
La «Magica» chiude un accordo da 25 milioni per portare sulle magliette il logo di un festival di intrattenimento. Un invito a visitare l’Arabia Saudita mentre la Capitale le contende l’Expo del 2030. Il sindaco Roberto Gualtieri: «Ci temono, siamo Davide contro Golia».Che la Roma in questo momento stia facendo soffrire i suoi tifosi è un dato di fatto testimoniato dai miseri 8 punti nelle prime 7 giornate della serie A. Ma dopo l’annuncio di ieri, della sponsorizzazione con la Riyadh Season per 25 milioni di euro in due anni con tanto di video che ritrae Lukaku, Pellegrini e Dybala con le nuove maglie timbrate dal logo del principale festival di intrattenimento dell’Arabia Saudita, uno dei suoi massimi sostenitori, il primo cittadino della città, ha probabilmente pensato seriamente di diventare laziale. L’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (alcune fonti confermano la sua irritazione quando ha ricevuto la notizia) infatti è riuscito nell’impresa impossibile di far rimpiangere Virginia Raggi sul lato dell’organizzazione, del decoro e dell’ordine pubblica della città e adesso punta a preservare quel po’ di consenso che gli è rimasto portando a casa qualche risultato finanziario e di immagine. Quale miglior rilancio dell’aggiudicazione dell’Expo 2030? Il 28 novembre i 181 paesi membri del Bureau international des expositions si ritroveranno a Parigi per scegliere la città vincitrice. Roma corre contro Riad e Busan, in Corea del Sud. La sfida è combattutissima e verrà decisa probabilmente dai dettagli. Tant’è che in Campidoglio molti avevano già storto il naso davanti alla decisione dei privati di ospitare alla Casina Valadier (nel cuore di Villa Borghese) dal 25 al 29 settembre, il Saudi Village. Figurarsi adesso. Il nervosismo è palpabile tant’è che il sindaco anziché fingere distacco si è lasciato andare a un’improbabile parallelo con la differenza di forze (economiche in questo caso) tra Davide e Golia. «Ma allora ci temono seriamente», ha chiosato, «Noi siamo Davide, loro sono Golia come dimostra l’immensa capacità di spesa compresa la scelta di venire a sponsorizzare la As Roma. Come andrà la partita di Expo non lo so. So che noi ci batteremo fino alla fine senza timore e che ogni tanto, come insegnano i racconti biblici, le cose vanno diversamente dai pronostici...». Sarà. Sta di fatto che per Gualtieri si tratta di un altro sgambetto che peraltro la società giallorossa era assolutamente legittimata a «tiragli». Dalla Roma ci tengono a chiarire che si tratta di un mero accordo commerciale e che si fa davvero fatica a capire in che modo questo possa influenzare l’assegnazione del’Expo. E qui va chiarito un concetto: la Roma è una società privata che ha tutto il diritto di chiudere un accordo per molti versi storico. Porta a casa 25 milioni di euro in due anni (bonus compresi): una cifra record, Qatar Airways, per fare un esempio, ha pagato la sua sponsorizzazione 4 milioni il primo anno e 12 il secondo, mentre DigitatalBits prometteva cifre superiori che però non sono mai arrivate. Non solo. Nell’accordo è prevista anche l’organizzazione di due amichevoli in loco e l’apertura dei Roma store in Arabia Saudita. Insomma, sembra il primo passo (rispetto al quale ha svolto un ruolo decisivo il ceo greco della società Lina Souloukou) di un’intesa di grande prospettiva che riguarda un privato che comunque fa riferimento al fondo sovrano dell’Arabia Saudita. Il punto semmai è la coincidenza temporale. Che la squadra di calcio che porta il nome di Roma metta sulla maglia come sponsor quello della città con la quale si sta contendendo una manifestazione importantissima come l’Expo, effettivamente stride. Così come stride l’evidente sorpresa del sindaco. Dai video e dai giocatori in posa con la nuova maglia è evidente che l’accordo fosse chiuso da un pezzo (anche perché la Roma potrebbe indossare le nuove maglie già nell’incontro di Europa League di questa sera contro gli svizzeri del Servette), mentre sembra che a Gualtieri, tifoso giallorosso, la notizia sia arrivata da pochi giorni. Pare che fino all’ultimo ci sia stato un tentativo (evidentemente inutile) per provare ad eliminare il riferimento a Riad sulle maglie. Mentre è stata smentita la possibilità che sulle divise comparisse un invito esplicito a visitare l’Arabia Saudita e Riad. Ma conta molto poco. La Riyadh Season è un festival dell’intrattenimento che richiama nella capitale dell’Arabia Saudita milioni di visitatori. Come evidenziato nello stesso comunicato della Roma, «con la sua quarta edizione che inizierà alla fine di questo mese, la Riyadh Season rappresenta un nuovo punto di riferimento per i festival di intrattenimento. Migliaia di visitatori di tutto il mondo vi si recano per assistere a concerti, eventi culturali, mostre e molto altro in luoghi iconici della capitale dell’Arabia Saudita». A Riad ci tengono talmente tanto che con ogni probabilità la Roma non sarà l’unica squadra a portare il logo della Riyadh Season sulle maglie. Di sicuro ci saranno esperienze simili all’estero e molto probabilmente anche in Italia. Si parla della Juventus, ma siamo ancora alle semplici indiscrezioni.
