2021-12-24
In manovra la fregatura a chi prende 50.000 euro
Con la revisione delle aliquote cambiano le detrazioni, ma nessuna compensazione sulle tasse locali, che bastoneranno chi guadagna più di 50.000 euro. Manovra al Senato oggi: per meno, il Pd ricorse alla Consulta La manovra da 32 miliardi si appresta a varare il primo giro di boa parlamentare: stamattina è atteso il disco verde dell’Aula del Senato. Definizione del primo gradino della riforma fiscale con il taglio di Irpef e Irap, incremento a 3,8 miliardi dell’intervento contro il caro bollette, riestensione del Superbonus rispetto alla stretta inizialmente prevista del disegno di legge, misure per la scuola e per i territori colpiti dal sisma sono tra le principali novità. Misure introdotte durante un passaggio parlamentare partito in estremo ritardo e caratterizzato da continue riunioni tra il governo, i relatori (Daniele Pesco, M5s, Erica Rivolta, Lega, Vasco Errani, Leu) e la maggioranza (e a volte anche l’opposizione) per definire i macro temi da cambiare in maniera trasversale e le ulteriori modifiche. La definizione delle novità sul fisco è stata affidata a un tavolo al Mef con le forze di maggioranza. Si è quindi arrivati a una unica seduta fiume di oltre 12 ore nella notte tra il 20 e il 21 dicembre della commissione Bilancio con le votazioni sugli emendamenti. Lo stesso 21 dicembre c’è stato l’approdo dell’esame in Aula. Ieri sono stati votati gli articoli con le tabelle dei ministeri, poi la seduta è stata sospesa. Ieri sera (dopo la chiusura del giornale e vari slittamenti di agenda), per completare il passaggio al Senato, c’è stata la presentazione del maxi emendamento sull’articolato con le modifiche introdotte in commissione (al netto di eventuali stop della Ragioneria generale dello Stato), su cui il governo porrà la questione di fiducia. Ci sarà poi la Nota di aggiornamento da approvare in Consiglio dei ministri e il voto finale sul provvedimento, che passerà poi al voto blindato della Camera nella finestra dei lavori parlamentari tra Natale e Capodanno. Probabilmente il 28 pomeriggio. Fin qui la cronistoria della recente marcia forzata che il governo ha imposto ai parlamentari. Va notato che per meno nel 2018 il Pd si era rivolto addirittura alla Corte costituzionale. «È cominciata oggi», dichiarava il 27 dicembre 2018 il capogruppo dem a Palazzo Madama Andrea Marcucci, «la raccolta di firme del gruppo parlamentare del Pd del Senato per il ricorso alla Corte costituzionale, per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato. Secondo il nostro giudizio, il governo Conte ha palesemente violato la Carta con le modalità usate per approvare la legge di bilancio. Modalità che peraltro si stanno ripetendo anche alla Camera». All’epoca il testo del maxi emendamento arrivò all’Aula il 21 dicembre. Tant’è che il Pd inscenò l’occupazione di Palazzo Madama con l’obiettivo di denunciare la scarsità di tempo da destinare alle attività di revisione democratica della manovra. L’indomani, il 23 dicembre, fu votata al Senato e solo il 28 alla Camera. Con un banale timbro. In pratica, tre anni fa a ieri il testo era già stato votato. Mentre quest’anno si arriverà al voto solo nel pomeriggio di oggi, che è il 24. È strano assistere al silenzio del Pd. Eppure la compressione delle attività democratiche del Parlamento quest’anno è peggiore rispetto a quanto accaduto tre anni fa. All’epoca il Pd giustificò la protesta anche per via dei fondi erogati a pioggia e dello scarso intervento sulle buste paga. Quest’anno in realtà tutti i partiti (impegnati a rivedere i bonus) tacciono sulla fregatura in arrivo per quei contribuenti che dichiarano più di 50.000 euro lordi all’anno di reddito. Va ricordato, infatti, che la revisione delle aliquote Irpef sarà accompagnata da un importante ritocco delle detrazioni. Avere una aliquota in meno scombussola i prelievi, ma la revisione ne compenserà i saldi. La stessa cosa non può accadere con le addizionali regionali. Nelle tasse locali non ci sono detrazioni. Gli enti locali manterranno però il medesimo gettito e dunque dovranno aumentare il prelievo sull’ultimo scaglione. Dal prossimo anno la soglia dei cosiddetti più ricchi non sarà di 55.000 euro ma di 50.000. Ovviamente il termine «ricco» noi lo usiamo con ironia. Non ha lo stesso approccio il governo. A frenare sono le Regioni per il momento. Mercoledì la conferenza Stato-Città ha deciso di rimandare a fine marzo i termini per i preventivi degli enti locali. L’obiettivo è aspettare fino all’ultimo a chiudere i bilanci e definire l’entità del salasso. Quando Mario Draghi ha proposto il contributo di solidarietà per i cosiddetti ricchi (l’idea era ridurre lo sconto fiscale per partecipare al fondo taglia bollette) la maggioranza è insorta. Con le addizionali succederà la stessa cosa. Solo che nessuno ne parla e quindi non è un tema mediatico. Allora via libera al gioco delle tre carte. Da una parte si mette e dell’altra si toglie. Con la certezza che il piatto del dare allo Stato è sempre quello più pesante.