Francesca. L’Rsa non dà l’autorizzazione, può solo decidere il medico. Ma non era finito per tutti l’isolamento in caso di positività? Anche la figlia di un novantenne ospite della Rsa a Milano, in zona Baggio e con 21 positivi, voleva portarsi a casa il genitore. Nulla da fare.Nelle cronache locali, i reparti chiusi per piccoli focolai fanno notizia, a livello nazionale non sono ancora diventati pretesto per evidenziare la crescita dei contagi. Si aspetta la partenza nella nuova campagna vaccinale, per seminare preoccupazione. Intanto, però, scattano le restrizioni. Si rispolverano vecchi moduli da compilare per far visita a un parente in Rsa. «Vedo persone in fila, che devono sottoscrivere di “non presentare segni e sintomi sospetti per Covid 19”, così di non avere avuto contatti con persone con “diagnosi sospetta”, e di non essere in quarantena, mentre siamo ancora obbligati a indossare le Ffp2», racconta Margherita. Nome di fantasia, che una signora vicentina preferisce utilizzare per non compromettere la permanenza nella Rsa della madre novantenne, ricoverata a metà agosto all’ospedale San Bortolo del capoluogo Berico per frattura del femore. «Al pronto soccorso le fecero il tampone, anche se non presentava problemi respiratori. A un secondo test fu sottoposta prima dell’intervento, il terzo bastoncino le venne infilato nel naso prima di trasferirla alla Rsa per la riabilitazione», elenca la figlia. «Mi avvisarono che le avrebbero fatto il tampone ogni 48 ore, visto che si era fermata a due dosi di vaccino anti Covid, ma ho presentato il modulo di “dissenso informato” e adesso la lasciano in pace».Si tratta di un modulo elaborato dal Comitato «Di sana e robusta costituzione», con il quale è possibile autocertificare l’assenza di segni e sintomi respiratori, negando il consenso al tampone. Nel documento viene riportata anche l’affermazione dell’infettivologo Matteo Bassetti: «Siamo alla completa follia da tamponi, ormai è finito il problema Covid, allora perché non tamponiamo per l’influenza, per il virus sinciziale? Vi rendete conto l’ignoranza di chi decide queste procedure a livello ospedaliero? Devono rendere conto ai cittadini».Il tampone ripetuto agli ospiti delle Rsa viene segnalato da più parti, ma sembra importare a pochi la tortura inflitta a un anziano. Quante dosi abbiano ancora in circolazione non fa differenza, perché un altro novantenne della Rsa Parco delle Cave di Milano ne aveva fatte quattro eppure è risultato positivo. Ma non li vaccinano dicendo che è per il loro bene? Sulla carta, anzi nella circolare ministeriale di agosto, la campagna nazionale avrebbe come obiettivo «quello di prevenire la mortalità, le ospedalizzazioni e le forme gravi di Covid-19 nelle persone anziane e con elevata fragilità», alle quali «è raccomandata e offerta una dose di richiamo a valenza 12 mesi con la nuova formulazione di vaccino aggiornato». Vaccino che arriverà a ottobre, però intanto continuano a somministrare quello «vecchio». Sempre per il bene dei nostri anziani? La Regione Lazio fa sapere che «le vaccinazioni anti Covid nelle Rsa non si sono mai interrotte». In Lombardia, ad agosto «sono state effettuate 110 dosi su 56.000 ospiti delle strutture residenziali. Una sola era prima dose, per le altre si trattava di booster». Se il monovalente è raccomandato dall’Agenzia europea del farmaco soprattutto per fragili e anziani, perché somministrare il bivalente che non regge con le nuove varianti? Forse ci sono dosi in giacenza da smaltire? E le diamo alla mamma, al papà, al nonno? In Emilia Romagna «non ci sono campagne vaccinali in corso, né nelle Rsa né altrove», precisano dalla Regione.In Veneto pure si attenderebbe il nuovo vaccino di Pfizer, però ci segnalano richiami già iniziati ad agosto nelle residenze. «Non per direttiva della Azienda Ulss 9 Scaligera, sono vaccinazioni gestite in autonomia dalle Rsa», precisano a Verona. 