2024-07-10
Rieducazione Lgbt per le ostetriche ribelli
Il presidente dell’Ordine lombardo striglia le professioniste che avevano protestato per la strana adesione al pride di Milano Invitandole, per contro, a seguire dei corsi su «Salute transgender» e «Diritti delle persone intersex». Promossi dall’Iss...Lo scorso 30 giugno raccontavamo, su queste pagine, la curiosa adesione al pride meneghino dell’Ordine interprovinciale delle ostetriche di Bergamo, Cremona, Lodi, Milano e Monza-Brianza. Nell’articolo si riportava anche una lettera firmata da diverse ostetriche dissenzienti in cui, tra le altre cose, venivano chieste spiegazioni alla presidente dell’Ordine, Nadia Rovelli. Ebbene, la risposta è arrivata e, oltre a giustificare con i soliti argomenti la decisione presa, invita pure le colleghe a lasciarsi rieducare con degli appositi corsi. La dinamica è sempre la stessa: il credo progressista non si pone più come una tra le possibili posizioni in campo, come vorrebbero in teoria i principi liberali, ma come verità inoppugnabile - apparentemente neutra - a cui tutti devono adeguarsi.«Si coglie l’occasione per invitare le ostetriche che hanno sottoscritto l’istanza a cui si dà riscontro», si legge al termine della replica della presidente Rovelli, «all’aggiornamento professionale attraverso la frequentazione di corsi per professionisti socio sanitari come quelli svolti dall’Istituto superiore di sanità nel 2023 “La popolazione transgender: dalla salute al diritto” e “Le persone intersex: tra salute e diritto”, avente l’obiettivo formativo di “contribuire a combattere l’esclusione sociale e la discriminazione nei confronti delle persone transgender attraverso la formazione dei professionisti che operano in ambito socio-sanitario in termini di comunicazione, informazioni sanitarie e giuridiche al fine di raggiungere un miglioramento della qualità di vita della popolazione transgender”».Si tratta di corsi elargiti da Eduiss, la piattaforma per la Formazione a distanza (Fad) dell’Istituto superiore di sanità. Prendendo come esempio il primo menzionato, «La popolazione transgender: dalla salute al diritto», sulla scheda di presentazione si legge che «transgender è un termine “ombrello” con il quale si possono identificare quelle persone la cui identità e/o espressione di genere sono diverse da quanto tipicamente atteso sulla base del sesso assegnato alla nascita». Il sesso, infatti, da un po’ di tempo non è nemmeno più biologico (a differenza del genere che, secondo loro, dovrebbe essere un costrutto unicamente socio-culturale): viene assegnato alla nascita, come fosse una scelta arbitraria. «Sebbene le principali istituzioni internazionali (per es. l’Organizzazione mondiale della sanità)», prosegue, «abbiano da tempo inserito tra gli obiettivi prioritari nella lotta contro le disuguaglianze nell’assistenza sanitaria azioni efficaci a tutela della salute delle persone transgender, questa fascia di popolazione è oggetto di discriminazione e presenta significativi ostacoli nell’accesso ai servizi sanitari e nel loro utilizzo».Poco oltre, nel paragrafo sulla metodologia, si trova che il metodo didattico è «ispirato ai principali modelli della formazione andragogica». Un’evidente svista, perché il termine «andragogico», secondo i loro criteri, non può che risultare discriminatorio. Infatti l’andragogia, che sarebbe il corrispettivo della pedagogia per gli adulti, deriva da anér, andrós, termine con cui il greco antico designa l’uomo nel senso di maschio, in opposizione al femminile. La parola per indicare l’essere umano in generale, invece, era ánthropos. Sviste a parte, c’è un secondo dato da evidenziare - oltre all’invito alla rieducazione - nella lettera di risposta ricevuta dalle ostetriche dissenzienti, ossia il tentativo di far apparire l’adesione al pride come una decisione neutra, fondata su valori universalmente riconosciuti.«Considerando che l’Ordine è un ente pubblico non economico con il mandato istituzionale di tutelare gli interessi pubblici, garantiti dall’ordinamento, connessi all’esercizio professionale dell’ostetrica/o», si legge nella lettera del presidente Rovelli, «e che ci si aspetta che le ostetriche/ci siano prive di pregiudizi e abbiano la piena comprensione del significato e delle parole dell’articolo 2.2 del codice deontologico dell’ostetrica/o (“Il comportamento dell’ostetrica/o si fonda sul rispetto dei diritti umani universali, dei principi di etica clinica e dei principi deontologici della professione”), sostenere il diritto alla salute sessuale e riproduttiva e condannare ogni forma di discriminazioni per ragioni di genere o di identità sessuale non pare costituire una modalità di schieramento politico, una perdita di indipendenza e di autonomia, e non sacrifica né viola le prerogative ed attribuzioni di un Ordine professionale che, invece, deve orientare la condotta delle proprie iscritte proprio verso la tutela dei diritti umani fondamentali connessi all’esercizio della professione e valorizzarne la funzione sociale che la professione svolge».Posto che verrebbe da chiedersi in quale senso si parli di salute riproduttiva per un gruppo eterogeneo come quello Lgbtqia+ in cui, complessivamente, le uniche a poter eventualmente partorire sarebbero le donne lesbiche (naturalmente negando al bambino la possibilità di avere un padre), la vera domanda è quale necessità ci sia di aderire a un evento ideologico come il pride se i valori fondamentali che si rivendicano sono già inscritti nel codice deontologico.Il riconoscimento del valore infinito dell’individuo, a prescindere da qualsivoglia inclinazione o convinzione personale, è indiscutibilmente un asse portante della professione sanitaria e della civiltà occidentale (e un portato del cristianesimo). Confondere, invece, la cura della persona con la partecipazione ad associazioni ed eventi collettivi che, più che rivendicare questo, promuovono un’ideologia che nega la realtà in favore della pura sensazione, arrivando a sostenere - nel delirio di un’autodeterminazione assoluta, sciolta cioè da qualsiasi legame - pratiche come la maternità surrogata e i bloccanti della pubertà nei ragazzini, è un’operazione ingannevole. La verità è che si tratta di una scelta etica, non di certo neutra, che nulla ha a che fare con la tutela della singola persona né si può imporre attraverso corsi di rieducazione.
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