2023-08-28
Roy De Vita: «Non esiste un’unica verità. È vitale poter avere dei dubbi»
Nel riquadro, Roy De Vita (Ansa)
Il medico: «Nella mia professione tutto deve sempre essere in discussione, ma col Covid non è stato così». Il libro scandalo? «Sono le promesse elettorali non mantenute di Fdi».Roy De Vita, primario della divisione di Chirurgia plastica dell’Istituto dei tumori di Roma Regina Elena, è stato uno dei pochi medici di fama a esprimere pubblicamente perplessità e dubbi sulla gestione dell’emergenza pandemica. Ha sfidato il «sanitariamente corretto», e non ha smesso di utilizzare il pensiero critico anche di fronte ad altre e più recenti emergenze. «Ciò che mi ha sempre sorpreso», dice alla Verità parlando del Covid, «è che all’epoca nessuno sapeva niente di niente ma c’erano alcuni che avevano la verità in tasca. Questo mi ha fatto scattare l’esigenza di dire qualcosa, di parlare. Il nostro mestiere è fatto essenzialmente di dubbi. Io sono un primario di chirurgia plastica, quindi sono un clinico e non un ricercatore puro, ma ciò non toglie che nel mio settore, la medicina in senso ampio, tutto è sempre in discussione. Quello che oggi è vero domani potrebbe non esserlo. Il dubbio è il fondamento della nostra attività». Bene anzi benissimo il dubbio. Ma sul Covid abbiamo ormai da un po’ anche molte certezze. Che spesso però non vengono riconosciute. Si spera che qualche verità esca dalla Commissione d’inchiesta Covid, che però deve ancora partire. «La commissione d’inchiesta è un atto politico, inutile che ce lo nascondiamo. Dunque non mi aspetto granché. Farei piuttosto una commissione di studio sugli eventi avversi che sono obiettivamente un po’ troppi rispetto a quelli che ci si doveva aspettare, soprattutto in una certa fascia di popolazione. Perché non c’è curiosità rispetto a una cosa del genere?». Ha perfettamente ragione. Resta che la commissione Covid, ad oggi, è l’unico strumento istituzionale di indagine a disposizione. Dunque credo che si debba quasi per forza avere fiducia. «Sono d’accordo con lei, ma la commissione d’inchiesta cosa deve andare a tirar fuori? Indagherà sui banchi a rotelle, probabilmente, o magari sulle mascherine. Io non voglio dire che non siano cose importanti, ma non sono sostanziali rispetto all’importanza dei temi legarti al vaccino». Infatti io mi auguro sinceramente e continuo a chiedere che il lavoro della commissione vada molto oltre i banchi a rotelle e si occupi anche di ciò che ha detto lei. «Ci sono questioni a cui nessuno sta pensando. Le faccio un esempio. Io mi sono laureato nel 1981, per cui sono 41 anni che faccio questo mestiere, anzi 42. Ho visto tante persone con herpes zoster, il famoso fuoco di Sant’Antonio. Ma di persone che avessero un herpes zoster del volto, con un dolore notevole, in oltre 40 anni non ne avevo mai viste. Tutti mi avevano parlato di problemi che riguardavano il dorso, il torace, l’addome, ma mai il volto. Ebbene, nel maggio dell’anno scorso avevo cinque amici, di cui uno era anche un mio stretto collaboratore, il mio aiuto in ospedale, che erano stati colpiti da herpes zoster del volto. Alcuni di loro hanno avuto anche degli esiti abbastanza importanti e invalidanti che si portano dietro nel tempo. Credo che fatti come questi andrebbero valutati con maggior senso critico e con più dati a disposizione, ma si fa finta che non sia successo nulla». Questo è il motivo per cui continuiamo a insistere sull’argomento. Però bisogna dire la verità: complici di questo occultamento, chiamiamolo così, sono stati tanti suoi colleghi. Che ancora adesso si mettono in mostra in tv o sui social discettando di tutto. «Le dico questo. Io sono un signore conosciuto, lo sono da anni. Insomma sono popolare. Ci sono stati anche momenti in cui non lo ero affatto, ovviamente. Ebbene: il fatto che la gente ti riconosca per strada, che sappia tu chi sei, è indubbiamente gratificante. Il problema è che quando ti abitui, se non sei una persona equilibrata, questa cosa può essere dannosa. Perché in qualche modo la vuoi alimentare, vuoi tenere acceso il