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Con una laconica segnalazione, i Centers for Disease Control (Cdc) americani hanno serenamente comunicato ai cittadini di aver chiuso la piattaforma sugli eventi avversi dei vaccini antiCovid, v-Safe. «Grazie per la tua partecipazione - si legge aprendo l’applicazione creata dall’agenzia federale - la raccolta dei dati per i vaccini Covid-19 si è conclusa il 30 giugno 2023». La farmacovigilanza in America poggiava su due strumenti: il vecchio Vaers (Vaccine Adverse Event Reporting System) della Food and Drug Administration (Fda), sistema di sorveglianza passiva che funzionava attraverso la compilazione di alcuni moduli online, e il v-Safe, programma di sorveglianza attiva per monitorare la sicurezza dei vaccini, gestito dai Cdc. V-safe era un’applicazione rivolta a un gruppo demografico più giovane - quello che usa le app ma anche quello più bersagliato dalla propaganda pro-vax anti Covid - ed è stata spenta all’improvviso. Quali siano gli argomenti contrari al monitoraggio continuo delle vaccinazioni anti covid i Cdc non lo hanno spiegato, limitandosi a reindirizzare verso il Vaers. Ma secondo David Gortler, farmacologo ed ex senior advisor di Fda, i rapporti Vaers rappresentano meno dell’1% degli eventi avversi del vaccino che si verificano realmente. Non solo: prima che il database fosse rimosso, Gortler ha condiviso un’immagine dalla dashboard V-safe in cui i cittadini colpiti da effetti collaterali risultavano essere 6,4 milioni, di cui 2 milioni ormai «incapaci di svolgere le normali attività della vita quotidiana e con urgente necessità di cure mediche». Un dato forse troppo scomodo per essere tenuto online. I Cdc, nel frattempo, stanno procedendo con la campagna vaccinale per il nuovo vaccino autorizzato in tutta fretta (anche in Europa, grazie anche alla «procedura accelerata» di approvazione dei farmaci varata dall’Agenzia europea per i medicinali) e continuano a raccomandare vaccini e richiami anti Covid «per tutti i cittadini di età pari o superiore a 6 mesi», come da indicazioni del presidente Usa Joe Biden, che ha appena chiesto al Congresso altri fondi per i farmaci adattati alle nuove varianti. Vacciniamoci di più e vigiliamo di meno, insomma. Nel Regno Unito il caos dei dati è emerso in maniera ancora più sfacciata: lo scorso 25 agosto, con un ritardo di sei mesi, l’Office for National Statistics (Ons), l’Istat inglese, ha finalmente rilasciato un disastroso aggiornamento sui decessi rispetto allo stato vaccinale. Molti esperti hanno immediatamente rilevato che circa il 95% di tutti i decessi era tra i vaccinati. Poche ore dopo la pubblicazione del rapporto, l’Ons ha pubblicato un disclaimer in cui, informando che c’era stato un «problema relativo al modo in cui i dati vengono sommati dopo quattro dosi di vaccinazione», invitava i lettori a non utilizzarli. In calce alla precisazione, l’Ons ha comunicato che i rapporti sui decessi per stato vaccinale non saranno più pubblicati: «Non aggiorneremo più l’analisi dei decessi per stato vaccinale, serie Inghilterra. L’ultima edizione è stata da aprile 2021 a maggio 2023, pubblicata il 25 agosto 2023. Questa pubblicazione è stata istituita durante la pandemia di Covid 19 per rispondere in modo tempestivo a importanti domande sulla mortalità in base allo status vaccinale». L’Italia, come sempre, va al traino. L’Istituto superiore di sanità (Iss) guidato da Silvio Brusaferro ha pubblicato i dati sull’efficacia dei vaccini fino a gennaio 2023. Quando non è stato più possibile nascondere l’evidenza della cosiddetta «efficacia negativa» dei farmaci anti Covid, corrispondente a una maggiore incidenza di reinfezione tra i vaccinati, il format dei bollettini è cambiato. «Dal 25 gennaio 2023 i dati relativi alla copertura vaccinale e alla stima dell’efficacia vaccinale non vengono più pubblicati nel presente report», ha comunicato l’Iss nel suo rapporto esteso datato 1 febbraio 2023 e pubblicato il 3 febbraio. «Viene prodotto, invece, un documento mensile contenente una stima del rischio assoluto di infezione da Sars CoV-2 (sintomatica e asintomatica) e di malattia grave, che tiene conto non solo dello stato vaccinale ma anche di una eventuale infezione pregressa». Tutto bellissimo se non fosse che, del famoso «documento mensile», non c’è traccia. Dopo quello di febbraio e un altro report relativo al periodo 2 gennaio-5 febbraio 2023 e reso pubblico tre mesi dopo, il 21 aprile 2023, l’Iss non ha pubblicato più nulla. Non doveva essere mensile? Dopo report a singhiozzo (prima mensili, poi trimestrali, infine quando capitava), i dati sulle segnalazioni di sospette reazioni avverse ai vaccini anti covid, gestiti dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) presieduta da Giorgio Palù, sono confluiti nel Rapporto sulla sorveglianza post-marketing di tutti i vaccini, pubblicato però soltanto una volta l’anno. Insomma: crescono le segnalazioni e aumenta la pressione vaccinale, mentre magicamente i dati sugli effetti collaterali sono meno disponibili. Nel più perfetto dei «mondi al contrario», non poteva andare diversamente.
