Dall’annuncio del piano del 4 marzo, causa rischio inflazione, il tasso dei prestiti è passato dal 2,48% al 2,80%. Stabili i variabili.
Dall’annuncio del piano del 4 marzo, causa rischio inflazione, il tasso dei prestiti è passato dal 2,48% al 2,80%. Stabili i variabili.Ancora non si conoscono dinamiche e dettagli del progetto ReArm Europe, il piano da 800 miliardi di euro che la Von der Leyen ha annunciato in tutta fretta lo scorso 4 marzo, così come ci sono solo i titoli (la novità sono i 100 miliardi per il green) sul «pacchetto finanziario per la difesa e le infrastrutture» da 500 miliardi di euro imposto dal cancelliere in pectore, Friedrich Merz, eppure già si vedono i primi effetti. Soprattutto negativi. Numeri alla mano l’asse tedesco Ursula-Merz promette di immettere sul mercato del Vecchio continente non meno di 1.300 miliardi di euro. Gli investimenti saranno diluiti nel tempo, certo, ma è prevedibile, se le premesse dovessero essere davvero confermate (non è per nulla scontato) l’arrivo di uno stock di risorse tali da creare un effetto inflattivo nel breve periodo che potrebbe indurre la Bce a rivedere la sua politica monetaria. Già le previsioni sui tagli nel 2025 sono scese da tre a un unico ritocco dello 0,25%, ma in futuro secondo gli analisti il trend potrebbe anche invertirsi. Morale della favola, nessuna sorpresa se l’Irs, il riferimento per i mutui a tasso fisso è salito del 10-15% nel giro di pochi giorni, a partire dall’annuncio del riarmo Ue. Nell’arco di poche sedute si è passati dal 2,48% al 2,85%, attestandosi poi intorno al 2,80%. Morale della favola, tra il pre e il post piano di riarmo, l’Irs è aumentato di circa 30 punti base che andranno poi a riverberarsi sui nuovi mutui a tasso fisso. Le offerte delle banche, infatti, sono composte all’Irs e dallo spread che rappresenta il guadagno degli istituti di credito. Se quindi sale il tasso di riferimento cresce anche il costo del prestito immobiliare a meno che l’erogante non decida di tagliarsi i profitti. «Dal 5 marzo», evidenzia alla Verità Guido Bertolino, responsabile business development di Mutuisupermarket, «abbiamo registrato una forte crescita dell’indice Irs a 20 anni che in un paio di giorni è cresciuto di oltre 25 punti base. Questa crescita sembra legata alla politica di riarmo europea annunciata il 4 marzo dalla presidente della Commissione Ue e dall’annuncio del cancelliere tedesco in pectore di un fondo di 500 miliardi per lo sviluppo del mercato interno tedesco. Entrambe queste misure avranno l’effetto di aumentare la domanda interna europea, il Pil e con ogni probabilità l’inflazione». Quindi? «Se l’incremento dell’Irs nell’ordine di 30 punti base si consoliderà per tutto il mese di marzo, è probabile che le banche riversino tale aumento in tutto o in parte sul costo dei mutui a tasso fisso. Un rialzo di 30 punti base su un mutuo di 200.000 euro in 20 anni comporta un rincaro della rata di quasi 30 euro che implica un incremento di spesa per interessi di quasi 7.000 euro». Come detto è ancora presto per trarre delle conclusioni sui trend futuri dei tassi - le misure di riarmo sono al momento poco più che degli annunci e bisognerà valutare poi quali saranno gli impatti reali anche rispetto ai dazi Usa - ma intanto l’Irs è cresciuto e questo comporta già degli effetti concreti per i mutui. «Siamo in un periodo di elevata volatilità», continua Bertolino, «oscillazioni analoghe le abbiamo viste a settembre 2022 quando la Bce aumentava i tassi di 0,75% a riunione, superando le aspettative di mercato. Se allora le reazioni scomposte dei mercati si basavano sulle decisioni più o meno attese di Francoforte che andavano tutte nella chiara direzione di contrastare l’inflazione, oggi i mercati stanno reagendo ad annunci la cui portata reale è ancora tutta da valutare e il cui esito finale non è ancora ben chiaro».In tutta questa confusione, gli annunci a raffica di Bruxelles potrebbero accelerare un processo già in atto, il riallineamento tra Euribor (tasso di riferimento dei variabili che in questo periodo è rimasto stabile) ed Irs, che in realtà dovrebbe essere quasi naturale. Da mesi infatti i mutui a tasso variabile costano più dei fissi (la ragione principale per la quale la quasi totalità della domanda di mutui è proiettata sui fissi) ed ora il trend potrebbe invertirsi. È normale infatti che un finanziamento che prevede un tasso che varia nel tempo, e che ha quindi maggiori elementi di rischio, possa costare di più. Per la cronaca, i migliori variabili per l’acquisto di una prima casa da 220.000 euro a Milano, prendendo a prestito 140.000 euro in 25 anni, portano a una rata mensile di poco inferiore ai 680 euro con un Taeg (costo complessivo) del 3,34% per gli immobili green e ad una rata da 686 euro con un Taeg del 3,50% se l’abitazione non ha le caratteristiche per poter essere considerata «sostenibile» dal punto di vista ambientale. Con i fissi invece la musica cambia. Intesa Sanpaolo, per esempio, propone i finanziamenti per gli immobili verdi con un Taeg del 2,37% e una rata di 610 euro. Mentre Credit Agricole, per il resto delle abitazioni (quelle non verdi) offre al mercato prodotti con un costo complessivo del 2,76% che corrisponde a una rata di 630,89 euro. Insomma, oggi tra fisso e variabile non c’è confronto. La scelta è obbligata. I piani per il riarmo, però, stanno modificando il mercato e il rischio è che la rivoluzione alla fine vada a penalizzare soprattutto le famiglie che hanno una minore disponibilità economica.
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