2023-01-10
Una Rsa su quattro non è a norma. E c’è chi respinge i non vaccinati
Con il Covid meno controlli e maggiori poteri ai direttori. Che spesso adottano misure più restrittive di quelle indicate dal governo. L’inchiesta di Natale dei Nas: scarsa igiene, stanze sovraffollate e medicinali scaduti.Si ritorna a parlare di Rsa, questa volta per un’indagine dei Nas condotta durante le festività natalizie. Il quadro che emerge è allarmante: su 607 realtà ispezionate su tutto il territorio nazionale, tra Residenze sanitarie assistenziali, Case di riposo, Comunità alloggio e Case famiglia, ben 152 presentano irregolarità. Salta all’occhio, ma è bene esplicitarlo: stiamo parlando di un quarto delle strutture. L’operazione, avviata di concerto con il ministero della Salute, è stata intenzionalmente svolta tra Natale e Capodanno, periodo in cui la domanda di ospitalità presso i centri di assistenza cresce, ma a cui non sempre fa seguito il mantenimento di un livello assistenziale adeguato. Gli illeciti segnalati dai Carabinieri riguardano diversi aspetti, tra cui carenze igienico/strutturali e autorizzative, presenza di un numero di ospiti superiore alla capienza autorizzata, utilizzo di dispositivi medici e farmaci scaduti. Non è difficile immaginare le radici di una simile deriva. Negli ultimi tre anni il delirio generato dal Covid ha trasformato le Rsa in roccaforti sigillate. In assenza di visite, nessuno controlla la qualità dei servizi offerti agli ospiti o raccoglie le lamentele degli anziani, coi risultati che l’indagine appena condotta mette bene in evidenza. Per diverso tempo, infatti, sono state inibite le visite ai parenti, o quantomeno sottoposte alla discrezionalità dei direttori sanitari delle strutture, per nulla interessati ad assumersi la responsabilità di eventuali focolai. Da maggio del 2021, poi, gli accessi sono stati subordinati al possesso della Carta verde, che - com’è noto - forniva «la garanzia di trovarsi tra persone non contagiose». In base a questi presupposti - sulla cui veridicità non è più necessario spendere parole - l’8 maggio 2021 l’allora ministro Roberto Speranza riapriva le visite nei centri ai parenti dotati di green pass (qualche mese dopo sarebbero state limitate ai soli possessori della versione rafforzata). «Ho firmato l’ordinanza che consentirà le visite in piena sicurezza in tutte le Rsa», disse con giubilo al momento della promulgazione. Seppur vaccinati (le contraddizioni non sono mai mancate), ospiti e visitatori erano però tenuti a osservare rigide regole di protezione individuale e di distanziamento fisico. Al punto che, nel documento allegato che descriveva nel merito il protocollo cui attenersi, si leggeva che il contatto fisico tra visitatore e ospite poteva essere preso in considerazione solo «in particolari condizioni di esigenze relazionali/affettive» ed esclusivamente «tra familiare/visitatore in possesso della Certificazione Verde Covid-19 e di ospite/paziente vaccinato o con infezione negli ultimi 6 mesi, fatte salve diverse motivate indicazioni della direzione sanitaria [...]». Al di là del malessere che suscita leggere oggi queste righe, l’ultima frase è piuttosto rilevante: su questa misura come su tutte le altre, i direttori sanitari degli istituti hanno sempre avuto e tuttora hanno ampi margini di discrezionalità, nel senso di poter agire in maniera più restrittiva, qualora da loro ritenuto necessario, rispetto alle misure adottate dal governo. E il delirio, infatti, prosegue ancora oggi. Dopo esser venuti a conoscenza di un caso avvenuto circa un paio di settimane fa, quando un’anziana allettata di 86 anni è stata rifiutata da due Rsa della provincia di Milano perché non vaccinata, La Verità ha telefonato ad alcune strutture della zona per capire meglio la regolazione degli accessi. Nella maggior parte dei casi la riposta è stata, con un po’ di titubanza, di presentare la domanda di ammissione, che sarebbe passata poi al vaglio del direttore sanitario del centro. Un caso particolarmente interessante è quello di una struttura che ammette i non vaccinati ma li costringe a un inserimento più gravoso: dieci giorni di regime di sorveglianza, che vuol dire consumare i pasti in stanza e potervi uscire solo indossando la mascherina Ffp2, contro i cinque dei vaccinati. Al di là di simili stranezze (che urtano per la loro totale arbitrarietà, non essendo supportate da alcuna evidenza empirica), il punto è che questi spazi di discrezionalità (non c’è nessuna norma a vietare l’ingresso dei no vax) alimentano discriminazioni pesanti non solo dal punto di vista psicologico, ma anche logistico. Siccome le Rsa non sono disseminate come i supermercati, se per trovare un centro che accolga un proprio parente occorre spostarsi di diversi chilometri, quando invece si potrebbe farlo soggiornare in una residenza vicino a casa, la faccenda si appesantisce tanto per le famiglie quanto per gli anziani. Che poi i direttori sanitari, in mancanza di specifiche direttive dall’alto, possano dimostrarsi restii ad accettare pazienti non vaccinati è anche comprensibile, per quanto eticamente intollerabile. Innanzitutto per una questione d’immagine, visto che dopo due anni di martellamento mediatico molte persone sono ancora convinte che vaccinare sé stessi protegga gli altri, e quindi potrebbero preoccuparsi per i loro cari qualora venissero a sapere di ospiti non inoculati. In secondo luogo per ragioni meramente economiche: un paziente non vaccinato ha forse più probabilità di morire in caso di contagio e, di conseguenza, la sua quota per le casse della struttura sarebbe più a rischio.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)