Un Centro di assistenza fiscale (Ansa)
È l’incredibile storia della Società di servizi Cgil Sicilia srl, nata per organizzare sul territorio siciliano i servizi dei Caf, l’assistenza fiscale, controllata dalla Cgil Sicilia e da una serie di Camere del lavoro del sindacato sparse sul territorio dell’isola, che la trasmissione di Rai 3 Lo Stato delle cose, condotta da Massimo Giletti, racconterà nella puntata in onda stasera alle 21.30.
Nel servizio, realizzato dall’inviato Alessio Lasta, una frase, pronunciata dal commercialista Giannicola Rocca, già presidente della commissione crisi e risanamento di impresa dell’Ordine dei commercialisti di Milano, riassume meglio di tutte la situazione della società controllata dal sindacato guidato da Maurizio Landini. Chiamato dalla trasmissione ad analizzare i bilanci, Rocca ha riassunto così lo stato dei conti della Società di servizi Cgil Sicilia srl: «Se posso sintetizzare, questa è una società che si è finanziata non versando i contributi».
Come detto, il principale creditore della Società di servizi Cgil Sicilia è l’Agenzia delle entrate, che vanta pendenze per circa 3.350.000 euro per mancato versamento di contributi di assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia, superstiti e infortuni sul lavoro, ovverosia tutta la parte contributiva e assistenziale che la società deve versare obbligatoriamente per legge a Inps e Agenzia delle entrate per la tutela dei lavoratori. Altri 377.000 euro riguardano crediti per tributi diretti dello Stato, per imposta sul valore aggiunto e contributi degli enti locali non versati. Gli altri creditori sono l’Istituto di case popolari di Enna e due privati, un professionista e un dipendente a tempo determinato.
Secondo quanto ricostruito nel servizio, quest’ultimo, un ex addetto alle pratiche del Caf, deve ricevere 150.000 euro. Per l’ex presidente del consiglio d’amministrazione della società, Giuseppe La Loggia, oggi a capo dell’Inca (Istituto nazionale confederale di assistenza) della Sicilia, però è tutto a posto. Anche se di fronte alle domande dell’inviato Alessio Lasta, che gli chiedeva conto del motivo per cui la società non abbia pagato contributi Inps e Inail ai lavoratori e non abbia versato l’Iva, il sindacalista ha manifestato un notevole nervosismo. I due si incontrano in un centro congressi di Aci Castello, vicino a Catania.
L’occasione è un’assemblea della Cgil siciliana, alla quale partecipa anche il segretario nazionale Landini. L’inviato e La Loggia si sono già conosciuti in occasione di un precedente servizio della trasmissione che, a quanto pare, il sindacalista non ha gradito, tanto che inizialmente cerca di allontanare il giornalista in maniera sbrigativa: «Sei stato stronzo a fare quello che hai fatto, eravamo rimasti che ci dovevamo vedere e tu hai mandato il servizio», dice a Lasta davanti alla telecamera. E quando il giornalista gli fa notare che ci sono più di 3 milioni di debiti per i contributi non versati, il sindacalista risponde sprezzante: «E qual è il problema?». E alla domanda «Lei era presidente del consiglio di amministrazione, questa società è fallita», risponde con una frase che ha quasi dell’incredibile: «Come tante società falliscono in Italia, quindi qual è problema? L’amministravo? Mi assumo le mie responsabilità».
