2022-11-01
Roccella sotto tiro perché sull’aborto sono in disaccordo pure fra femministe
Eugenia Roccella (Imagoeconomica)
Il ministro è un bersaglio poiché è pericoloso per la narrativa secondo cui, per tutte, l’interruzione di gravidanza è un diritto.Il ministro Eugenia Roccella è da giorni e giorni il bersaglio preferito della stampa e dei partiti di sinistra, con l’accusa di voler abolire o distruggere, in chissà quale maniera, la legge 194. Poco importa che si tratti di un tema che non riguarda lei, ma semmai il ministro della Salute e, soprattutto, il Parlamento. Neppure interessa che nell’attuale maggioranza nessuno voglia toccare la 194, o per convinzione (ci sono molti abortisti anche nel centrodestra) o in qualche caso perché lo si ritiene oggettivamente «impossibile», dato il contesto culturale odierno. Nella guerra politica ci sono delle persone, dei simboli, da abbattere, e Roccella lo è. Perché è un’altra donna non di sinistra al governo, e perché per il suo passato radicale è considerata una traditrice. Come tale va abbattuta, delegittimata, mostrificata, come monito per tutti. Al centro del polverone, un concetto molto semplice: Roccella dice di aver imparato dal femminismo della differenza che l’aborto non è un diritto, ma semmai un dramma. Come tale da rendere il meno frequente possibile. In diversi attacchi al neoministro ritorna un libro di Cisa e Mld del giugno 1975, proprio a cura dell’allora radicale Eugenia Roccella, intitolato: Aborto. Facciamolo da noi.Ala luce di questo saggio, acriticamente a favore dell’aborto «libero e gratuito in strutture sanitarie pubbliche», Roccella viene accusata di aver tradito la sua storia e di mentire. All’epoca - questo è il rimprovero - dicevi ben altro. In verità proprio leggendo quel libretto si capisce bene come negli anni Settanta il femminismo non fosse affatto monolitico. Vi sono infatti riportate, a partire da pagina 32, alcune dichiarazione dell’Udi, l’Unione delle donne italiane - forse la più nota e numerosa associazione femminista italiana, che ebbe tra i suoi membri Rita Montagnana e moltissime altre donne del Pci - di questo tenore: «I fautori della liberalizzazione dell’aborto lo presentano come libertà di non avere figli prescindendo spesso dalle cause del fenomeno e dalle conseguenze che esso determina. Questa posizione che agli sprovveduti può sembrare avanguardista, in realtà come mezzo di controllo delle nascite già presenta una posizione conservatrice… I sostenitori della liberalizzazione propugnano l’aborto in nome della libertà della donna. Niente di più falso. Se c’è qualcosa che contrasta con il libero estrinsecarsi della personalità femminile ciò è proprio la pratica abortiva… Teorizzare l’aborto come controllo delle nascite significa liberare definitivamente l’uomo da ogni responsabilità». Le donne dell’Udi, per lo più femministe e di sinistra, erano molto spaventate dall’idea che l’aborto divenisse un mezzo di «controllo delle nascite» e fosse la scusa, per gli uomini, per lavarsi le mani davanti ad una gravidanza non voluta: «Il bambino è tuo e te lo gestisci tu, io non ci sono più».È chiaro dunque che l’assunto «tutte le femministe sono per l’aborto come diritto» è assolutamente falso: storicamente molte di loro, come per esempio Lina Merlin, sono state del tutto contrarie, mentre molte altre lo consideravano una scelta dolorosa, qualche volta «inevitabile», e per questo da annoverare né tra i delitti punibili né tra i «diritti». La donna infatti, questo era il ragionamento di fondo, è il soggetto che paga di più, rispetto al maschio, in termini fisici e psicologici. A tal riguardo un testo classico del femminismo «moderato», come Non credere di avere diritti, favorevole alla depenalizzazione dell’aborto, si esprimerà così sulla legge 194/1974 che lo aveva legalizzato: «Quando la legge fu approvata ed entrò in vigore, le donne stesse che l’avevano voluta si resero conto che essa rispecchiava fedelmente le esigenze, le preoccupazioni, i compromessi di coloro che l’avevano fatta, gli uomini, con l’occhio attento a un corpo sociale dove il punto di vista maschile era ben chiaro e prevalente. Il più violento mezzo di controllo delle nascite era ormai entrato ufficialmente tra le norme che regolano la società».Solo qualche anno orsono, Luisa Muraro, storica fondatrice della «Libreria delle donne» di Milano, ha dichiarato: «Noi (femministe, ndr) partivamo dal principio fondamentale di libertà femminile: una donna non può essere obbligata a diventare madre, la maternità inizia con un sì. Ma tendevamo a sottolineare che l’aborto non è un diritto. Un diritto ha sempre un contenuto positivo. L’aborto invece è un rifiuto, un ripiego, una necessità. La donna che non vuole diventare madre subisce un intervento violento sul suo corpo per estirpare questo inizio di vita. Pensavamo, e pensiamo tuttora, che se si fa dell’aborto un diritto, si autorizza l’irresponsabilità degli uomini» (Avvenire, 10 maggio 2018).Insomma tra le donne e tra le femministe non vi era allora, come non vi è oggi, una visione univoca. Non vi era del resto neppure tra gli uomini di sinistra se è vero come è vero che Pierpaolo Pasolini, replicando a Calvino e Moravia, scriveva riguardo all’aborto: «Lo considero una legalizzazione dell’omicidio».