fuoco perché non ti piace che all’improvviso la gente si dimentichi di te. La mia sensazione è che questi signori di cui stiamo parlando siano stati inebriati da questa popolarità che gli è piovuta addosso. Avevano rubriche fisse in trasmissioni, venivano chiamati e rispondevano a tutti gli inviti al punto tale che mi sono chiesto più volte quando potessero lavorare, se in quattro momenti diversi della giornata erano in quattro trasmissioni». Alcuni colleghi, o colleghe, in tv ci sono anche ora. A parlare magari di vino o altri temi d’attualità. «Una delle persone a cui fa cenno lei disse che Luc Montagnier era un imbecille. Va bene che ci si può anche rincretinire con gli anni, ma Montagnier era comunque un premio Nobel. Quindi un minimo di rispetto sarebbe dovuto, se non altro per via del riconoscimento». Funziona così anche nel discorso sul clima. Se ripeti gli slogan prevalenti, vai bene a prescindere dalle tue competenze. Se esponi tesi diverse, vieni screditato anche se hai vinto il Nobel. «Nelle mie chiacchierate mi sono sempre limitato a parlare di cose che erano legate al mio mestiere, per quanto abbia le mie idee anche sulla guerra o sul clima. L’ho fatto perché c’erano cose che gridavano vendetta a Dio. Io ho preso il Covid nel novembre del 2020, in maniera seria, sono stato ricoverato due settimane allo Spallanzani e ho rischiato. In ogni caso, una volta guarito, ho avuto una risposta anticorpale elevatissima. Eppure sono stato costretto a vaccinarmi, sono stato obbligato a farlo, non avrei potuto lavorare altrimenti. Ora, se una persona che fa il medico non si pone delle domande su cose come queste, diciamo che per lo meno è molto distratto».Lei ha citato prima il libro di Vannacci. Mi pare che anche in questo caso ritorni il solito metodo, la solita divisione in buoni e cattivi… «Di argomenti divisivi ne abbiamo avuti tantissimi. Abbiamo avuto, in progressione, il Covid con annesso green pass, poi la guerra, poi il clima… Sul libro di Vannacci mi permetto di fare alcune considerazioni da privato cittadino dotato di pensiero critico. Per prima cosa mi è dispiaciuto enormemente che una persona intelligente, seria, e corretta quale il ministro Crosetto sia caduta in un trappolone pazzesco, perché questo è quello che è accaduto. Il casino l’ha creato il ministro della Difesa, con la sua affermazione sulle parole farneticanti del generale. Fare un’affermazione del genere senza aver letto mezza riga, perché in quel momento il ministro non aveva letto niente, è segno di un’imprudenza che io non riconosco in Guido Crosetto. Per cui c’era una sola cosa che può essere accaduta: che qualcuno gli avesse suggerito di mantenere una posizione di un certo tipo». Ne abbiamo scritto, infatti. «La seconda considerazione che voglio fare è che Vannacci, prescindendo dal fatto che possa essere condivisibile o meno quello che dice nei contenuti, non utilizza mai forme aggressive, non è mai eccessivamente sopra le righe. Parlo dei toni. E poi siamo onesti: quel che Vannacci dice è il programma elettorale che aveva presentato Fratelli d’Italia. Non è che abbia detto cose diverse. Parla degli inquilini che occupano abusivamente le case di proprietà, parla della mancanza di sicurezza, parla dell’immigrazione, parla di tutti i temi di cui la destra si era fatta in qualche maniera portavoce e sulla quale aveva raccolto i voti. E queste cose le ha disattese più o meno tutte. Per questo l’altro giorno ho fatto un tweet provocatorio». Quale? «Quello in cui ho detto che questo governo di destra vive una sudditanza culturale terrificante, è evidenziata dal fatto che voglia in tutti i modi piacere alla sinistra. Penso che ci sia un complesso di inferiorità nei confronti della sinistra che si manifesta in queste cose, nel dover in qualche modo compiacere l’altra parte. Ma non penso che questo sia il modo giusto di procedere. E soprattutto non è quello che ti chiede l’elettorato: quelli che tu non devi mai tradire sono gli elettori, perché sono quelli che ti hanno messo lì».
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)