Che, a quanto pare, non sono un ostacolo al ruolo di responsabile regionale dell’Inca in Sicilia, sul cui sito, ironia della sorte, si può leggere la frase: «L’Inca tutela e promuove i diritti riconosciuti a tutte le persone dalle disposizioni normative e contrattuali - italiane, comunitarie e internazionali - riguardanti il lavoro, la salute, la cittadinanza, l’assistenza sociale ed economica, la previdenza pubblica e complementare».
E anche per Landini, la situazione della Società di servizi Cgil Sicilia non sembra essere un grosso problema. «Sono state fatte delle cose non buone, non a caso si è intervenuti, stiamo gestendo la liquidazione». Una risposta che sembra non tenere a mente che a gestire la liquidazione, su richiesta della Procura di Catania, accolta dal tribunale, è un liquidatore giudiziario.
Per Landini, però, «il problema adesso non è guardare se ci sono stai degli errori, il problema è se chi ha visto gli errori si è assunto la responsabilità di intervenire». Ma alla domanda sull’opportunità che La Loggia sia a capo dell’Inca, il segretario confederale replica: «Qui, localmente, noi stiamo gestendo tutto il rapporto con il tribunale, stiamo facendo tutto quello che c’è da fare. Noi stiamo mettendo a posto tutte le cose».
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Ansa
Cinque giorni di sciopero con la città bloccata dai sindacalisti. «È stata, però, una mobilitazione di lotta necessaria, non solo per la difesa di più di 1.000 posti di lavoro ma anche per tutta Genova. Abbiamo strappato un’importante continuità produttiva per lo stabilimento di Cornigliano, almeno fino a febbraio Cornigliano non chiude e con esso continua a vivere la città e il quartiere». Lancio di fumogeni e uova contro gli agenti, mezzi di lavoro contro le reti di protezione, stazione di Brignole occupata oltre agli insulti sessiti al premier Giorgia Meloni per la Cgil sono stati «disagi», non certo una guerriglia urbana molto vicina a una rivolta sociale.
Inoltre, nessun accenno alle polemiche e alla degenerazione scaturita venerdì scorso quando una parte della Fiom e alcuni esponenti politici hanno indetto uno sciopero territoriale a cui la Uilm non ha aderito. «Noi partecipiamo agli scioperi proclamati dalle organizzazioni sindacali legittimate, non da partiti politici o da singoli esponenti», aveva spiegato il segretario generale Uilm, Rocco Palombella, riferendosi alla proclamazione attribuita all’ex dirigente Fiom, Franco Grondona. Comunque, pur non partecipando all’assemblea dei lavoratori delegati e sindacalisti, si erano avvicinati ai cancelli dello stabilimento e lì «sono stati presi a calci e pugni da individui con la felpa Fiom. Un’azione premeditata di Lotta continua», aveva commentato Antonio Apa, segretario generale della Uil Liguria. «Un attacco squadrista», aveva rincarato la dose il segretario generale della Uil Liguria, Riccardo Serri.
A rimetterci, il segretario generale della Uilm Genova, Luigi Pinasco, raggiunto da alcuni cazzotti e da una testata, mentre il segretario organizzativo Claudio Cabras aveva ricevuto colpi al petto e a una gamba. Entrambi, finiti al pronto soccorso, hanno poi presentato denuncia in questura. E benché il leader nazionale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, abbia parlato di «episodio squadrista che rischia di portare a derive vicine al terrorismo», dai colleghi di Cgil e Cisl non è arrivata alcuna condanna. Anzi, in una nota congiunta del leader Maurizio Landini e del segretario generale della Fiom, Michele De Palma, si legge: «Il forte clima di tensione al presidio sindacale non può essere in alcun modo strumentalizzato né, tanto meno, irresponsabilmente associato al terrorismo. La Fiom e la Cgil si sono sempre battuti contro il terrorismo e per affermare la democrazia, anche a costo della perdita della vita come accaduto proprio all’ex Ilva di Genova al nostro delegato Guido Rossa. Restiamo impegnati a ripristinare un clima di confronto costruttivo e di rispetto delle differenze per dare una positiva soluzione alla vertenza ex Ilva, in sintonia con le legittime aspettative di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori rese manifeste dallo sciopero dei metalmeccanici tenutosi a Genova».