L’aumento dei tassi reali giapponesi azzoppa il meccanismo del «carry trade», la divisa indiana non è più difesa dalla Banca centrale: ignorare l’effetto oscillazioni significa fare metà analisi del proprio portafoglio.
Il rischio di cambio resta il grande convitato di pietra per chi investe fuori dall’euro, mentre l’attenzione è spesso concentrata solo su azioni e bond. Gli ultimi scossoni su yen giapponese e rupia indiana ricordano che la valuta può amplificare o azzerare i rendimenti di fondi ed Etf in valuta estera, trasformando un portafoglio «conservativo» in qualcosa di molto più volatile di quanto l’investitore percepisca.
Per Ursula von der Leyen è «inaccettabile» che gli europei siano i soli a sborsare per il Paese invaso. Perciò rilancia la confisca degli asset russi. Belgio e Ungheria però si oppongono. Così la Commissione pensa al piano B: l’ennesimo prestito, nonostante lo scandalo mazzette.
Per un attimo, Ursula von der Leyen è sembrata illuminata dal buon senso: «È inaccettabile», ha tuonato ieri, di fronte alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo, pensare che «i contribuenti europei pagheranno da soli il conto» per il «fabbisogno finanziario dell’Ucraina», nel biennio 2026/2027. Ma è stato solo un attimo, appunto. La presidente della Commissione non aveva in mente i famigerati cessi d’oro dei corrotti ucraini, che si sono pappati gli aiuti occidentali. E nemmeno i funzionari lambiti dallo scandalo mazzette (Andrij Yermak), o addirittura coinvolti nell’inchiesta (Rustem Umerov), ai quali Volodymyr Zelensky ha rinnovato lo stesso la fiducia, tanto da mandarli a negoziare con gli americani a Ginevra. La tedesca non pretende che i nostri beneficati facciano pulizia. Piuttosto, vuole costringere Mosca a sborsare il necessario per Kiev. «Nell’ultimo Consiglio europeo», ha ricordato ai deputati riuniti, «abbiamo presentato un documento di opzioni» per sostenere il Paese sotto attacco. «Questo include un’opzione sui beni russi immobilizzati. Il passo successivo», ha dunque annunciato, sarà «un testo giuridico», che l’esecutivo è pronto a presentare.
Luis de Guindos (Ansa)
Nel «Rapporto stabilità finanziaria» il vice di Christine Lagarde parla di «vulnerabilità» e «bruschi aggiustamenti». Debito in crescita, deficit fuori controllo e spese militari in aumento fanno di Parigi l’anello debole dell’Unione.
A Francoforte hanno imparato l’arte delle allusioni. Parlano di «vulnerabilità» di «bruschi aggiustamenti». Ad ascoltare con attenzione, tra le righe si sente un nome che risuona come un brontolio lontano. Non serve pronunciarlo: basta dire crisi di fiducia, conti pubblici esplosivi, spread che si stiracchia al mattino come un vecchio atleta arrugginito per capire che l’ombra ha sede in Francia. L’elefante nella cristalleria finanziaria europea.
Manfred Weber (Ansa)
Manfred Weber rompe il compromesso con i socialisti e si allea con Ecr e Patrioti. Carlo Fidanza: «Ora lavoreremo sull’automotive».
La baronessa von Truppen continua a strillare «nulla senza l’Ucraina sull’Ucraina, nulla sull’Europa senza l’Europa» per dire a Donald Trump: non provare a fare il furbo con Volodymyr Zelensky perché è cosa nostra. Solo che Ursula von der Leyen come non ha un esercito europeo rischia di trovarsi senza neppure truppe politiche. Al posto della maggioranza Ursula ormai è sorta la «maggioranza Giorgia». Per la terza volta in un paio di settimane al Parlamento europeo è andato in frantumi il compromesso Ppe-Pse che sostiene la Commissione della baronessa per seppellire il Green deal che ha condannato l’industria - si veda l’auto - e l’economia europea alla marginalità economica.