Gattuso e la Nazionale lasciano San SIro al termine del match perso per 4-1 contro la Norvegia (Ansa)
(Arma dei Carabinieri)
L’organizzazione era strutturata per assicurare un costante approvvigionamento e una capillare distribuzione della droga nelle principali piazze di spaccio del capoluogo e della provincia, oltre che in Veneto e Lombardia. Il canale di rifornimento, rimasto invariato per l’intero periodo dell’indagine, si trovava in Olanda, mentre la gestione dei contatti e degli accordi per l’invio della droga in Italia era affidata al capo dell'organizzazione, individuato nel corso dell’attività investigativa. L’importazione della droga dai Paesi Bassi verso l’Italia avveniva attraverso corrieri ovulatori (o “body packer”) i quali, previa ingestione degli ovuli contenenti lo stupefacente, raggiungevano il territorio nazionale passando dalla Francia e attraversando la frontiera di Ventimiglia a bordo di treni passeggeri.
Lo schema operativo si ripeteva con regolarità, secondo una cadenza settimanale: ogni corriere trasportava circa 1 chilogrammo di droga (cocaina o eroina), suddiviso in ovuli termosaldati del peso di circa 11 grammi ciascuno. Su ogni ovulo era impressa, con pennarello, una sigla identificativa dell’acquirente finale, elemento che ha permesso di tracciare la rete di distribuzione locale. Tutti i soggetti interessati dal provvedimento cautelare risultano coinvolti, a vario titolo, nella redistribuzione dello stupefacente destinato alle piazze di spaccio cittadine.
Dopo due anni di indagini, i Carabinieri sono stati in grado di ricostruire tutta la filiera del traffico di stupefacenti: dal fornitore olandese al promotore che in Italia coordinava la distribuzione alla rete di corrieri che trasportavano la droga in ovuli fino ai distributori locali incaricati dello spaccio al dettaglio.
Nel corso delle indagini è stato inoltre possibile decodificare il linguaggio in codice utilizzato dagli indagati nelle loro comunicazioni: il termine «Top» era riferito alla cocaina, «Spa» all’eroina, «Pantaloncino»alle dosi da 5grammi, mentre «Fogli di caramelle» si riferiva al contante. Il sequestro di quaderni contabili ha documentato incassi giornalieri e movimentazioni di denaro riconducibili a un importante giro d’affari, con pagamenti effettuati tramite bonifici internazionali verso conti correnti nigeriani per importi di decine di migliaia di euro.
Il Gip del Tribunale di Venezia ha disposto la custodia cautelare in carcere per tutti i venti indagati, evidenziando la «pericolosa professionalità» del gruppo e il concreto rischio di fuga, considerati anche i numerosi precedenti specifici a carico di alcuni appartenenti all’organizzazione.
L’esecuzione dei provvedimenti restrittivi e delle perquisizioni è stata condotta con il concorso di Carabinieri di rinforzo provenienti da tutti i Comandi Provinciali del Veneto, con il supporto dei Reparti Mobili e Speciali dell’Arma, delle Unità Cinofile Antidroga e del Nucleo Elicotteri Carabinieri, che hanno garantito la copertura aerea durante le operazioni.
L’Operazione «Marshall» rappresenta un importante risultato dell’attività di contrasto al narcotraffico internazionale e alle organizzazioni criminali transnazionali, confermando l’impegno costante dell’Arma dei Carabinieri nel presidio del territorio e nella tutela della collettività.
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