2021-08-06
Rossi annuncia il ritiro, finalmente Il più grande si arrende all’evidenza
The Doctor: «È dura dirlo, ma mi fermo a fine stagione. Forse correrò sulle auto»Meglio il mito o la moto? Per noi pedoni dell’esistenza è un’alternativa «quattro verticale» della Settimana Enigmistica, per Valentino Rossi era la domanda della vita. A poche ore dal Gp di Stiria ha trovato la risposta: «Ho deciso di fermarmi. Lo farò a fine stagione. È dura immaginare che non correrò più e la mia vita cambierà. È stata la decisione più difficile, avrei voluto correre per altri 25 anni ma è arrivato il momento di dire basta». Ha la tuta slacciata e gli occhi umidi, nessuno sa mai com’è vestito quando arriva il momento di salutare. Nove volte campione del mondo, unico nella storia in quattro classi differenti, 30 anni in sella a un bolide a due ruote e un fremito di malinconia che da tre o quattro anni gli attraversava la mente: quella di entrare nella foto ricordo. È una maledizione per tutti, per i campioni dello sport ancora di più. Lo ha detto qualche giorno fa Aldo Montano a Tokyo, dopo l’ultima impresa con una sciabola in mano: «Non ho avuto paura di battermi a 42 anni, ma ho paura di ciò che arriverà domani quando vestirò in borghese». Preciso a Rossi. È tutto qui, la normalità è un Everest per chi ha vissuto di eccezioni. Il più grande di sempre spegne il motore e fa bene. A 42 anni o impari ad annodarti una cravatta o sembri un nonno dei fiori. Essere ancora lì a lottare per una qualifica e per vedere i glutei in piega di ventenni feroci gli fa onore, è la dolce sindrome del vecchio e il mare. Ma ha senso? Valentino ha finalmente deciso che non ne ha più, ma ci ha anche detto che non rimarrà solo con un cronometro su una spiaggia al tramonto. «È stato tutto grandioso, mi sono divertito moltissimo. È stato un percorso lungo e indimenticabile. Ogni volta che guardo i volti dei ragazzi del mio team vedo i nostri successi, la nostra fatica. E la mia vita. Penso al futuro, adoro correre con le auto, forse appena meno che con le moto. Quindi penso che correrò con le auto, ma è ancora un processo in corso». C’è qualcosa di definitivo in queste frasi perché il Sunset Boulevard è lunghissimo ma a senso unico, e in fondo a Los Angeles c’è qualcuno che non riceve mai la posta. Nove volte campione del mondo ma l’ultima 12 anni fa, 115 volte primo in gara, 400 milioni di guadagno dal 2000 (calcolo di Forbes); icona pop di un mondo con le basette, il ruggito di Easy Rider e la bambola gonfiabile sul sedile posteriore; soprattutto geniale, inarrivabile, gentile simbolo dello sport italiano nel mondo, il numero 46 si trova davanti alla porta d’uscita del Truman Show. Lo rimpiangeranno in tanti. I tifosi che impazzivano per lui, gli sportivi che si sono avvicinati alle moto grazie a lui, il circo Barnum che senza di lui vale meno. Il Venerando è ancora oggi l’uomo che fa la differenza nei contratti. «Vende più moto, più merchandising, più biglietti, più contratti tv lui rispetto a tutti gli altri», ha messo le mani avanti Simon Patterson, guru mediatico delle corse, firma di Motorcycle News. Sports Illustrated ha calcolato che scendendo dal sellino Rossi farebbe perdere al mondo della MotoGp un terzo del fatturato. Non è più un suo problema, meglio il mito.