Quasi fosse responsabilità dei sindacalisti Uil, il segretario Landini ha minimizzato l’episodio così come continua a non voler vedere il distacco con la Uil, prima sempre al fianco della Cgil per scioperare e, soprattutto, attaccare il governo. Un fatto grave che non ha meritato parole di solidarietà. Fim e Fiom si scusano con i genovesi per i pesanti disagi provocati per la loro mobilitazione sul futuro dell’ex Ilva ligure ben sapendo che nell’ex Ilva di Taranto è proprio la Uilm il primo sindacato.
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La scritta apparsa a Marina di Pietrasanta (Ansa)
La polizia del commissariato di Forte dei Marmi ha avviato gli accertamenti per individuare i responsabili e sta verificando la presenza di telecamere nella zona che possano aver ripreso l’autore o gli autori del gesto. Non il primo ai danni del presidente del Consiglio, ma sicuramente annoverabile tra i più violenti.
Risale ad appena pochi mesi fa l’altra scritta che aveva suscitato parecchia indignazione: «Meloni come Kirk». Una frase per augurare al premier la fine dell’attivista americano Charlie Kirk, morto ammazzato durante un comizio a causa di una pallottola. Un gesto d’odio che evidentemente alimenta altro odio. La frase di Marina di Pietrasanta potrebbe essere una risposta a un’altra frase, pronunciata da Giorgia Meloni lo scorso 25 settembre in occasione di Fenix, la festa di Gioventù nazionale, partendo da una considerazione proprio sui post contro Charlie Kirk: «Non abbiamo avuto paura delle Brigate rosse, non ne abbiamo oggi». Fdi ha diffuso una nota dove si parla di «minacce al presidente Meloni, firmate dall’estremismo rosso: l’ennesima prova di un clima d’odio che qualcuno continua a tollerare». Nel testo si ribadisce che «la violenza si argina isolando i facinorosi, non strizzando loro l’occhio. La condanna unanime resta, per certa sinistra, ancora un esercizio difficile. Non ci intimidiscono. Non ci hanno mai intimidito». Anche la Lega ha espresso immediatamente la sua solidarietà al presidente del Consiglio. «Una frase aberrante, una minaccia di morte tutt’altro che velata. Auspichiamo una condanna unanime e bipartisan. Un clima d’odio inaccettabile che non può essere minimizzato», ha commentato Andrea Crippa, deputato toscano del Carroccio.
«Un gesto vile che conferma un clima di odio politico sempre più preoccupante. Da tempo denuncio questa deriva: nessun confronto può giustificare incitamenti alla violenza», commenta il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Parole di vicinanza e di condanna anche da parte del ministro della Salute, Orazio Schillaci, e dal ministro della Cultura, Alessandro Giuli: «Un gesto intimidatorio inaccettabile».
«Ha ragione il ministro Crosetto: c’è il rischio di trovarsi da un giorno all’altro con le Brigate rosse 4.0 se si continuerà a minimizzare l’offensiva di violenza dell’estrema sinistra», sostiene il capo dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri. «Piena solidarietà al Presidente del consiglio Giorgia Meloni per la scritta minacciosa», commenta Paolo Barelli (Fi): «È indispensabile uno stop immediato a questo clima avvelenato: serve una condanna unanime e trasversale, e occorre abbassare i toni per riportare il dibattito pubblico entro i confini del rispetto».
Per Maurizio Lupi, presidente di Noi Moderati, si tratta di un fatto «gravissimo che va condannato senza ambiguità: evocare le Brigate rosse significa richiamare una stagione buia che l’Italia non vuole e non deve rivivere». Solidarietà anche da Maria Stella Gelmini .
Durissima la presa di posizione dell’Osservatorio nazionale Anni di Piombo per la verità storica, che parla di «atto infame» e di un gesto che «evoca la stagione del terrorismo e delle esecuzioni politiche».
Giornaliste italiane esprime «la più ferma condanna» per il gesto invitando «tutti i colleghi giornalisti, i media, le forze politiche, i rappresentanti della società civile a condannare e non far calare il silenzio su un episodio che colpisce le nostre istituzioni. Contribuire, ciascuno nel proprio ambito, alla costruzione di un clima pubblico rispettoso, lontano da logiche che alimentano tensioni e contrapposizioni assolute è una responsabilità che coinvolge tutti». Da Pd, Avs e M5s silenzio assoluto.
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