2024-01-16
Mourinho lasciato a casa dalla Roma. Non era più «special», però ha vinto
Anche se ha perso il tocco magico dei tempi del triplete, il tecnico aveva conquistato un trofeo internazionale. Ma la crisi nera della squadra ha spinto i Friedkin a cacciarlo. Panchina a Daniele De Rossi, che chiude il suo cerchio. Guai a paragonare José Mourinho a Giulio Cesare. Una Conference League non equivale alla conquista delle Gallie e una finale perduta con molti episodi dubbi in Europa League non corrisponde alla traversata del Rubicone. Eppure alea iacta est, il dado è tratto. Quei barbari d’oltreoceano dei Friedkin - i proprietari americani della Roma - sono stati dei Bruti, esonerando lo Special One e privando la tifoseria giallorossa di un condottiero dalla favella immaginifica e dalla tattica catenacciara, capace però di far sognare una città che non fremeva così dai tempi in cui Fabio Capello acciuffò uno scudetto fragoroso sotto la presidenza di Franco Sensi. Con Mourinho licenziato, la squadra sarà guidata da Daniele De Rossi, romano doc vissuto all’ombra del Pupone Francesco Totti, stavolta pronto a prendersi quegli spazi che era già riuscito a riempire, ma mai del tutto, nel cuore dei sostenitori. Fatale per l’allenatore portoghese è stata la scoppola buscata contro il Milan domenica scorsa a San Siro. Un 3-1 sonoro, una Roma mai capace di costituire un pericolo vero contro avversari rossoneri indomiti ma quest’anno zeppi di falle nella manovra e nei muscoli. Il girone d’andata della Roma non è stato formidabile: 29 punti, nona posizione in Serie A, una distanza siderale dal quarto posto utile per agganciare il treno della Champions League, non scordando la sconfitta nel derby di Coppa Italia. Mourinho contava ancora sull’apporto affabulatorio delle sue incursioni in conferenza stampa, sulla sua capacità di organizzare la difesa e poi, alla bisogna, di far entrare tutti gli attaccanti della rosa se necessitava un gol. Oltre che sulla sua costante qualità che gli è valsa gloria imperitura: l’eccellente esito dei tornei d’Europa. Quando conquistò due anni fa la Conference League, coppa a dire il vero modesta, Roma fu presa d’assalto da tifosi inebriati dal trionfo. Lo stesso stava per accadere l’anno scorso nella finale di Europa League: una partita drammatica, da gladiatori nell’arena, con l’andaluso Fernando che tocca la palla col braccio sul cross di Spinazzola. Per l’arbitro non è rigore, dice che il braccio era attaccato al corpo. Ancora oggi persistono molti molti dubbi. Si andò ai rigori, Rui Patricio parò un penalty a Montiel, ma l’esecuzione venne fatta ripetere: una bolgia, la Roma perse. Se, come avrebbe meritato, quel trofeo lo avesse messo in bacheca, forse oggi il tecnico lusitano sarebbe ancora al suo posto. Del resto, a lui si deve l’approdo di Romelu Lukaku a settembre a rimpolpare i ranghi di un attacco orfano di Abraham e con un Dybala talentuoso e dal guizzo creativo, ma a mezzo servizio. Dietro di loro, il deserto dei tartari. Stephan El Sharaawy è un prestigiatore che troppe volte svela i suoi trucchi, Belotti un gallo combattivo, ma che canta poco. Il centrocampo ha l’argentino Paredes dal piede educato ma mai troppo incisivo, e poi i mestieranti Cristante, Bove, Spinazzola non più dirompente come un tempo, una difesa fatta di centrali fragili. La Roma è priva di un gioco propositivo in fase di costruzione e questo penalizza l’ariete belga, ma la rosa a disposizione - complice pure l’impossibilità di realizzare una campagna acquisti completa per i paletti imposti dalla Uefa - ricorda una lancia spuntata. L’addio del direttore sportivo Tiago Pinto aveva fatto suonare l’allarme già qualche settimana fa: il transatlantico capitolino rischiava di essere condotto in porto da un altro capitano. Una girandola di reazioni ha ieri circondato Trigoria. Alcuni tifosi si sono presentati armati di volantini contro i Friedkin mentre il tecnico salutava il centro sportivo capitolino. Ryanair pubblicava un post sui social colmo d’ironia: «Ultima chiamata per José Mourinho, il tuo volo da Roma per Ovunque imbarcherà a breve». Ettore Viola, figlio dello storico presidente Dino Viola, si schiera con il mister esonerato: «Un fulmine a ciel sereno. L’attaccamento della curva a Mourinho è stato impagabile e sorprendente, e non credo che adesso, con l’arrivo di De Rossi, possiamo pensare di vincere il campionato. Si poteva arrivare fino a giugno con Josè». Gli fa eco Fabio Capello dai microfoni Sky: «Penso che queste società americane lavorino senza rispettare le persone con cui collaborano. Lo abbiamo visto al Milan con Maldini e oggi a Trigoria con Mourinho. Non c’è sensibilità dalle loro parti, solo business. Io invece penso che serva rispetto, magari accordandosi prima e separatamente e non con un comunicato e una telefonata». Di diverso avviso Marcello Lippi: «De Rossi è un ragazzo straordinario, una persona positiva. Sono sicuro che trasmetterà ai suoi giocatori qualità importanti e cose positive, gli auguro di cuore di fare bene», assieme all’ex attaccante polacco Boniek: «L’esonero di Mourinho è una scelta coraggiosa, impopolare ma intelligente». Ci sarà rimasto male il diciottenne Dean Huijsen, arrivato in prestito dalla Juve: aveva scelto i giallorossi convinto proprio dalle parole di Mou. Esattamente come Dybala, che stando agli spifferi dello spogliatoio avrebbe preso malissimo l’allontanamento del tecnico portoghese. Nel frattempo, con la felpa targata «Ddr», che non significa essere nostalgici della Stasi, Daniele De Rossi ha diretto il suo primo allenamento a Trigoria. «Desidero ringraziare la famiglia Friedkin per avermi affidato la responsabilità della guida tecnica della Roma: l’emozione di sedere sulla nostra panchina è indescrivibile», ha dichiarato. Per lui è pronto un contratto di sei mesi con opzione di rinnovo in caso di conquista di un posto in Champions League.
Jose Mourinho (Getty Images)